La Commissione Europea ha dato il via libera all’introduzione di una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (TTF) nel quadro della cosiddetta “cooperazione rafforzata”. La notizia è di quelle che fanno esultare quelle tantissime organizzazioni e i milioni di individui che in tutti i Paesi della UE hanno promosso campagne, leggi di iniziativa popolare e attività di lobbying per finalmente introdurre questo semplice quanto efficace strumento per il reperimento di risorse aggiuntive a quelle stanziate con i bilanci pubblici. Iniziative, queste, proposte ben prima dell’affermarsi della poderosa crisi economica che negli ultimi due anni ha portato, non certo a ragione, i Governi dei 27 Stati Membri a falcidiare i loro bilanci pubblici soprattutto in materia di spesa sociale.
Italia, Francia, Germania, Austria, Belgio, Portogallo, Slovenia, Grecia, Spagna e Slovacchia, ai quali con buona probabilità si aggiungerà l’Estonia, hanno dichiarato la loro disponibilità ad adottare la TTF aderendo alla proposta avanzata dalla Commissione sotto la regia del Commissario europeo alla fiscalità Algirdas Semeta.
Il risultato è lusinghiero e apre una strada verso una maggior stabilizzazione delle economie e una più giusta distribuzione dei costi della crisi facendoli ricadere, oltre che come sin’ora fatto sui cittadini, anche sugli attori della finanza internazionale. Vale la pena ricordare, infatti, che la TTF mentre resta uno degli strumenti più alla portata per il reperimento di risorse aggiuntive svolge anche un ruolo deterrente nei confronti delle speculazioni a breve termine che sono tra le maggiori cause dell’attuale crisi ed esercitano pressioni indebite sulle decisioni sovrane degli Stati e dei loro Governi.
Tuttavia, l’applicazione di questa tassa porta ora al grande problema della decisione circa le priorità di sua destinazione. La proposta iniziale dei suoi sostenitori, che verso la metà degli anni ’90 ripresero l’idea originale di James Tobin, consisteva nella richiesta di destinare questa leva fiscale al reintegro dei tagli fin da allora inferti alla cooperazione internazionale e all’Aiuto Pubblico allo sviluppo. Con il grande lavoro di sensibilizzazione condotto, altri comprati della società civile hanno sposato la proposta per orientarla verso i settori di proprio interesse. Ora, come ci si poteva attendere, i Governi si sono a loro volta convinti dell’utilità e della fattibilità della TTF trovando in essa una soluzione per il ripianamento dei conti pubblici e dei bilanci dello Stato.
Come si procederà? Penso che molte risorse dovranno essere investite perché si possa assistere ad un reale esercizio di partecipazione decisionale tra società civile e istituzioni e all’interno del vasto arcipelago delle organizzazioni non profit. Per queste ultime sarà un banco di prova durissimo circa la loro capacità di individuare priorità condivise e, quindi, di dotarsi di una strategia efficace; per il Governo un ulteriore indicatore delle vere priorità della sua politica. Sperando almeno che la TTF non sia un’ulteriore occasione per rievocare la sensazione, a chi come il sottoscritto è stato tra i suoi primissimi promotori, di essere annoverato tra i ben noti che “restano con il cerino in mano”.
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