Fondi Ue
“Europa creativa”: un canale per sostenere gli enti del Terzo settore culturale
Tutti i dettagli nell'intervista ad Andrea Pignatti, docente del programma didattico dell’edizione 2024 del Master in “Europrogettazione BeEurope” di Fondazione Triulza
di Redazione
Si chiama “Europa creativa” ed è un programma di finanziamento istituito dall’Unione europea per sostenere i settori culturale, creativo e audiovisivo in tutto il continente. «Non è soltanto cultura, ma cultura per la società», spiega Andrea Pignatti, presidente e fondatore di InEuropa, realtà che da vent’anni si occupa di progettazione e network in ambito culturale e sociale. «”Europa creativa” è adatto a supportare e valorizzare le realtà del Terzo settore e dell’economia civile, anche di piccole dimensioni, perché dal 2014 è diventato fortemente uno strumento di inclusione sociale e promozione delle tematiche sociali anche attraverso strumenti culturali».
InEuropa è un centro servizi di progettazione europea, membro della rete Global Action Plan per l’educazione allo sviluppo sostenibile e partner di diversi network europei attivi in ambiti come la cultura, i giovani e il sociale.
«Progettare per “Europa Creativa” è diventato più efficace affrontando sfide in questi ambiti, che sono quelli del Terzo settore», sottolinea Pignatti, uno degli esperti che prende parte al programma didattico dell’edizione 2024 del Master in “Europrogettazione BeEurope” di Fondazione Triulza, organizzato con il Consorzio nazionale Cgm e il Diesis Network, in collaborazione con CsvNet Lombardia e il supporto di Bcc Caravaggio Adda e Cremasco, nell’ambito del progetto Catch Mind. È nato in partnership con Fondazione Cariplo per promuovere l’internazionalizzazione del Terzo settore e l’accesso ai fondi Ue. È già possibile iscriversi alla prossima edizione che si svolgerà tra ottobre e novembre.
«I soggetti del Terzo settore sono molto attivi ed estremamente incisivi nei settori della cultura e della creatività, ambiti sostenuti da “Europa creativa”», precisa il presidente Pignatti. «Il programma si struttura in tre sezioni: Cultura, per promuovere la collaborazione artistica e cultura; Media, per sostenere il settore audiovisivo; Transettoriale, per azioni innovative e collaborazione nei settori audiovisivo e culturale. Nella prima sezione, su cui ci concentreremo nel Master, lo schema di progetto “piccola scala” rappresenta una tipologia di progetto adatto anche alle piccole realtà: sostiene iniziative non molto impegnative da realizzare, promosse da enti provenienti da almeno tre Paesi diversi, e in cui viene data rilevanza alla storia dell’ente più che alla sua “notorietà”, in quanto valorizza le esperienze ed expertise nel settore. Negli ultimi anni, molti dei progetti di successo di “Europa Creativa” sono stati quelli promossi da associazioni (anche piccole) che, grazie a questo programma, riescono ad affrontare la sfida dell’Europa e maturano esperienza in europrogettazione. Un ulteriore fattore che ha facilitato la partecipazione di piccole realtà è l’abbassamento nel 2020 della quota di cofinanziamento dal 40% al 20% per i piccoli progetti. Inoltre, partecipare a un progetto europeo rappresenta una forte legittimazione sociale dell’ente perché rafforza la propria presenza e la propria capacità operativa sul territorio».
Una buona fetta del settore culturale in Italia fa capo al mondo delle cooperative. «Con questo mondo abbiamo avuto esperienze positive di enti che lavorano anche in settori diversi da quello prettamente culturale, ad esempio quello sociale, ma che svolgono azioni di natura culturale», commenta Pignatti. «Europa Creativa dal 2014 ha cambiato “faccia”, diventando anche uno strumento di inclusione sociale e promozione delle tematiche sociali, perché sostiene la cultura come strumento di operatività anche per chi lavora in altri settori. Abbiamo esempi di progetti di teatro in carcere o con persone con disabilità o migranti. Dal 2014 c’è stato sicuramente un aumento di partecipazione. Però non credo che ci sia ancora una completa presa di coscienza, soprattutto da parte di chi non opera in ambito culturale. Chi lavora in altri settori, anche se potrebbe essere un potenziale partner o capofila, questa chiave di lettura non ce l’ha ancora. La domanda che spesso mi rivolgono i soggetti che si avvicinano al bando è: “Fa per noi?”, in virtù del fatto che spesso viene ancora percepito come programma per la “cultura fine a sé stessa”. Questa apertura e maggiore accessibilità al programma sta innovando il Terzo settore, anche se a mio avviso non è ancora compresa da tutti. Si tratta di un’innovazione rafforzata e voluta dalla nuova Agenda europea per la Cultura, pubblicata nel 2018, punto di riferimento politico che orienta il programma Europa Creativa. L’Agenda sottolinea che la cultura non è un ambito a sé stante e avulso dal contesto, ma è legata ad aspetti economici, sociali, di politica estera, ed è intrecciata anche ai temi della digitalizzazione. Gli obiettivi dei progetti possono essere di natura sociale, ambientale, occupazionale. È un nuovo paradigma che dà spazio a più enti. Anche se alcuni enti vedono il bando ancora “lontano”, idoneo solo a chi fa cultura. Non è così. Suggerirei che la chiave di lettura debba essere questa: un programma per chi fa cultura e per chi, attraverso la cultura, svolge un ruolo di cambiamento sociale ed ambientale».
