Sostenibilità
Eternit. Ha vinto il «patto sociale»
Una sentenza storica, frutto di una mobilitazione condivisa. La voce di associazioni e movimenti
È lo stesso ministro della Salute, Renato Balduzzi, a sottolinearlo commentando la sentenza. «Sotto il profilo sociale la sentenza corona una lunga battaglia che ha visto fianco a fianco la Repubblica, nel senso di tutti i livelli istituzionali da quelli locali a quelli nazionali, eil pluralismo sociale, in particolare le forze sindacali e l’associazionismo dei familiari delle vittime».
«Un patto sociale» riuscito ed efficace, lo definisce Nicola Pondrano, ex operaio Eternit e storico leader del movimento di lotta all’amianto di Casale Monferrato (Al). «Si dà un messaggio storico: uniti si vince. Noi abbiamo difeso fino all’ultimo quel patto sociale costruito in 30 anni di lotta contro l’amianto a Casale».
Familiari e associazioni che hanno dimostrato tenacia sino alla fine «anche quando hanno fatto pressioni affinchè il comune di Casale Monferrato non accettasse la proposta di un risarcimento di 18 milioni di euro che Eternit aveva offerto perché il Comune ritirasse la costituzione di parte civile», aggiunge Lorenzo Miozzi, presidente di Movimento Consumatori.
Presenza storica al fianco delle vittime è stata quella del patronato Inca, tra i primi ad avviare azioni legali contro l’Eternit: tra il 1980 e il il 1988 l’Inca aveva già istruito 335 cause. «Quando siamo partiti coi singoli casi, ci venivano negati dati e informazioni», nel corso di questi anni il processo e questo risultato sono stati possibili «grazie al lavoro di Inca, Cgil e delle organizzazioni sindacali», considera Morena Piccini, presidente del patronato Inca.
IL CASO NON E’ CHIUSO. A dare l’allarme è WWF che ricorda che l’amianto è stato messo al bando in Italia solo dal 1992 e soltanto dal 1998 sono state individuate le prime aree da bonificare, ovvero oltre 20 anni dopo la sua massima diffusione sia negli insediamenti industriali che civili. Questo lascia una pesantissima eredità, «tanto che il picco di forme tumorali dovute all’amianto, secondo la letteratura scientifica, in Italia ci sarà tra il 2015 e il 2020. La speranza del WWF è quindi che questa sentenza acceleri il processo di bonifica di tutto il materiale ancora non smaltito», dice Patrizia Fantilli, responsabile ufficio legale-legislativo Wwf Italia. In questo senso anche le parole del presidente della regione Piemonte Roberto Cota: «Ora occorre lavorare per completare la bonifica delle aree e lavorare per la ricerca e la prevenzione. Sono soddisfatto per questa sentenza che rende giustizia alle famiglie delle vittime e a un intero territorio».
TROPPI RISCHI SUL LAVORO. «Sappiamo purtroppo che non possiamo abbassare la guardia», interviene Andrea Olivero il presidente delle Acli. «Troppo rischi permangono ancora nel mondo del lavoro segnato tragicamente da incidenti mortali, infortuni e malattie professionali. E troppo facile è per alcuni la tentazione di scaricare questi rischi sui lavoratori meno protetti, in Italia – tra i lavoranti in nero, soprattutto stranieri – e all’estero, nei Paesi in cui la cultura dei diritti ha meno voce o meno forza». «Purtroppo la sentenza ha dichiarato estinti per prescrizione i reati commessi dagli imputati negli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) e, a nostro giudizio, i risarcimenti riconosciuti ai familiari delle vittime costituitesi parte civile sono stati abbastanza contenuti nel loro ammontare se si pensa che quelle vite sono state ‘liquidate’ in media con una provvisionale dell’importo di 30mila euro», commenta con una certa amarezza FRanco Bettoni, presidente dell’Anmil.
FONDO VITTIME AMIANTO. «Confidiamo che l’esito di questo processo imprima una svolta anche alla politica, che la settimana scorsa in Senato ha approvato all’unanimità una risoluzione del Pd volta a far concretamente partire il Fondo vittime amianto», ricorda il sen. Felice Casson, vice presidente del gruppo Pd. «Il primo pensiero va alle vittime di Casale Monferrato, poi a tutte le altre, di altre regioni italiane che, salvo rari casi, non riescono a ottenere giustizia».
IL PROCESSO. È durato oltre 30 anni il procedimento penale che vedeva indagati i vertici dell’azienda svizzera Eternit che produceva amianto che, fra lavoratori e cittadini dei territori dove aveva i suoi stabilimenti, ha causato 2.200 decessi dovuti all’amianto e 700 malati di asbestosi. Un maxi processo anche per le oltre 6mila costituzioni di parte civile e la platea di 150 legali. Il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis Carthier con la sentenza del Tribunale di Torino del 13 febbario 2012 sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche.
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