Welfare

Evans, freccia nera e i suoi fratelli

Mexico City 1968 Quei record in black.

di Riccardo Bonacina

Ecco una foto che dopo 36 anni ci ributta in un attimo dentro il 68. Ce ne fa sentire il clima, ci restituisce l?inquietudine di quell?anno che metteva in subbuglio Praga e Parigi e sollevava proteste contro la guerra in Vietnam e la segregazione razziale in Sud Africa e negli Usa, ci fa sentire il vento che soffiava sulle rivolte studentesche dalla West Coast a Città del Messico. E siamo proprio a Città del Messico, il 18 ottobre di quell?anno. La sala stampa dello stadio di atletica non c?entra nulla con quelle cui siamo abituati: siamo dentro una delle più tipiche assemblee sessantottine. Affollata, disordinata, tutti giù per terra. Che distanza siderale con le conferenze stampa del 2004; oggi si ?comunica?, lì si discuteva. Protagonisti Lee Evans (che guarda il fotografo), Larry James e Ronald Freeman, classificatisi nell?ordine nella prova dei 400 metri, tutti e tre con in testa lo stesso basco nero con cui sono appena saliti sul podio. Un segno di partecipazione alla lotta dei neri americani. Il giorno prima di questa assemblea-stampa, Evans voleva rifiutarsi di correre la finale per solidarietà con i compagni di squadra Smith e Carlos (primo, con record, e secondo nei 200 metri), espulsi dal villaggio olimpico e radiati dalla nazionale dopo essere saliti sul podio dei 200 col pugno chiuso guantato di nero e con i soli calzini neri (ve la ricordate quell?immagine?). Fu proprio Carlos a convincere Evans a correre, così: «Vai, fai vedere che i più forti siamo noi». Evans andò ai blocchi e scaricò tutta la sua rabbia e il suo orgoglio: 43?86, un record che durerà 20 anni. Guardate gli occhi di Evans: nel modo con cui guarda il fotografo c?è ancora un po? di quella rabbia nonviolenta, c?è ancora un po? di quell?orgoglio. «Siamo stufi di essere cavalli da parata alle Olimpiadi e carne da cannone in Vietnam», dicevano Smith, Carlos, Evans. Una sfida che dura. In questi giorni Evans ha dichiarato con immutabile orgoglio: «Bisogna sempre lottare perché le cose non cambiano. Oggi, se sei nero e sei arrivato ai 42 anni hai pure un 90% di probabilità di aver conosciuto la galera. Mentre i grandi manager bianchi come quelli della Enron rubano milioni di dollari».


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