A chi chiede quale sia il contributo di “Europa Creativa” alla transizione digitale, Pignatti risponde: «Il digitale è una delle priorità, in particolare il tema dell’Intelligenza Artificiale che ultimamente ha riscosso attenzione e portato a delle sperimentazioni digitali. In quasi tutti i nuovi progetti che stiamo seguendo, sono spesso richiamati aspetti legati all’Ia. Credo che il tema dell’Ia possa estendersi ancora, portando l’innovazione digitale ad altri settori culturali che fino ad oggi non lo hanno considerato nelle loro attività. Ad esempio, l’utilizzo dell’Ia nelle sceneggiature teatrali. Ma questo lo vedremo dal 2025 con i futuri progetti finanziati».
I progetti devono essere nuovi o anche già sperimentati? «Ci sono due situazioni caratterizzanti. La prima, è quella di valorizzare ciò che le organizzazioni già fanno. Partecipare ad un progetto come evoluzione di quello che l’ente già svolge. Io la definisco “europeizzazione” dell’idea. Ci sono altri che, invece, portano la loro esperienza, ma maturando un’idea progettuale nuova, non ancora realizzata, per la quale hanno bisogno di partner. Nasce quindi un progetto ex novo da una rete di soggetti europei, e il progetto si lega alla loro storia, ma è la sperimentazione di qualcosa di nuovo. Abbiamo avuto casi in cui progetti che stavano nel “pacchetto dei sogni” degli enti hanno potuto essere realizzati grazie a Europa Creativa. In tutte e due le strade, un elemento importante sono i partner: che siano affidabili, competenti nel settore e con un minimo di esperienza internazionale, che aiuta nella gestione del progetto. Inoltre, il tema della formazione è fondamentale. La storia la si costruisce facendo, certo, ma è importante apprendere anche da chi ha già esperienza. Il Master BeEurope è prezioso per acquisire capacità progettuale e gestionale, per capire cosa manca all’organizzazione. La struttura deve essere organizzata e avere le competenze necessarie, non solo per presentare ma anche per gestire il progetto: amministrative, linguistiche, relazionali… In ogni progetto c’è chi si occupa dei contenuti culturali, chi segue la parte amministrativa, chi tiene le relazioni con i partner. Ogni progetto è un lavoro in team. Certamente, sono importanti la storia e la qualità dell’organizzazione, ma la differenza vera la fanno le persone, che devono essere qualificate, con la giusta attitudine a lavorare insieme e alla dimensione transnazionale, aspetto non scontato».
Anche chi non vince porta a casa dei risultati con Europa Creativa? Pignatti non ha dubbi: «Un progetto non finanziato rappresenta un’esperienza che, oltre ad essere formativa, aiuta a capire come funziona il processo; si rafforzano le relazioni, aumentando la probabilità di essere coinvolti da altri partner in progetti futuri. Una cosa che non viene sempre valorizzata è l’aspetto che definirei emotivo: portare a termine un progetto europeo va a rompere la barriera di paura e il timore di non essere all’altezza. Inoltre, il feedback dell’Europa che dà a tutti i progetti candidati è rappresentato da una risposta e una disamina puntuale degli elementi di valutazione, che può aiutare l’organizzazione a riprendere in mano il progetto e ricandidarlo, più sicuri di prima. Spesso chi non passa, ritenta: scatta quasi un approccio di “sfida” con l’Europa, e quando c’è una valutazione comunque positiva si vuole riprovare, ci si prepara per il prossimo giro. Il fatto di avere un bando annuale facilita, dà tempo per riorganizzarsi e candidarsi in maniera più efficace».
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