Formazione

Etnico

Intervista a Enzo Napolitano: Una parola dall’incerto destino, che viene tirata verso il folklore, quando non copre il terrore. Com’è possibile finalmente normalizzarla?

di Sara De Carli

Vita: Sembra un aggettivo innocente, che ha a che fare con il folclore di un abito, un sapore, un oggetto particolare con cui portiamo l?esotico a casa nostra. Ma etnico è anche un modo per etichettare, sottolineare le differenze e forse un giocare con il fuoco, al confine con il razzismo. Etnico non è un aggettivo pericoloso?
Enzo Mario Napolitano: Sicuramente è un aggettivo che deve essere precisato perché è caricato di valenze negative. Prima di fondare la nostra associazione ho fatto una piccolissima indagine, era il 2001, l?epoca della guerra nei Balcani, ed ?etnico? era immediatamente associato a ?pulizia etnica?. Ma ciò nonostante è l?unica parola utile per cominciare a ragionare sull?immigrazione e l?integrazione, per dargli una dimensione nuova. È una porta d?ingresso imprescindibile, perché pur con tutti i suoi limiti comunica molto, è chiara, diretta, efficace, non deve essere spiegata: interculturale è già per addetti ai lavori. Etnico è uno spazio di dialogo perché consente di avvicinare le persone più disparate, che poi possono parlare, confrontarsi e precisare il concetto. Noi alla fine l?associazione l?abbiamo chiamata Etnica: è un aggettivo pesante, però forse non c?erano alternative. Soprattutto è un aggettivo che può avere un ruolo determinante nel ridisegnare l?integrazione se lo spendiamo nell?economia e lo mettiamo vicino alla parola marketing.

Vita: Perché?
Napolitano: Perché il marketing è ancora monoculturale, fa riferimento alla cultura dominante. Le aziende promuovono prodotti e servizi indirizzandosi a un pubblico omogeneo, normale, che non esiste nella realtà. L?Italia ha 180 etnie immigrate, gli immigrati sono il 14% della popolazione scolastica, il 12% della popolazione attiva, l?Abi dice che tra qualche anno saranno il 10% della clientela bancaria? Se la situazione è questa, continuare a usare gli stessi vecchi linguaggi monoculturali non ha senso. Da un punto di vista sociale, ma anche economico, imprenditoriale, commerciale. Non ha nessun senso. Certo puntare sulla normalità nel breve termine paga, non dà nessun rischio in termini di immagine e investimenti, però sul lungo termine è fallimentare. Vita: Però digitando ?etnico? su Google le prime due pagine parlano di cibo, gioielli, musica? Mi sembra che l?etnico dal punto di vista commerciale ha già preso ampiamente piede.Napolitano: Il monoculturale ha sempre bisogno di trovare suggestione nuove e le cerca nelle culture diverse. Però si tratta di suggestioni, di prodotti in grado di restare affascinanti e suggestivi anche dopo essere stati addomesticati. Quelli che lei cita sono tutti prodotti con un contenuto folcloristico ma non antropologico. Non esiste nessun apprendimento culturale, contatto o scambio. Il marketing etnico è solo un marketing del suggestivo indirizzato al cliente monoculturale.

Vita: ll governo britannico però ha annunciato che entro fine anno emetterà delle obbligazioni islamiche, che rispettano i principi del Corano. Quindi qualcuno che pensa prodotti specifici per segmenti di mercato diversi dal target monoculturale c?è?
Napolitano: Sì, ma in genere si tratta di marketing multiculturale, che non è altro che la somma di tante offerte monoculturali. Le culture sono tante: gli islamici, il mondo gay, le diverse abilità fisiche, gli anziani. Si propone un servizio ben organizzato dedicato a un target specifico, percepito come profittevole e servito in ambienti chiusi. Ai clienti viene offerto non solo un servizio: gli si dà anche l?identità, una comunità e di fatto un ghetto. Pensiamo alle scuole religiose, alle macellerie islamiche, alle agenzie di viaggi per gay. Il target è mantenuto rigorosamente separato, perché così rende di più: più rafforzo le differenze identitarie, più il target rende. Questo avviene anche nella stampa etnica e nello sportello bancario per i musulmani?

Vita: Enfatizzare l?elemento etnico non rischia di alimentare l?integralismo? Non è meglio un?offerta indistinta che prescinda dagli elementi etnici?
Napolitano: Il rischio di integralismo si ha se faccio rendere la mia identità sviluppando un marketing antagonista rispetto alla cultura dominante. Uno dei rischi dell?attuale mancanza di indirizzo politico sulla dimensione commerciale dell?immigrazione è che tutte queste monoculture si rafforzino e si ghettizzino, che si crei un?economia fatta di tante monocolture. È il caso di un musulmano che apre la macelleria islamica o di un gay che apre un?agenzia per gay: il marketing comunitario è un servizio di un membro della comunità alla comunità stessa, dove in genere le finalità commerciali si mischiano con quelle etiche, sociali e politiche.

