Economia circolare

Europa, il vestito buono è ancora troppo corto

Solo il 12% dei nostri abiti viene recuperato, il resto, spiega il report dell’Agenzia europea per l’ambiente, finisce nella raccolta indifferenziata e distrutto. È infatti vestiario l'82% dei 7 milioni di tonnellate di rifiuto tessile prodotto in Europa. Eppure tante storie sociali ci dicono che un percorso virtuoso sarebbe possibile. L'esempio della rete Tess Geie

di Daria Capitani

La storia dei vestiti che indossiamo non dura il tempo che trascorrono nel nostro armadio. C’è un prima e c’è un dopo, e la consapevolezza di quel prima e quel dopo è il primo passo, fondamentale, per scalare la montagna dei numeri dell’ultimo miglio di un abito: il momento in cui diventa rifiuto. Li restituisce il briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente, diffuso il 21 maggio scorso, che mette nero su bianco un dato che sarà presto sul tavolo del neo eletto Parlamento europeo: la maggior parte dei rifiuti tessili non viene riciclata separatamente, nonostante molti Stati, Italia compresa, abbiano anticipato l’obbligo, dal primo gennaio 2025, di istituire la raccolta differenziata dei materiali tessili.

Vita e destino dei nostri abiti

L’Unione Europea ha generato nel 2020 circa 6,95 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, un peso che a persona si traduce in 16 chilogrammi. Molto più di quello che inseriamo nel bagaglio a mano alla partenza per un viaggio. Di questi, soltanto 4,4 sono stati destinati al riutilizzo e al riciclaggio. Gli altri 11,6 sono finiti nell’indifferenziato.

Il rapporto intitolato “Gestione dei tessili usati e di scarto nell’economia circolare europea” porta numeri e analisi: in più della metà degli Stati membri, è già obbligatorio raccogliere i tessuti separatamente ma la raccolta è finalizzata principalmente al riuso. «Se le capacità di smistamento e riciclaggio non vengono ampliate in Europa», si legge nel documento, «vi è il rischio che quantità significative di rifiuti tessili raccolti continuino a finire in inceneritori o discariche o a essere esportate in regioni al di fuori dell’Ue». L’analisi giunge a una conclusione importante: servono un’armonizzazione della filiera e una rendicontazione obbligatoria sulle quantità e sulla gestione dei tessuti usati e di scarto per fissare gli obiettivi futuri verso la circolarità.

Per realizzare il briefing e la relazione correlata, l’Agenzia europea dell’ambiente ha inviato un questionario nel giugno 2023 tramite la rete Eionet a 30 paesi, a cui hanno risposto in 27. Le risposte offrono un quadro sulla vita e il destino dei nostri abiti.

Innanzitutto, l’origine dei rifiuti tessili. Delle quasi 7 milioni di tonnellate prodotte in totale nel 2020, l’82 per cento era stato utilizzato come abbigliamento o tessuti per la casa, dunque si tratta di rifiuti post-consumo. Sugli scarti pre-consumo, come i tessuti invenduti, «si stima che il 4-9 per cento di tutti i prodotti tessili immessi sul mercato in Europa vengano distrutti prima dell’uso, pari a un quantitativo compreso tra 264mila e 594mila tonnellate ogni anno».

In Italia, dal 1º gennaio 2022, in anticipo rispetto alla normativa europea, è scattato l’obbligo per i Comuni di istituire sistemi di raccolta differenziata dei rifiuti tessili. Qui, come nella maggior parte dei paesi europei, la raccolta avviene attraverso cassonetti posizionati nei punti di raccolta differenziata o tramite il porta a porta. Il tasso medio di raccolta dei rifiuti tessili in Europa è del 12 per cento, il resto finisce in rifiuti indifferenziati e portato in discarica o incenerito. Secondo il report, «questi dati mostrano un significativo margine di miglioramento nei sistemi di raccolta separati per i tessuti». Il Lussemburgo (50 per cento) e il Belgio (50 per cento) hanno i dati più alti per la raccolta di tessuti differenziati, seguiti da Paesi Bassi (37 per cento) e Austria (30 per cento). L’Italia è al nono posto, al di sotto del 15 per cento.

«Il riutilizzo è la forma più alta di recupero di rifiuto tessile, in grado di garantire la migliore sostenibilità dal punto di vista ambientale, sociale ed economico»

L’importanza della pre-selezione

Con l’attuazione del regolamento Ue sulla raccolta separata dei rifiuti tessili entro il 2025, si prevede che le percentuali di raccolta dei tessuti aumenteranno, anche se la qualità complessiva degli articoli recuperati potrebbe diminuire. «È probabile che questo riduca l’incentivo al riutilizzo e potrebbe portare a un maggiore riciclaggio», si legge nella relazione, «un’opzione meno sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto al riutilizzo. L’ottimizzazione dei sistemi di raccolta è attualmente il tema su cui lavorare per consentire sia alte percentuali di raccolta che buone condizioni per il riutilizzo. Ad esempio, una migliore pre-selezione alla fonte per distinguere tra tessuti riutilizzabili e non riutilizzabili, insieme a una migliore informazione ed educazione rivolta al cittadino, potrebbe aumentare la percentuale di riutilizzo e riciclaggio».

