Politica
Europa, dove sei?
Sul sociale la Ue ha due pesi e due misure: innovativa per l'impresa, assente sul fronte dei migranti. Occorre superare il deficit democratico favorendo il libero confronto sul valore dell’unità europea e la partecipazione attiva della società civile, dei giovani in particolare
L’Unione europea si è sempre riferita a un modello economico neoliberista basato sui diritti e sulla capacità di redistribuzione, con servizi sociali e welfare adeguati, dei governi degli Stati membri. Essendo un’unione pattizia di paesi sovrani, il calendario delle elezioni nei 27 Stati non consente allineamenti su questioni strategiche (trattato di Lisbona del 2009) se non in momenti particolari. L’iniziativa della Commissione, braccio esecutivo dell’Ue, è quindi fortemente condizionata e limitata dai differenti calendari politici. Fino ad episodi recenti anche il Parlamento europeo non è riuscito a far valere a pieno la sua voce.
È estremamente difficile per il Coreper, comitato degli ambasciatori presso l'UE dei 27 paesi, trovare sintesi per le decisioni del Consiglio. Quindi ci si rimette spesso all’autorevolezza di leaders quali Merkel e Draghi, come in passato Kohl, Mitterand, Delors, i padri fondatori. Il Consiglio ha talvolta un invitato in più, la signora Crisi e abbiamo visto affrontare temi decisivi, ultimo la parziale mutualizzazione del debito pubblico. Ma in genere assistiamo a discussioni tra frugali e spendaccioni che sviano l’attenzione da problemi prioritari.
Anche se l’Unione si dimostra all'avanguardia nello sviluppo dell'economia e nell'imprenditorialità sociale (pensiamo al recente summit sociale di Porto e al Piano d'azione sul pilastro europeo dei diritti sociali) registrandone i vantaggi economici e sociali per la comunità, non è riuscita finora a esprimere un effettivo coordinamento delle politiche sociali nazionali né a costruire una politica d’insieme sul tema pressante dell'immigrazione. La solidarietà, in particolare, ha subìto uno strano destino come dimostrato dalle politiche regionali e di coesione nelle quali è stata pensata a lungo come il risultato dell’ampliamento dei mercati. Questa incoerenza si spiega con le limitazioni dei trattati e con le aritmie che abbiamo descritto sopra ma anche con l’assenza della visione win win di una politica di solidarietà completa e di lungo periodo.
Il fatto che l'immigrazione non sia materia comunitaria ma sia rimasta materia di prevalente competenza degli Stati è certamente rilevante ma non è l’unico nodo da sciogliere. La mancanza di visione di alcuni leaders europei, l’insufficiente cultura della solidarietà nel tessuto civile di alcune nazioni, i calendari e le paure elettorali con le connesse esitazioni e contraddizioni, i veti incrociati, sono altrettanti ostacoli e ognuno dovrebbe interrogarsi per la propria quota di responsabilità. Solo una visione europea che riscopra e riparta dal coraggio e dalla lungimiranza dei padri fondatori, che sappia quindi guardare alle prossime generazioni e non solo alle prossime elezioni, può permettere il superamento di questi ostacoli.
Troppo spesso l’Ue viene chiamata in causa quando ci si vuol lavare le mani, scaricando sulle istituzioni europee il peso morale e politico di proprie responsabilità o cercando di collettivizzare e diluire il peso sociale delle scelte, contribuendo così ad una spirale nella quale rischiano di aggravarsi i problemi e la stessa costruzione europea.
Occorre superare il deficit democratico favorendo il libero confronto sul valore dell’unità europea e la partecipazione attiva della società civile, dei giovani in particolare, per esprimere l’esigenza che all’Europa monetaria ed economica si intrecci l’Europa politica, sociale e solidale. Chiedendo magari, come primo segnale, l’elezione “politica” del presidente del Consiglio europeo al prossimo turno come di fatto gia’ avviene per la nomina del Presidente della Commissione. Il Trattato di Lisbona dispone la solidarietà tra gli Stati membri di fronte ad attacchi terroristici o calamità. L’Unione ha ora bisogno, come elemento vitale, di prevedere il dovere di solidarietà politica, economica e sociale come principio normativo fondamentale.
La società civile ha un diritto/dovere di iniziativa e di pressione politica in tema di migrazione, accoglienza e integrazione e ha spazi di agibilità a livello europeo, in particolare se riesce a lavorare di concerto con il Parlamento europeo con proposte concrete per il governo dell’immigrazione e sui benefici per tutti dell’integrazione. Le contrapposizioni ideologiche verticali vanno rifiutate, destinate come sono alle macerie della lotta politica: principi non ideologie, forzando l’acceleratore sulla sostenibilità delle eguaglianze contro l’instabilità e la conflittualità delle divergenze sociali, per un progetto di azione civile liberale ma solidale dell’economia e dell’etica.
*Roberto Ridolfi, presidente di Link 2007
Foto di Artem Podrez da Pexels
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