Vita: Qual è il modello che ha in mente lei per far scoppiare un cortocircuito positivo tra etnico e marketing?
Napolitano: Il mercato è di per sé un luogo di dialogo e di scambio, che riduce le barriere: per questo credo che sia un luogo privilegiato per l?integrazione. L?ideale è che nello stesso luogo io riesca a servire più culture (tutte è impossibile), senza separarle, creando luoghi comuni in cui è possibile lo scambio e la cooperazione. Il luogo d?eccellenza per il marketing interculturale è il supermercato, dove io italiano medio entro e trovo la carne halal nel banco e se sono curioso posso assaggiarla, fare un?esperienza interculturale senza pagare prezzi culturali elevati. Un supermercato dove posso scegliere la pasta per celiaci anche se non sono celiaco e la birra a zero gradi che è lì per i musulmani. Quello è un luogo interculturale, perché l?immigrato può fare la stessa cosa comprando la fontina o il pesto. Di supermercati così ce ne sono pochissimi. O meglio, pochissimi lo fanno con questa consapevolezza, molti lo cominciano a fare inconsciamente, per motivi meramente commerciali.

Vita: Ha un nome tutto questo?
Napolitano: Si chiama welcome marketing o marketing interculturale. Accanto all?obiettivo di servire il migrante in quanto cliente si pone quello di accompagnarlo nel percorso di integrazione, cercando di sviluppare il suo potenziale. Quand?è che il migrante dal punto di vista economico, sia come cliente sia come imprenditore, esplica al massimo le sue potenzialità? Quando mantiene la sua identità ma si apre ad altre culture e quindi sviluppa una creatività nuova. Il vertice dell?integrazione è l?immigrato imprenditore aperto a clienti e fornitori di tutte le altre nazionalità, che va a cercare i fornitori dove lo porta la convenienza, non l?appartenenza. In Italia sono il 70% degli imprenditori immigrati.

Vita: Quali altri luoghi vede per il welcome marketing oltre al supermercato?
Napolitano: Immaginiamo una banca interculturale: è una banca in cui le porte d?accesso consentono a un portatore di handicap di entrare senza fare manovre assurde, dove il non vedente trova la segnaletica interna e la comunicazione cartacea scritta in braille, dove i moduli sono stampati di default in più lingue, che ha tra i vari prodotti un conto corrente a tassi attivi e passivi zero per servire il target islamico senza ghettizzarlo. Ci sono tantissimi modi per servire in uno stesso luogo tanti target all?insegna della normalità. Sicuramente la comunicazione multilingue deve diventare lo standard: poter leggere un modulo nella propria lingua serve a chi è appena arrivato ma anche – penso ai contratti bancari, telefonici, alle assicurazioni – per dare fiducia in una scelta delicata. Se noi italiani non capiamo i contratti scritti in italiano e ci sentiamo sempre in soggezione, perché dobbiamo pretendere che un immigrato firmi a cuor leggero un contratto scritto in italiano? Certo che costa, però è un dovere verso il cliente e anche una opportunità.

Vita: La comunità cinese, per esempio, sarebbe meno chiusa se ci fossero banche così?
Napolitano: L?anno scorso, in agosto, ero in via Paolo Sarpi a Milano. Entro in una banca e trovo scritte in cinese, il materiale è in cinese, mi chiamano un?impiegata cinese che serve italiani e cinesi. Cinquanta metri più avanti c?è la filiale di una banca molto più grande, che non ha una sola comunicazione o un solo dipendente che parli cinese. Tutti gli attori economici e sociali hanno la possibilità e il dovere di intervenire per dialogare con una comunità, per cambiare le cose. La logica purtroppo è ancora questa: siamo in Italia e qui si parla in italiano e se tu hai bisogno ti adatti. Ma quando mai è il cliente che ha bisogno? Dobbiamo attuare la ?legge della variabilità necessaria?: se il 10% della popolazione impiegata è fatta di immigrati, non posso vendere un servizio pensato e veicolato sempre e solo da italiani.

Vita: Vuol dire che deve cambiare qualcosa anche nella comunicazione e nella pubblicità?
Napolitano: A Biella un hard discount ha rifatto il negozio: i cartelli che danno il benvenuto sono scritti anche in arabo. Nelle pubblicità invece le apparizioni dei migranti sono rarissime e per lo più negative, stereotipate. La pubblicità migliore finora apparsa da noi è quella con Fiona May, dove il tema del colore è giocato con molta raffinatezza estetica. Un?altra strategia comunicativa buona è quella di Vodafone, che ha inserito il pacchetto dedicato ai migranti, One nation, in mezzo a tutte le altre offerte, normalizzando così il target migrante. Purtroppo ci sono ancora tantissime pubblicità che si rivolgono al target migrante usando il termine ?straniero?: mi dica lei quale straniero ama essere definito tale. Questo vale a maggior ragione per le seconde generazioni. Bisogna puntare alla normalità. Oliviero Toscani negli anni 80 metteva l?immigrato nero accanto alla ragazza bianco latte per stupire e creare un marchio: oggi bisognerebbe riprendere quello stile e farne uno standard.

Vita: Una lista di luoghi strategici dove la presenza di immigrati dovrebbe crescere?
Napolitano: Alla Rai, per dire, quanti ce ne sono di immigrati? Ci vorrebbero immigrati nei media, nella comunicazione, negli istituti di marketing. E poi in banca, nella grande distribuzione, nella scuola e nella sanità: in fondo il marketing interculturale è l?evoluzione in campo economico della mediazione culturale.

Vita: Non c?è il rischio che questo diventi la prossima frontiera della csr usata solo per rifarsi l?immagine?
Napolitano: No. Il servizio agli immigrati non è un?operazione che paga a livello di immagine: chi lo fa, lo fa perché ci crede.

Vita: Il terzo settore e l?impresa sociale in questa logica quali nuovi servizi possono proporre?
Napolitano: Ma il terzo settore fa servizi welcome da decenni, il problema è che lo faccia il profit.


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