Siamo alle prime mosse di una nuova legislatura: la lista delle urgenze e il confronto sulle priorità dell’azione comune non lasciano più molti spazi alla liturgia delle troppe tattiche tra le capitali europee e tra queste e Bruxelles. Intanto si sono già persi 40 giorni per completare le nomine apicali dopo il rinvio deciso al vertice di metà luglio e quasi certamente vi sarà un importante e già annunciato ritardo per la composizione del Collegio dei Commissari europei, che dovranno poi tutti passare le forche caudine delle audizioni del PE, prima del voto finale sull’intero collegio. Speriamo ce la facciano per novembre….
I risultati delle elezioni e l’attualità economica, sociale e politica dicono con grande chiarezza che bisogna evitare il rischio di una inanità malinconica del progetto europeo, aspettando ancora che qualcun altro ci tolga le castagne dal fuoco e trovare il coraggio di nuove e impegnative scelte comuni, convergenti e di maggiore spessore per gli anni a venire. Insomma, anche nello spazio europeo è venuto il tempo di cambiare verso, come del resto si è già chiaramente intravisto almeno dalle dichiarazioni dei primi Consigli europei e delle prime sedute del Parlamento.
In primo luogo nel campo economico, l’Europa, che ha dovuto mettere ordine e disciplina nelle regole di gestione dei bilanci, per rispondere alla crisi di fiducia e per correggere e prevenire storture e abusi da parte degli Stati membri e del proprio sistema bancario, deve ora aprire una stagione decisiva per la crescita e l’occupazione, che rilanci la coesione territoriale e il progresso sociale. L’ha detto con inusitata chiarezza il Governatore della BCE Draghi: la politica di austerità era necessaria per riparare i difetti strutturali della costruzione dell’Euro, ma sei anni dopo l’inizio della crisi è diventata eccessiva ed è urgente rialimentare anche la politica della domanda, per evitare il rischio della recessione. La BCE ha importanti strumenti monetari da usare, come hanno già fatto con profitto altre grandi nazioni, ma da soli non bastano a invertire la rotta e far ripartire la ripresa, anche per una congiuntura politica internazionale a dir poco sfavorevole. In Europa si è già discusso troppo a lungo di cosa fare: dal completamento del mercato interno all’energia, dall’economia sociale alla green economy, dall’agenda digitale alle PMI, dagli eurobonds e altre formule di mutualizzazione del debito pregresso e di nuovi investimenti strategici, al piano di nuovi investimenti europei annunciato dal neopresidente della Commissione Juncker. E’ ora venuto il tempo di usare, insieme e senza indugi, tutte le leve finanziarie, monetarie, di investimento, regolamentazione e incentivi europei disponibili, per fare passi concreti e tangibili. Costruendo anche indicatori cogenti per monitorare gli avanzamenti, nel quadro dell’Agenda Europa 2020 e riconsiderando l’idea dei partenariati per la crescita, per sostenere in maniera significativa quei paesi membri che sono impegnati in consistenti riforme strutturali.
In secondo luogo, la politica estera dell’Unione. Qualora ce ne fosse stato bisogno, sono i fatti degli ultimi mesi ad aver reso evidente l’urgenza e i rischi che toccano gli interessi vitali della stessa Europa, i suoi valori fondanti e, come ha detto autorevolmente Papa Francesco, disegnano lo scenario drammatico di “una terza guerra mondiale in atto, solo combattuta a capitoli”. Che si parli di Ucraina e di crescenti tensioni con la Russia, di Mediterraneo, di Libia, Israele e Gaza, Siria, Afghanistan, Irak e neonato “Stato Islamico”, passando per gli Stati del Golfo e la Turchia, senza dimenticare i persistenti focolai di crisi in Mali, Nigeria, Sud-Sudan e Somalia, si deve prendere atto che il tempo in cui, ogni Stato europeo si occupa di quali iniziative possa mettere in campo da solo, è ormai finito. Queste sono sfide che o l’Europa diventa finalmente in grado di affrontare in quanto tale, usando tutti i dispositivi del Trattato e superando i perduranti nazionalismi, oppure semplicemente non è e saremo tutti travolti dalle conseguenze esplosive di questi conflitti. Per fare un solo esempio, la somma degli sfollati di queste aeree che sono oggi in movimento, causa guerra o persecuzione, ha ormai superato i 15 milioni e solo una minima parte ha cercato per ora di varcare le frontiere europee. E questo senza voler considerare i più ampi problemi per la sicurezza, la pace e la diffusione del progresso che ne conseguono. Questa crisi è forse ancora più grave della crisi finanziaria come tale va dunque e finalmente affrontata con risposte finalmente comuni. Ne sortirà più Europa, meno sprechi e certamente più risultati.
In terzo luogo, l’immigrazione, che non è solo la drammatica questione dell’ecatombe quotidiana nel Mare Mediterraneo, un problema di migliore organizzazione della gestione delle frontiere esterne e delle sfide umanitarie, ovvero di revisione di alcuni strumenti (Frontex) o regolamenti (asilo) che probabilmente risultano superati dalla dimensione degli eventi e vanno adeguati, uscendo dalle troppe sterili polemiche che spesso rimbalzano tra il Nord e il Sud dell’Europa o tra alcune capitali europee e Bruxelles. Bene il primo passo fatto a Bruxelles con l’annuncio di una operazione Frontex plus, che dovrà comunque ottenere il sostegno volontario e i mezzi dei singoli Stati, ma è appunto solo un primo passo. Un’ottima proposta è stata avanzata dall’ex Presidente del PE Poettering: che il Presidente Renzi convochi una conferenza europea sulla materia come Presidente di turno dell’UE, che tocchi tutti gli aspetti dell’immigrazione, compresa la strategica partita dell’integrazione, e dei rifugiati, perché si migliori la comprensione reciproca tra i membri dell’Unione e si elaborino delle soluzioni comuni e durature. Mi pare vada ascoltato.
Tre direzioni cruciali, messe al centro dalla stessa Presidenza italiana dell’UE, che ora hanno bisogno di fatti concreti e urgenti. Il progetto europeo è apparso a un numero crescente di europei come più pesante, più intrusivo e meno inclusivo, come ha sottolineato un importante economista greco, Loukas Tsoulakis. E’ ora che torni ad essere percepito come un grande cantiere strategico, un luogo ove si costruisce una concreta speranza per i nostri figli, una Europa che sostiene e che protegge, una Europa che sa tornare ad essere un luogo dove si guarda al futuro e si continua a coltivare la santa voglia di cambiare il mondo. E per farlo c’è solo una strada: fatti, non parole, perché di dichiarazioni e programmi abbiamo ormai riempito gli scaffali e ce n’è davvero per tutti i gusti. Le tappe sono già segnate: il vertice del 30 agosto e il Consiglio europeo del 23-24 ottobre. Non c’è più tempo da perdere.
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