Famiglia

Eva, la ragazza che teneva 100 chili sopra la testa

A Sidney era stata la prima italiana a partecipare al concorso del sollevamento di pesi. Il marito morto di mafia, una famiglia poverissima. Quattro anni dopo vive di stenti.

di Luca Cardinalini

Il corpo che trema, vibra, come se stesse per spazzarsi da un momento all?altro. Lo sforzo che gonfia il viso, dilata le vene, il sibilo che è lo spasimo della fatica. Attimi di un precario equilibrio di un bilanciere in bilico sopra la testa, che tra poco finirà a terra con un tonfo, o liberatorio o di resa alla gravità. Sport ricco di metafore, il sollevamento pesi. è sì anche tecnica, ma prima è sfida contro sé stessi. «è la cosa che da sempre mi ha più affascinato, questa gara con i miei limiti, materiali e mentali, nessuno che possa aiutarti. E quando salivo in pedana tutto il resto – vita, affetti, problemi – svaniva come di colpo. Sotto il cono di luce c?eri solo tu e quel bilanciere a terra che sembrava aspettarti. Lo carezzavo con mani sporche di borotalco, ci parlavo, lo imploravo di non tradirmi, di farsi prendere e sollevare, con la stesso abbandono di un bambino. Ogni chilo in più che riuscivo a sollevare era una gioia indescrivibile». La felicità da issare, è un concetto poco esplorato. «Ma è vero. In questa foto ho quasi 100 chili sopra di me. E stavo ridendo. Ero così felice che il giudice mi dette per due volte il ?giù?, ma non lo sentivo». Il passaggio dal cono di luce al cono d?ombra, non è solo un fattore cromatico. Eva Giganti, 28 anni, originaria di Caltanissetta, è un paradosso vivente: piccola ma con quel nome, categoria 47 chili ma capace di sollevare quasi 4 volte il proprio peso («Il mio record è 77,5 chili strappo e 95 slancio, per un totale di 172,5 chili»). Quattro anni fa, proprio di questi tempi, i media di tutto il mondo si affascinarono alla sua storia, personale più che agonistica. Eva arrivava a Sidney con un primato: essere la prima la prima pesista donna italiana a partecipare ad un Olimpiade. Eva era già vedova, per via di una brutta storia di mafia e di droga: «Non mi va di parlarne. Dico solo che successe nel 1995, Valentina ce l?avevo ancora in pancia. Con Salvatore ci eravamo trasferiti a Milano, sposati e in procinto di aprire un?attività. Scese in Sicilia per richiedere alcuni documenti e venne ucciso. Ma questa in fondo è la vita». La storia di Eva fece il giro del mondo. Padre invalido civile, madre casalinga, stenti condivisi con vari fratelli, di cui due disabili, uno non c?è più, l?altro è rinchiuso in un istituto, due sorelle sposate che vivono sparse per l?Italia, un fratellino di 11 anni, Cristopher, dato in adozione, Eva non sa nemmeno a chi e che ora sogna di riabbracciare. Campionessa regionale, vicecampionessa italiana, poi titoli nazionali, vittorie anche in campo europeo, l?atleta donna sulla quale la federazione decide di investire: «Mi inserirono nel collegiale, che significa allenarsi a spese della federazione, vitto e alloggio più 40.000 lire al giorno. Pochi soldi, ma cifra che nella sua modestia ti fa abituare a un livello di vita che non sono mai più riuscita ad eguagliare». Le Olimpiadi furono un sogno vissuto ad occhi aperti. «Venti giorni stupendi nel villaggio olimpico, con il resto della spedizione pesistica invece ebbi pochi contatti, preferivo le pallavoliste, gente di altri sport». La sua storia ha l?appeal giusto e c?è chi ci si butta a pesce. Si vedono anche le istituzioni, nella persona dell?allora ministro della Cultura Giovanna Meandri, che il giorno della gara si sistemerà addirittura a bordo pedana ad assistere ad una competizione ai suoi occhi incomprensibile. Dirà: «Non nego che vedendo queste atlete, impegnate in questa fatica bestiale ho pensato: ma chi glielo fa fare? Forse hanno qualche vendetta da prendersi o forse, come nel caso di Eva, è per avere un riscatto umano e sociale. La aiuteremo anche dopo». Parole, liberamente dette nell?altro emisfero. Eva: «Il ministro mi lasciò il numero telefonico privato. In seguito ho chiamato più volte, ma al massimo ho parlato con una sua assistente. Mai più fatta viva». Eva arrivò ottava, per il coach Masu ?poteva far meglio?. Neanche il tempo di rientrare ed Eva si sbatte con il problema più grande per chi fa sport: organizzarsi la vita dopo la carriera. Il dopo Sidney per Eva porta in dote un infortunio, serio, che le costa un?operazione e l?asportazione di una costola. «è come se il mio corpo non fosse più in grado di contenere lo sviluppo dei miei muscoli. La federazione mi ha pagato l?operazione ad una spalla, riuscita solo in parte, ma l?altra non la farò mai più. Chi la paga? Finché vinci sei qualcuno, poi ti scaricano». Bisognerebbe sentire l?altra campana, ma alla federazione Pesistica hanno l?ordine di non rilasciare dichiarazioni sulla Giganti, ?caratterino mica facile e rompiscatole?. Eva intanto si è trasferita in Sardegna, ad Olbia, dove lavora come magazziniera precaria in un supermercato. Contratto part time di sei mesi, scadenza fine settembre, 4 ore al giorno, per un corrispettivo salario di 500 euro al mese, 300 dei quali se ne vanno per l?affitto di due stanze. Ha due sogni: tornare a gareggiare e in primis trovare un lavoro fisso che permetta a Valentina di crescere serena e di riabbracciare Cristopher. «Questo lavoro non sarà il massimo, ma mi piace. Scarico molti più pacchi dei miei colleghi, che sanno comunque la mia storia e non si arrabbiano per questa mia iperattività». Di Sidney restano solo due album di fotografie e un canguro di peluche.


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