Welfare

Europa, 15% a rischio

Lo rivela una ricerca sulle European Inequalities. Neanche il Lussemburgo si salva

di Elisa Cozzarini

In Europa vivono quasi 80 milioni di poveri. Questo in base ai dati del 2007, dunque prima della crisi. Nel 2000, quando fu lanciata la Strategia di Lisbona, cioè furono fissati gli obiettivi che l’Europa avrebbe dovuto raggiungere per il 2010, i numeri erano praticamente gli stessi. Oggi si sta discutendo sulla Strategia europea post Lisbona, che si chiamerà Eu2020. «Finora ha prevalso la visione per cui la crescita economica fosse sufficiente a combattere la povertà, ma i numeri e l’attuale crisi dimostrano che non è così», ha affermato Antonia Carparelli, Capo dell’Unità per l’inclusione sociale e lotta alla povertà della Direzione Affari Sociali della Commissione Europea, in occasione dell’ottava Tavola rotonda annuale sulla povertà ed esclusione sociale a Stoccolma.

Dalla ricerca “European inequalities”, sulle disuguaglianze nell’Unione europea, dell’istituto per la ricerca sociale TÁRKI di Budapest (www.tarki.hu/en/publications/EI), emerge che oltre il 15% della popolazione europea è a rischio povertà (ha un salario minore del 60% della media europea). In Italia la percentuale è maggiore e arriva quasi al 20%. Un dato sorprendente, però, riguarda il ricco Lussemburgo che, pur avendo la percentuale più bassa di poveri, ha anche quella più alta di genitori soli a rischio povertà, quasi il 50%. In Italia questo dato è poco sopra il 30%. In tutta l’Ue c’è una grande differenza tra i bambini immigrati poveri e gli autoctoni. Anche qui Lussemburgo ha i valori più alti, mentre in Italia le percentuali sono inferiori alla media europea.

«Anche se la crisi rende ancor più evidente il fatto che la sola crescita economica non basta a sconfiggere la povertà», ha affermato ancora Carparelli, «oggi negli Stati membri dell’Ue si evidenziano due tendenze opposte: da una parte si ritiene necessario investire nel sociale per mantenere la coesione sociale, dall’altra si fanno i conti con la mancanza di risorse». Sulle tematiche sociali, tuttavia, l’Ue ha solo il potere di dettare delle linee di principio, ma non di fare direttive che gli Stati membri sono obbligati a recepire.

È ancora incerto se nella strategia Eu2020 saranno inclusi gli indicatori del Metodo di Coordinamento Aperto sulla protezione e inclusione sociale (MCA sociale), uno strumento chiave per il controllo dell’attuazione dei target fissati dalla Commissione europea a Lisbona nel 2000. Nel 2005 si era deciso di eliminare questi indicatori dagli obiettivi per il 2010 e renderli indipendenti, perché era evidente che la povertà non sarebbe stata vinta nel 2010.

Oggi la crisi rimette più che mai al centro la questione. «I nostri sistemi di protezione sociale ci hanno aiutato ad attenuare gli effetti della recessione», ha affermato il Commissaro europeo agli Affari Sociali Vladimir Spidla, «ma spesso sono i soggetti più vulnerabili a fare le spese in situazione di crisi: alla perdita di lavoro si aggiungono le difficoltà economiche e l’accesso a un alloggio adeguato e al credito. Nel breve termine, è vitale prevenire circoli viziosi di disoccupazione ed esclusione sociale. Ma allo stesso tempo dobbiamo pensare a mantenere la sostenibilità dei nostri sistemi di protezione sociale perché anche le future generazioni possano trarne beneficio


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