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Intervista a Andrea Riccardi, fondatore della Communità di Sant'Egidio: la geopolitica che rilancia l'Africa è l'unica che puo dare un futuro all'Italia

di Joshua Massarenti

Vita: In un suo intervento al Forum internazionale sullo sviluppo dell?Africa tenutosi a Palermo il mese scorso, ha lanciato un?accusa durissima nei confronti dell?Italia, da lei ritenuta responsabile «negli ultimi 15 anni di una vera e propria ritirata dal continente africano». Quali i suoi riscontri per lanciare una tale accusa?
Andrea Riccardi: Più di una ritirata, si tratta di un?introversione dell?Italia sullo scenario africano che si gioca su più piani. Quello politico vede il nostro Paese coprire un ruolo importante fino agli anni 90. Cito un caso che conosco bene, il Mozambico, dove l?Italia, grazie anche al contributo di Sant?Egidio, è stata la potenza occidentale più importante per l?affermazione della pace nel 1992. Poi, il nulla. Tanto per fare un esempio, nell?ultima legislatura non abbiamo mai visto un ministro degli Esteri calcare l?Africa subsahariana. Speravo nella nuova legislatura, ma ancora non l?ho visto. Poi c?è la caduta della cooperazione, in parte dovuta a questioni morali: di fronte alle accuse di corruzione si è preferito non cooperare per non peccare. Terzo punto, l?iniziativa imprenditoriale italiana, crollata a livelli storici per via della crisi economica. Da qui la mia sensazione che l?Italia si sia davvero ritirata dall?Africa, proprio quando l?Africa si apre alla stagione seppur incerta della democrazia.

Vita: Come spiega il fatto che questo governo non sia riuscito a imprimere una svolta?
Riccardi: Qualcosa è stato fatto. Penso ad esempio al segnale lanciato da Prodi con la sua visita all?Unione africana. Tuttavia non basta per fare una coerente politica di lungo respiro. Ci vogliono soldi, ma i soldi non ci sono. Ancora una volta, non è un problema di questo governo, ma di un?introversione generale dell?Italia rispetto a questo continente che riflette una politica bipartisan totalmente ripiegata su stessa. Non si vuole capire che l?Africa è anche un?opportunità per pensare l?Italia.

Vita: C?è anche una responsabilità della società civile?
Riccardi: Il problema di fondo non è la società civile, bensì il sistema Italia. Da lì non si sfugge. Detto questo, penso che si siano costruiti rapporti interessanti fra la società civile italiana e l?Africa. Dalla cooperazione alle università, passando per iniziative private come il progetto Dream di Sant?Egidio, testimoniano l?apporto prezioso di cui è capace la cosiddetta ?società civile?. Ma sono soltanto pezzi di un sistema poco orientato all?Africa. Ed ecco un altro sbaglio che chiama in causa il fenomeno migratorio. Il nostro Paese accoglie una parte dell?immigrazione africana. Ora, come diceva il grande storico delle relazioni internazionali, Jean-Baptiste Duroselle, non si può parlare di immigrazione, ma di invasione. Abbiamo a che fare con un processo storico i cui protagonisti sono soprattutto giovani e studenti che non credono più nel loro Paese. Ma diversamente dal nostro passato, scelgono la via della fuga. Da cui l?interesse dell?Italia a investire nell?Africa al fine di scongiurare la delegittimazione degli Stati, dei sistemi e regolare l?immigrazione qui da noi. Purtroppo questi sono temi che in Italia non sono sufficientemente presi in considerazione.

Vita: In Francia c?è chi invece sembra volerlo affrontare di petto. Il presidente Sarkozy ha affermato la sua volontà di creare un?Unione mediterranea per affrontare la questione dell?immigrazione alla sua radice, ovvero dai Paesi in cui si alimenta. Un esempio da seguire?
Riccardi: è bene ricordare che quando parliamo di Africa ci riferiamo ad almeno due mondi ben distinti: da un lato, il Maghreb che si riallaccia al mondo arabo e a un sistema mediterraneo, dall?altro l?Africa subsahariana. Sarkozy ha preso le sue funzioni in un periodo in cui la Francia può vantare alcune iniziative importanti in Africa. Basti pensare alla crisi ivoriana, dove la Comunità Sant?Egidio si è inserita favorendo il recente accordo di pace siglato a Ouagadougou, in Burkina Faso. La mia impressione è che Sarkozy, almeno lo spero, non voglia soltanto salvaguardare gli interessi della Francia in Africa, ma fare qualcosa di più. Per la proposta dell?Unione mediterranea debbo ammettere che mi sento lontano da una mitica del Mediterraneo.

Vita: In che senso?
Riccardi: Nei confronti del Mare Nostrum nutro due percezioni: una che si tratta di un sistema unitario, con dei tratti comuni che unisce, noi, greci, arabi, israeliani. Dall?altro c?è la percezione di avere a che fare con un mare di diversità incredibili: orientali, ortodossi, turchi, arabi, cristiani, musulmani, ebrei, israeliani musulmani e così via. Quindi parliamo di un sistema complesso. Il discorso dell?Unione è positivo nella misura in cui si comincia a pensare a un quadro comune mediterraneo. Non può essere pensato sul modello dell?Unione europea, né sull?idea dell?Unione africana. Di sicuro, il processo di Barcellona ha perso molti colpi, ma uno scambio di idee tra mondi diversi ci vuole. Su questo tema Giorgio la Pira è stato un maestro di pensiero. Sin dagli anni 50, infatti, il politico italiano aveva intuito che il Mediterraneo doveva essere pensato come un insieme e non come un?entità mitizzata. Confido nella volontà di Sarkozy di voler istituire un forum Mediterraneo in cui possano dialogare governi, Paesi e società civile. Del resto l?anno scorso, eravamo presenti a Parigi per partecipare a un?iniziativa sul Mediterraneo ideata da Chirac. Ora tutti sanno gli interessi fortissimi della Francia nei Paesi arabi, in particolar modo in Libano.

