Non profit
Eto’o è finito in carcere
L'impegno del bomber all'interno del penitenziario di Douala
Il vincitore dell’Altropallone ha creato una fondazione che porta il suo nome: «La prima volta che sono andato in quella prigione ho visto cose impressionanti» «Samuel, i Mondiali saranno un’occasione anche per l’Africa?». Eto’o, in fuga dai cronisti sportivi e dalle telecamere, si blocca. Si gira, lo sguardo netto e preciso come se dovesse fare goal: «L’occasione che ha l’Africa è dimostrare che siamo capaci di organizzare un evento importante come i campionati mondiali di calcio. Sarà il Mondiale migliore giocato fino ad oggi».
Eto’o in Camerun ha dato vita a un fondazione non profit che porta il suo nome, che ha avviato progetti che puntano a educare i bambini attraverso il calcio, organizzando tornei in giro per il Paese. Nel carcere di Douala, il peggiore del Camerun per condizioni di vita dei detenuti, ha organizzato un centro di formazione per i minori.
«Ho scoperto che quello che mi fa più piacere nella vita è condividere quello che ho con altre persone», afferma il calciatore. «Nei confronti dei ragazzi del mio Paese poi mi sento una sorta di fratello maggiore, così a un certo punto ho voluto formalizzare questo impegno e creare una fondazione per aiutare più persone a ritrovare una strada, attraverso le relazioni e anche attraverso lo sport». Eto’o è orgoglioso del lavoro fatto nella prigione di Douala: «Qui, mentre raccolgo questo premio, sono il volto visibile di chi lavora con me e che con me è riuscito a fare qualcosa per i minorenni in prigione», dice. «Quando sono andato nel carcere di Douala ho trovato ragazzini anche di 9 anni incarcerati insieme agli adulti in condizioni difficilissime». Sul sito della fondazione si legge che i minorenni, magari incarcerati per aver rubato frutta al mercato, rimangono in prigione per molto tempo solo perché non possono pagare la tassa giudiziale che equivale a 10 euro. «Stiamo combattendo perché questo non accada più», afferma Eto’o, «nel frattempo abbiamo creato una scuola nel carcere, con professori, computer, attrezzature e per me la più grande soddisfazione è stata vedere un ragazzo che ha preso la maturità in carcere. Io non giudico mai, è Dio solo che può giudicare perché un bambino sia in prigione. Quando mi hanno detto che avevo vinto il premio, ho pensato ai ragazzi che aiuto. La mia famiglia, oggi, è aumentata, non è stretta al mio nucleo personale. Ho pensato a questo ragazzo, che adesso è all’università».
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