Non profit

EUTANASIA. In Svizzera è richiesta anche da malati di reumatismi

Polemiche per l'attività di Exit e DIgnitas, organizzazioni che aiutano a morire sempre più persone, non tutte con mali inguaribili

di Gabriella Meroni

A volte è un dolore insopportabile, altre volte una depressione incompresa, altre ancora un problema reumatico. In Svizzera le organizzazioni di aiuto al suicidio ricevono sempre più richieste da persone che non soffrono di malattie incurabili, ma che adeguatamente assistite potrebbero recuperare una qualità di vita accettabile.

A lanciare l’allarme è uno studio del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (Fns), che ha analizzato i casi di suicidio assistito nella città di Zurigo indagando sui servizi offerti da due associazioni di settore: Exit e Dignitas. Gli operatori contestano però i dati della ricerca, precisando che le cifre emerse non sono assolutamente rappresentative della situazione elvetica attuale. Secondo lo studio, dal 1990 al 2000 il 22% delle persone che si sono rivolte a Exit per togliersi la vita non soffriva di mali incurabili. E tra il 2001 e il 2004 la percentuale è salita al 33%. Nello stesso periodo (2001-2004), anche il 21% dei “clienti” Dignitas non sembrava appartenere alla categoria dei pazienti terminali. Secondo una una delle ricercatrici, Susanne Fischer, il mal di vivere, e più in generale un cattivo stato di salute sono sempre più invocati per mettere fine alla propria esistenza.

«Si tratta spesso di persone anziane a cui sono state diagnosticate diverse malattie, quali reumatismi e sindromi da dolore», spiega. Lo studio del Fns evidenzia inoltre alcune diversità fra i pazienti che si sono rivolti alle due associazioni. Exit fornisce solo eccezionalmente assistenza a persone straniere (3% dei casi tra il 2001 e il 2004), mentre nello stesso periodo il 91% delle persone che hanno chiesto aiuto a Dignitas proveniva da oltre confine. E ancora: per i due terzi circa, i malati che hanno fatto appello alle due organizzazioni dal 2001 al 2004 erano donne, mentre negli anni ’90 le richieste dei due sessi si equilibravano.

L’indagine del Fns rileva tra l’altro che, in casi isolati, le organizzazioni di assistenza al suicidio hanno aiutato a morire anche malati psichici. Questa pratica (12 casi su 421 analizzati) è oggetto di molte critiche, perché vengono messe in dubbio le capacità di Dignitas e Exit di discernere fattori psichiatrici o sociali. Gli autori dello studio approvano infine la volontà del Consiglio federale di esaminare se sia necessario intervenire a livello normativo sull’aiuto al suicidio, attualmente regolato dall’articolo 115 del Codice penale. La questione ha suscitato varie polemiche e più parti hanno chiesto requisiti minimi di diligenza e consulenza da applicare alle organizzazioni di settore. Un rapporto sarà consegnato al Consiglio federale nella prima metà del 2009, assicura Brigitte Hauser-Suess, portavoce del Dipartimento federale di giustizia e polizia (Dfgp).

Le reazioni alla ricerca del Fns non si sono fatte attendere. Exit ne respinge le conclusioni, precisando di non avere constatato alcuna crescita dei suicidi assistiti in pazienti non affetti da patologie incurabili. Tra il 1996 e il 2007, assicura, la percentuale è sempre oscillata tra il 25% e il 35% del totale casi. Exit contesta poi il fatto che gli afflitti dal mal di vivere ricorrano sempre più spesso al suo aiuto, e puntualizza che la percentuale delle “clienti” donne è oscillata tra il 60% nel 1996 e il 52% nel 2007, con una media del 55%. Lo studio presentato dal Fns si basa, secondo Exit, solo sui dati dell’Istituto di medicina legale di Zurigo. Dal canto suo, il direttore dello studio Goerg Bosshard ha sostenuto l’importanza di fornire dati quantitativi e qualitativi su questo controverso dossier. Pur essendo consapevole che i casi zurighesi di suicidio assistito non possano essere trasposti a livello federale, Bosshard invita a proseguire le indagini su un fenomeno che è in continua crescita in Svizzera dagli anni ’90.

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