Vita: Già, il Libano. Non è che stia andando tanto bene?
Riccardi: La questione libanese è gravissima. Abbiamo fatto una gran battaglia per la democrazia nel mondo arabo attraverso l?Iraq, ma perdere il Libano significa perdere il pluralismo nel mondo arabo. Ora, il pluralismo nel mondo arabo si definisce sotto due aspetti: il pluralismo e i cristiani. Perché i cristiani sono gli Altri, l?alterità del mondo arabo al di là dell?Islam. Purtroppo in Iraq li stiamo perdendo, in Palestina sono rimasti quattro gatti, quindi rimangono tre Paesi: l?Egitto, il Libano, ridotto ma forte, e la Siria dove la comunità cristiana sta crescendo con la presenza dei profughi iracheni. Non faccio questo discorso per una fraternità cristiana che pure sento molto. Insisto sul fatto che la presenza di cristiani in questi Paesi è di per sé un primo segno tangibile di pluralismo nel mondo arabo. Quindi un?Unione mediterranea in grado sorreggere la complessità del Mediterraneo è una cosa molto importante.

Vita: Tornando a quella parte di continente africano in cui vi siete maggiormente impegnati, lei ha parlato di disimpegno generale dell?Italia in Africa. Ma non è che dall?altra parte è venuta a mancare una leadership africana in grado di gestire efficacemente gli aiuti dell?Occidente?
Riccardi: Prima avevamo a che fare con leader africani formati dal marxismo, che poi non era né occidentale, né coloniale, ma una grammatica del governare. Poi abbiamo avuto la democratizzazione e non si capisce neanche più a che tipo di culture politiche ci stiamo rapportando. Tante volte ci sono dei legami identitari un po? particolari, oserei dire un po? massonici. Penso che in molti Paesi ci sia una buona leadership, dotata di personalità in grado di sapersi muovere a livello internazionale. Ci sono anche giovani imprenditori emergenti. Quello che manca però è lo Stato. A tutti i livelli. Il problema Stato – quindi la certezza del diritto, il rapporto con l?amministrazione, la possibilità di avere servizi in tempo reale, i disfunzionamenti della polizia – è la questione centrale dello sviluppo in Africa. Sto parlando del funzionamento ordinario di un?amministrazione. Quindi investire nello Stato da parte nostra è una cosa molto interessante. A Palermo si è discusso della possibilità di effettuare scambi tra avvocati, amministratori pubblici e così via. Su questo bisogna lavorare, perché ne va della sorte di tutte le iniziative promosse dal volontariato piuttosto che dagli imprenditori.

Vita: Il ruolo della Chiesa in Africa. Il passaggio di pontificato segna qualche cambio di strategia politica?
Riccardi: Io ho colto in Benedetto XVI un grande interesse per l?Africa. Ho avuto modo di parlare con lui sui progetti che Sant?Egidio sta portando avanti in Africa sull?Aids, e ho visto un uomo attento e appassionato. Ma il problema è un altro. Abbiamo conosciuto una grande stagione della Chiesa. Quella post coloniale si è rinnovata in modo fortissimo, avendo poi il coraggio di operare nei processi di transizione verso la democrazia. Oggi però la sfida è quella delle ?sette?. Ogni volto che torno in Africa vedo spuntare come funghi nuovi centri neo protestanti. Durante i periodi coloniale e post coloniale, la Chiese cattolica e protestante erano paragonate a Chiese dell?Impero. In questa globalizzazione, tuttavia, ho l?impressione che ad avere mire imperialistiche siano questi movimenti religiosi. Inoltre la frammentarietà di queste Chiese le rende molto più deboli davanti al potere civile. Ora, la Chiesa cattolica ha avuto un ruolo importante nel denunciare la corruzione oppure nel promuovere la carità a tutti, erga omnes, mentre invece queste Chiese tendono a voler arricchire soltanto i loro membri.

Vita: Come spiega il successo del fondamentalismo protestante?
Riccardi: Perché gli africani sono disperati. Perché vogliono risposte quotidiane al dolore, alle malattie ma anche al problema del successo. Questa disperazione coincide con l?indebolimento della Chiesa missionaria. Il deficit di pastorale è un?altra grande sfida per la Chiesa. Oggi non ci sono più giovani missionari. In alcune regioni del Mozambico non si celebrano più i funerali per il semplice motivo che non ci sono più i preti. E quindi cosa si fa? Si chiama il pastore di una setta. Eppure, nonostante i loro limiti, i missionari hanno avuto un grande amore per l?Africa. E quando si scriverà con vera obiettività la storia della missione in Europa, si scriverà la storia di una grande passione euroafricana.

Vita: Dalle sue parole, si coglie una grande preoccupazione per i giovani di questo continente. A Palermo ha evocato un Erasmus africano. Di che cosa si tratta?
Riccardi: è necessario investire nelle strutture universitarie africane perché oggi chi ha un titolo di studio qualificato in Africa non solo trova lavoro, ma può davvero contribuire alla crescita del proprio Paese. L?Erasmus è proprio rivolto a quei studenti che, una volta conclusa un?esperienza di studio in Europa, poi se ne tornano nel Paese di origine per dare una mano al proprio popolo. Purtroppo abbiamo i cacciatori di teste che ogni anno portano via circa 20-25mila giovani africani per mandarli a lavorare negli Stati Uniti e in Europa. Ma lei lo sa che ci sono più medici malawiani a Manchester di quanti ce ne siano in tutto il Malawi?

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