E’ molto difficile esprimere un pensiero sulla fecondazione assistita, quando hai dei figli. Sembra sempre di non avere titolo a farlo, di non potersi permettere.
D’altra parte, le motivazioni con cui recentemente la Consulta ha rimosso il divieto di fecondazione eterologa, che era stato posto dalla legge 40, suscitano non poche domande. Tredici anni fa, la riforma delle adozioni aveva ribadito, nel nostro ordinamento, un principio internazionalmente condiviso: il diritto del minore ad avere una famiglia. L’ho sempre trovato molto bello e molto umano, questo concetto. E’ un’idea estensiva, accogliente, universale. Non riguarda solo i bambini adottati, ha a che vedere con tutti i bambini, perché tutti possono (o dovrebbero poter) esigere questo diritto.
Definendo “diritto incoercibile” quello della coppia ad avere un figlio, mi sembra che il punto di vista sia stato completamente ribaltato. E’ un argomento terribilmente spinoso, perché entra in una sfera intima, in cui i punti di vista sono il derivato di storie personali, psicologia, religione, visione antropologica del proprio destino, puro istinto.
Perciò ci sono persone che ritengono giusto, sacrosanto, incoercibile (appunto) il diritto di generare, in qualsiasi modo possibile. Ci sono altri che pensano che oltre un certo punto non si possa andare, perché i figli dovrebbero essere visti, in ogni caso, come un dono. Tra queste due posizioni, si pone una decisione costituzionale che, comunque la si veda, non sarà indolore. L’eterologa è un gesto generativo?
Quel “diritto incoercibile” degli adulti non è già di per sé, concettualmente, un vulnus verso quello del bambino? Non tiene in scacco il suo diritto a sapere come e da chi è stato generato? E, soprattutto, a essere qualcosa di diverso da ciò che più hanno desiderato i suoi genitori?
C’è uno spazio di libertà per questi figli? Io non so rispondere.
Certo non riesco a pensare, come ho letto in queste ore, che i volontari che doneranno seme e ovuli, i mattoni della vita, vanno considerati soltanto come meri “donatori di organi”. E’ questo che sarà spiegato alla generazione di ragazzi che verrà, quando chiederanno il perché della loro esistenza?
Mi sembra che la vita abbia il diritto di essere anarchica, di cominciare e finire a modo suo. In questa immensa casualità, in cui tanti intravedono comunque un disegno, c’è molto spazio per essere fertili nel pensiero, nelle scelte di vita e di accoglienza, ancora prima che nel corpo.
Possiamo discutere fino allo sfinimento e restare su posizioni contrapposte, senza accorgerci che il nostro tempo ha preso una direzione precisa. Non ci sono nuove frontiere, non ci sono nuove libertà, non ci sono diritti e nemmeno doveri, soltanto business. Vogliamo davvero che questo presieda -con sempre maggior efficienza, certo- alla generazione dell’esistenza?
A volte non c’è pensiero razionale capace di illuminare, in grado di confortare dalle paure. Solo la poesia penetra il mistero. E ci avverte. “La lanterna che reggi non è tua, la canzone che canti non è stata composta nel tuo cuore: benché porti la luce, tu non sei la luce”.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.