Politica

Eutanasia: Crisafulli torna a scrivere a Napolitano

«Presidente, solo lei può fermare la deriva eutanasica. Abbiamo paura che non ci si voglia più prendere cura di noi». Con Crisafulli, 90 famiglie

di Redazione

Caro Presidente,
adesso che la nazione ha un nuovo Parlamento e un nuovo Capo del Governo, voglio rispondere alla Sua lettera ricevuta lo scorso 8 Aprile e da me resa pubblica. Aver ricevuto la Sua lettera mi ha riempito il cuore di felicità.

Premesso ciò, vorrei innanzitutto chiarirle chi sono.
Mi chiamo Salvatore Crisafulli di 43 anni, vittima di uno spaventoso incidente stradale avvenuto a Catania l?11 settembre del 2003, entro in coma, successivamente trapasso lo stato vegetativo permanente (sentenziato dalla scienza medica per due anni), e poi, incredibilmente nel 2005, riesco a raccontare che dopo circa sette mesi dal trauma, (quando ancora ero in coma), mi risveglio ed io sentivo e capivo tutto. La mia storia in pochi secondi fece il giro del mondo. Le ho scritto altre volte senza aver ricevuto risposta. La mia incredibile storia e stata anche trascritta in un libro dal titolo ?Con gli occhi sbarrati?.

Oggi vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked. Un ?uomo incatenato? ma con una straordinaria voglia di vivere, che trasmisi anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo ?inutilmente? di lottare per la vita.

Per far sentire la nostra voce ?silenziosa?, a tutta la classe politica ho bisogno del suo aiuto. Pertanto vorrei che si aprisse un dibattito sulla nostra condizione e sulla mancata attuazione di varie leggi che garantiscono il diritto alla salute sancito dalla Costituzione.

Caro Presidente noi amiamo la vita! La morte per noi rappresenta un ?orrore? e vorremmo vedere garantita la nostra voglia di vivere.
Perché i mass media parlano solo di eutanasia senza andare in fondo al problema? Perché le discussioni si infiammano quando vengono sollevati casi come quello di Piergiorgio Welby? Si deve avere il coraggio di andare oltre le motivazioni secondo le quali ad alcuni di noi conviene fare ricorso alla ?dolce morte?. Non può il diritto di morire diventare la nuova frontiera dei diritti umani.

Se lo Stato riuscisse a garantire pienamente la tutela della vita, in ogni sua fase della malattia e della disabilità ed anche nella fase insostenibile, credo non esisterebbe alcun fenomeno di eutanasia, certo, poi, quando, si arriva alla disperazione, si spegne quella fiamma della speranza, che, non trovando concrete risposte assistenziali, sfocia in una domanda di eutanasia e di fine vita. In Italia da anni si discute del testamento biologico, sembra che lo Stato sia orientato al riconoscimento del diritto di morire, anche perché non conviene spendere soldi per uno che si trova in cattive condizioni di salute.
Presidente sa cosa temo? Che non si voglia più prendere cura delle persone deboli. Ecco perché parlo di ?eutanasia passiva dello stato italiano?. La dolce morte trova spazio dove c?è disperazione, dove c?è un grande senso di abbandono e di sofferenza.

Dove invece, c?è volontà di vivere come in noi, le cose stanno in modo inverso. Senza avere la forza di prendere una penna in mano, ma aiutato e sostenuto dalle mani di altre 90 famiglie che vivono sulla loro pelle questo terremoto capitato (forse non a caso) nella loro vita, divento io il portavoce di questa lotta ?silenziosa?. Tutti conoscono il mio caso, da più tempo perché ho la fortuna di poter parlare attraverso un computer, usando la sola cosa che riesco a comandare: ?gli occhi?, oltre al movimento del capo.

Al tutt?oggi il nostro problema è ancora privo di attenzione soprattutto nel considerare che le persone nel mio stato col tempo migliorano, (la mia storia ne è la prova tangibile). ?Lo stato vegetativo?, è il risultato di raffinate tecniche di rianimazione, che riescono a salvare dalla morte. E? il limbo, che non è morte nel quale si può vivere se assistiti e uscire se la medicina riuscirà a farci superare le gravissime lesioni cerebrali determinate da vari traumi.

Sig. Presidente oggi tutto grava sulle nostre famiglie, perché non ci sono strutture adatte ad accoglierci ed in particolare non esiste un assistenza domiciliare come in molti paesi europei.

Gli ospedali che ci assistono oggi sono le nostre case con tutti i problemi che la situazione comporta dalla spesa all?impegno. Oltretutto, con l?autonomia regionale esiste un grandissimo divario tra Nord e Sud del Paese! In Lombardia ci sono persone che nelle nostre stesse condizioni a cui non manca (quasi) niente, in Sicilia in Puglia manca tutto.

La Regione Sicilia, per esempio, con ?Statuto speciale? non recepisce una legge nazionale come la 162/98 (?vita indipendente?). Altro che vita indipendente, da anni dicono che mancano i fondi e pertanto non si può usufruire nemmeno dei benefici della legge 328/00.

La nostra condizione sembrava non interessare a nessuno fino a che non succedesse l?orrore e lo scempio di Terri Schiavo. Ecco perché ci siamo esposti, questo nostro dramma non può più essere sottaciuto! Ora non ce la facciamo più. E allora, perché Sig. Presidente parlare sempre di eutanasia?

Non capisco perché prima ci salvano e poi ci uccidono! E allora perché non chiudere i reparti di rianimazione se il problema e così insormontabile?

Nel nostro caso è più difficile vivere che morire e la condizione mia e di queste persone né è prova di fatto.

Anche le affermazioni del Papa in difesa dello stato vegetativo, rimangono vuote se le istituzioni non cominciano a fare una seria politica per la vita, se non si applicano quelle leggi che sono rimaste solamente sulla carta.

Finche c?è vita nel corpo di una persona non si può dire che non ci sia nulla da fare: bisogna solo trovare la strada giusta da percorrere!

Solo il suo intervento potrà evitare richieste di eutanasia.

Tengo a precisare, caro Presidente, che ogni caso è unico a se stesso e non esiste analogia. Ci sono persone come me che sono ?uscite dal tunnel? del coma altre che hanno gli occhi aperti, sono capaci di seguire e talvolta possono abbozzare dei sorrisi o delle smorfie, o anche monosillabi, ma, se lasciate sole, queste persone non collaborano, non seguono, non migliorano.

Il vero dramma non è il cosiddetto ?stato vegetativo? ma quello che ne consegue: l?abbandono, l?indifferenza delle istituzioni e della medicina.

E poi vi è la nostra stanchezza, di non riuscire a farsi sentire dopo anni passati in queste condizioni, che mette a dura prova sia noi che i nostri familiari, i quali alla fine, finiscono con l?ammalarsi anche loro.

E? allora che fare? Bisogna realmente chiedere l?eutanasia? Io e queste 90 famiglie pensiamo di no. Occorre prenderci in considerazione, non trattarci come malati terminali, ma assisterci adeguatamente, molti di noi sono giovani. Ci vuole una nuova coscienza civile di questo gravissimo problema lungamente messo da parte, perché a tutti potrebbe capitare il nostro stesso inconveniente.
Caro Presidente ci affidiamo alla sua parola, ringrazio per l?attenzione e la disponibilità.

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