Politica
Europa: dove siamo rimasti?
Tra pochi mesi si chiude l'Anno europeo del volontariato. Un primo bilancio
Bruxelles – Ognuno lo definisce in modo diverso, ognuno con una propria legge con cui ne regola le attività. Ciononostante il volontariato europeo è ormai una realtà. Da Lisbona a Varsavia, da Roma a Londra, gli oltre 100milioni di cittadini europei che prestano il proprio servizio come volontari sono di fatto un esercito di pace che ogni giorno garantisce coesione sociale nei propri paesi. Tanto da aver spinto Bruxelles a dedicare il 2011 al volontariato europeo.
«I soldi disponibili per questo programma sono stati purtroppo pochi, ma è un percorso lungo che va fatto fino in fondo» precisa subito Marian Harkin, parlamentare europeo irlandese, impegnata nel sostegno all’intero non profit in tempi non sospetti e fra i maggiori sponsor del EVY2011, al secolo lo European Volunteering Year. «A settembre la Commissione farà il punto di come è andato finora il progetto e solo allora sapremmo qualcosa in più».
Una communicazione UE molto attesa
Secondo fonti raccolti da Vita presso il braccio esecutivo dell’Ue, la Commissione Barroso dovrebbe presentare nello stesso mese una communicazione che traccia il futuro del volontariato nell’Agenda UE 2020.
A Bruxelles la parola d’ordine in quest’Anno europeo per il volontariato è ‘legacy’. Per le associazione volontarie europee è fondamentale che l’Anno si chiuda con la possibilità che tutte le sfide del volontariato possano ottenere risposte davvero concrete in tempi possibilmente non biblici. Cosa chiede il volontariato Ue?
Le tre sfide del volontariato europeo
Sostanzialmente tre cose: definire un quadro legislativo in tutti i Paesi Ue; introdurre standard di misurazione del valore economico dell’impegno solidale e riconoscere il tempo lavoro del volontario nei progetti di cofinanziamento. Tre sfide che, assieme a eurodeputati come Marian Harkin e il Comitato economico e sociale europeo (CESE) hanno voluto imporre a Bruxelles per evitare che l’Anno del volontariato affonda nei proclami e resti un elenco di buoni propositi.
In attesa della communicazione di settembre, e soprattutto della volontà degli Stati membri a sostenere il volontariato, abbiamo chiesto ad alcuni esponenti della società civile di fare un bilancio. A sette mesi dal lancio dell’Anno Europeo del Volontariato cosa è successo? Cosa è cambiato? Quali sono i risultati finora raggiunti? E quali quelli da raggiungere entro la fine dell’anno?
In Francia la parola d’ordine è: “Sensibilizzare”
Danielle Bernedet di France Bénévolat non ha dubbi. Membro della direzione di una fra le più importanti centrali di solidarietà d’Oltralpe, madame Bernadet la spiega così: «E’ una grande occasione per migliorare la visibilità del nostro settore. La carovana che sta facendo tappa nelle principali città europee, organizzata per diffondere la cultura del volontariato, è passata anche per Parigi. Un grande evento che ha avuto risonanza nazionale».
Sensibilizzazione, quindi, questa la parola magica che riassume il senso dell’Anno Europeo del Volontariato, almeno in Francia. Ma non solo. «In questi primi mesi siamo riusciti inoltre a formare un network nazionale di associazioni che prima avevano qualche difficoltà a incontrarsi» spiega Bernadet. E conclude: «Credo che questo sia uno degli risultati più importanti che ci porteremo nel 2012».
Tutto bene, dunque? «Un punto critico rimane quello della comunicazione. Mi spiego meglio: se da un lato alcuni eventi ci hanno aiutato ad arrivare sulle prime pagine, in realtà il volontariato francese fa ancora molta fatica diventare un interlocutore costante con le istituzioni».
La delusione tedesca
Da questo punto di vista le cose non vanno molto meglio sull’altra riva del Reno, in Germania, dove Mirko Schwaerzel, responsabile dei progetti europei per il network di associazioni tedesche Bundesnetzwerk Bürgerschaftliches Engagement chiarisce: «E’ stata sicuramente una buona occasione, ma devo dire che non ha portato grandi novità. In Germania il settore è già molto strutturato e quindi l’Anno europeo del volontariato non ha fatto altro che fornirci una cappello istituzionale e qualche finanziamento, ma non ha ampliato le capacità del settore».
Gentile, ma severo, nel suo giudizio, Schwaerzel aggiunge: «Un altro problema è che un progetto del genere, calato da Bruxelles insieme al suo fardello di burocrazia, non ha avvicinato all’Europa le piccole associazioni sul territorio, le quali stanno vivendo l’evento, diciamo così, “per sentito dire”».
Il manifesto del Cev
Chi invece spende qualche parola in più per l’iniziativa è Martijn Pakker, direttore del Centro Europeo del Volontariato: «Sono in carica da pochi mesi come direttore del Cev, ma l’impressione è che questo programma ha permesso al settore di farsi vedere, di conoscersi meglio e soprattutto di accrescere il proprio prestigio all’interno delle istituzioni europee». Tradotto: molti più parlamentari europei e membri della Commissione hanno preso coscienza di un intero settore di cui non conoscevano pressoché l’esistenza.
E ora? «Ora bisogna vedere cosa rimarrà di questo anno» si chiede Renzo Razzano, vicepresidente vicario del Cev e presidente del Centro di Servizio per il Volontariato del Lazio, SPES. Che aggiunge: «un obiettivo importante sarebbe l’adozione da parte della Commissione di alcuni fra i punti espressi nel Manifesto del volontariato europeo proposti nel 2009. Sarebbe, poi, molto importante si definisse una volta per tutte un’idea di volontariato comune a tutti gli stati membri e alle relative legislature con cui poter finalmente confrontare il settore da paese a paese in modo più omogeneo».
Siti:http://www.eyv2011.eu/; http://www.cev.be/
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