Meglio il riutilizzo o riciclaggio?

Non è una gara, ma occorre avere in mente la differenza. Il riutilizzo consiste nel continuare a usare gli articoli così come sono, dopo un’accurata igienizzazione, mentre il riciclaggio comporta la loro scomposizione per dare vita a nuovi prodotti. Il riutilizzo è un’opzione più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto al riciclaggio e offre una serie di vantaggi socioeconomici: l’accesso all’abbigliamento da parte di persone svantaggiate e la creazione di imprese (e quindi opportunità di lavoro) incentrate sul riciclaggio, il riutilizzo o la vendita di tessuti di seconda mano.

Un esempio virtuoso tutto italiano è Vesti Solidale, cooperativa sociale onlus che fa parte del Consorzio Farsi Prossimo, nata nel 1998 e con sede a Cinisello Balsamo (Milano). Si occupa, tra le altre cose, di raccolta e gestione di indumenti e rifiuti tessili, ha una catena di negozi second hand e una sartoria sociale. A marzo ha colto l’opportunità rappresentata dall’imminente entrata in vigore del regolamento Ue sulla raccolta separata dei rifiuti tessili, inaugurando a Rho il più grande impianto di riciclo tessile del Nord Italia. Un Textile Hub da 8 milioni di euro nato da una filiera di investitori sociali che recupera e porta sul mercato il 60% dei capi raccolti: «Il riutilizzo è la forma più alta di recupero di rifiuto tessile, in grado di garantire la migliore sostenibilità dal punto di vista ambientale, sociale ed economico», sostiene il presidente Matteo Lovatti.

La responsabilità estesa del produttore

L’Agenzia europea per l’ambiente mette al centro un altro tema, quello della responsabilità. Nella proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, la Commissione europea suggerisce l’introduzione di regolamenti armonizzati sulla responsabilità estesa del produttore (Epr) per i tessuti. Significa che il produttore che immetterà sul mercato un nuovo capo, dovrà farsi carico anche del fine vita. Chi produce, distribuisce e importa prodotti tessili dovrà garantire raccolta, selezione, riutilizzo e riciclaggio dei tessuti, garantendo al contempo che i prodotti siano progettati tenendo conto della circolarità. «Per raggiungere questi obiettivi, la Commissione europea propone di destinare una parte significativa dei contributi Epr versati dai produttori tessili alle misure di prevenzione dei rifiuti e alla preparazione degli articoli per il riutilizzo».

Sistemi di responsabilità estesa del produttore per i tessili sono obbligatori in Francia, Ungheria e Paesi Bassi e volontari nella regione delle Fiandre (Belgio). Molti paesi che hanno risposto al questionario dell’Agenzia europea per l’ambiente hanno indicato che stanno conducendo studi preparatori o elaborando un programma di Epr.

L’importanza di fare rete

«Occorre di certo lavorare da un punto di vista normativo», commenta Lovatti, «ma anche culturale. Il singolo cittadino deve essere educato alla consapevolezza di ciò che acquista, dei materiali e dell’energia necessari per produrlo. L’introduzione della responsabilità estesa del produttore potrebbe essere la svolta per incentivare all’utilizzo di materie prime più sostenibili».

Intervenire a monte della filiera ma anche fare rete, uno strumento prezioso per imprese come Vesti Solidale per condividere buone pratiche: «Il Consorzio Farsi Prossimo aderisce alla rete europea Tess Geie che riunisce attori dell’economia sociale e solidale provenienti da Belgio, Spagna, Francia e Italia. Insieme puntiamo a fornire una seconda vita a 100mila tonnellate di abbigliamento, biancheria per la casa, scarpe e pelletteria ogni anno. Controllando in modo indipendente la maggior parte della catena (raccolta, smistamento, vendita locale ed esportazione, nda), i membri di Tess lavorano anche per trovare le migliori soluzioni possibili nel settore del riciclaggio all’interno dell’Unione Europea».

Secondo le stime del network Rreuse, la filiera del tessile può creare tra 20 e 35 posti di lavoro per 1.000 tonnellate di rifiuti raccolti per il riutilizzo. Aumentare la capacità di riuso, riciclo e trattamento è necessario in ottica ambientale ma può diventare vantaggioso anche da un punto di vista sociale ed economico.


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