Welfare

EurAdopt: un adottato su tre va in cerca delle proprie origini

EurAdopt, giorno uno. Una buona adozione parte dalla raccolta del maggior numero di informazioni possibili sul bambino e sul suo abbandono. Altro tema cruciale è la ricerca delle origini: in Olanda un terzo degli adottati si è messo alla ricerca dei propri genitori biologici e il 64% degli adottati è tornato a visitare il proprio paese di origine

di Sara De Carli

280 partecipanti, da 24 paesi del mondo. Questi i numeri della XIII Conferenza Internazionale di Euradopt, iniziata oggi a Milano. EurAdopt è un network che riunisce oggi 26 enti autorizzati alle adozioni internazionali, nato nel 1993. Il tema posto per questa XII Conferenza Internazionale è “The Intercountry Adoption Dilemma”, ovvero una domanda: “l’adozione internazionale è ancora uno strumento valido di protezione dell’infanzia abbandonata?”.

Qui una breve sintesi degli interventi della prima giornata, che aveva due focus: i numeri e l’impatto dell’adozione internazionale.

Mia Dambach, direttrice dell’International Social Service ha parlato di 2,7 milioni bambini nel mondo che vivono in un istituto. Non tutti sono adottabili, anzi, la maggioranza ha una famiglia biologica, ma Dambach ha sottolineato l’importanza del capire le loro storie per avere adozioni più solide. Il dossier di ogni singolo bambino dovrebbe essere frutto di un grande sforzo per recuperare il maggior numero di informazioni possibili, sia soggettive sul bambino sia oggettive sul paese: perché è stato abbandonato, se si è cercata una soluzione, quale tipo di sostegno è stato proposto a un genitore… «Come si possono trovare i genitori adatti a quel bambino se non si hanno informazioni sufficienti sul bambino? Questo è un obbligo internazionale, abbiamo bisogno di tutte queste informazioni per avere adozioni più solide e sicure ma anche perché poi in futuro i ragazzi abbiano la possibilità di avere accesso alle loro origini. Quando lavoriamo con i paesi di origine, dobbiamo dire anche “le informazioni che ci state dando non sono sufficienti per fare una buona adozione”», ha detto Dambach.

Molto atteso l’intervento di Peter Selman, professore della Newcastel University, esperto di adozioni, che ha intitolato il suo speech “The decline in global numbers”. In questo momento – ha detto Selman – i numeri delle adozioni internazionali sono i più bassi dal 1980, nel 2016 si sono state appena 11mila adozioni internazionali nel mondo, in 23 paesi di accoglienza. Lo sguardo di Selman ha ripercorso un poco la storia, con una stima di 500mila minori adottati con l’adozione internazionale dalla Seconda guerra mondiale ad oggi e un aumento esponenziale delle adozioni fra il 1998 e il 2004 (+42% nel mondo, con un picco del +273% in Spagna) e poi il calo a partire dal 2004 in tutti i Paesi di accoglienza tranne l’Italia, che ha visto invece i numeri salire fino al 2010. Fra il 2004 e il 2014 secondo i dati di Selman in soli 5 Paesi di accoglienza (Usa, Italia, Spagna, Francia e Canada) sono stati adottati con adozione internazionale 355.305 bambini. Dal 2010 al 2016 il crollo delle adozioni è generalizzato: -80% in Spagna e Danimarca, -73% in Francia, -63% in Norvegia, -56% negli Usa, -55% in Italia. Giardano ai continenti di origine, le adozioni dall’Asia sono rimaste costanti fra il 2003 e il 2015 (rappresentano il 43% del totale), quelle da paesi europei sono diminuite (dal 32% al 24%), quelle dall’Africa sono salite (dal 6% al 20%).

Il tema della ricerca delle origini è emerso più volte con forza, nelle relazioni come negli interventi. In Olanda ad esempio secondo Gera Ter Meulen, un terzo degli adottati si è messo alla ricerca dei propri genitori biologici, in media all’età di 32 anni e il 64% degli adottati è tornato nel paese di origine.

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