Politica

Etica d’impresa. Anche l’Onu scende in campo

Approvate, con il consenso unanime delle ong, norme che impongono alle aziende il rispetto dei diritti umani. Un successo che viene da lontano.

di Francesco Maggio

Una decisione che viene da lontano, che ha avuto una lunga genesi che risale ad almeno una quindicina di anni fa. L?approvazione delle norme Onu sulla responsabilità sociale d?impresa il 13 agosto scorso è il risultato di un lungo lavoro che ha visti coinvolti università, centri di ricerca, organizzazioni non governative, singoli studiosi. E che cominciò a essere intrapreso alla fine degli anni 80 quando si sviluppò, su scala internazionale, un dibattito piuttosto ampio (e aspro), attorno alla questione dei codici di condotta delle aziende e al peso che, soprattutto quelle di grandi dimensioni, avevano sul destino dei popoli del pianeta. «In quel frangente», ricorda Umberto Musumeci, responsabile dell?area diritti economici e sociali di Amnesty International Italia, tra le organizzazioni più attive per il buon esito della decisione della sottocommissione Onu, «si avvertì l?esigenza di capire se fosse possibile ricostruire, in alcune parti dell?ordinamento giuridico internazionale, delle norme che potessero essere indirizzate direttamente alle aziende e che avessero una valenza tale da superare quella dei singoli Stati. I Paesi democratici hanno una certa sensibilità per determinati temi. Quelli caratterizzati da regimi dittatoriali, no». «La prima conclusione cui si giunse, quindi», prosegue Musumeci, «fu che la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 già, di per sé, includeva il soggetto impresa ma entrava poco nel dettaglio dei problemi sociali ed economici limitandosi ad indicare delle linee guida, dei traguardi da raggiungere. Bisognava allora approfondire la tematica». Successo inatteso Molte ong, tra cui Oxfam, Terre des hommes, Friends of earth, Amnesty, si misero al lavoro e svilupparono sulla materia numerose concettualizzazioni coordinate dal professor David Weisbrod, una vera eminenza grigia in materia. Nel contempo, la sottocommissione Onu per i diritti umani sviluppò un altro documento, intitolato La globalizzazione e il suo impatto sul godimento dei diritti umani che in diversi punti ?incrociava? e faceva proprie le istanze delle ong. «Si trattava di uno studio», spiega l?esponente dell?organizzazione per i diritti umani capitanata, in Italia, da Marco Bertotto, «che forniva informazioni molto interessanti per esempio sulle condizioni della donna e delle minoranze etniche. Furono poste così le basi per una dialettica, in proposito, sempre più proficua tra Nazioni Unite e società civile. Lo studio si trasformò in una bozza di documento, poi in una bozza di norme per arrivare, infine, a un documento contenente norme vere e proprie, approvato il 13 agosto con il consenso unanime di tutte le ong che si erano mobilitate per centrare un simile obiettivo». Un risultato, per certi versi, insperato. «In effetti», commenta Musumeci, «è andata meglio del previsto, in agosto si prevedeva la discussione del provvedimento, non la sua approvazione. Tanto è vero che alcune organizzazioni non governative avevano proposto di mobilitarsi per fare un po? di lobbying sui governi. È prevalsa, invece, l?idea di mantenere un profilo basso, sottotraccia, teso a non svegliare il leone che dorme altrimenti sarebbero potuti scattare i meccanismi di veto reciproci. Ed è andata bene». Già, perché queste norme hanno una (potenziale) portata dirompente: eliminano, infatti, l?alibi addotto da molte imprese quando delocalizzano la produzione in Paesi dove il rispetto dei diritti umani è molto blando o non esiste affatto. Finora si sono giustificate dicendo che comunque rispettano le leggi del posto in cui vanno e non è ?colpa loro? se non c’?è nessuna legge sovranazionale che impone standard omogenei per il rispetto dei diritti umani. Inoltre, le norme non possono in alcun caso rinnegare dispositivi nazionali più stringenti in fatto di csr. Comincia la fase 2 Adesso, però, comincia la fase più difficile. Per avere forza di legge le norme dovranno prima essere approvate dalla Commissione per i diritti umani e poi dall?Assemblea generale dell?Onu. Dovrà quindi essere stilata una Convenzione che i Paesi membri dovranno approvare e ratificare. Solo allora le norme entreranno a far parte del corpo giuridico degli Stati. È facile evincere che durante questo percorso, per compiere il quale possono trascorrere anche diversi anni, l?azione di lobbying delle multinazionali potrà sortire effetti paralizzanti e bloccare ogni decisione. «È questo il pericolo più temuto», conviene Musumeci, «mi auguro, tuttavia, che, come si suol dire, il buongiorno si veda dal mattino…».


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