Economia

Esternalizzazione, l’antidoto si chiama qualit

Obiettivi chiari, progetti innovativi, che rispondano ai bisogni della comunità. Così enti locali e Terzo settore possono programmare insieme la politica sanitaria

di Redazione

Se una virtuosa integrazione fra sanitario e sociale, e quindi fra impegno pubblico e contributo del privato sociale, si configura come risposta alle nuove esigenze del Paese, è pur vero che sono possibili delle ?derive? meno virtuose. Ad esempio la semplice esternalizzazione di un servizio, perseguita con il solo scopo di ridurre i costi e non con la volontà di creare buona partecipazione, condividere degli obiettivi e di valorizzare la progettualità e le competenze offerte dalla società civile. Per molti aspetti si tratta di un percorso che mortifica la cooperazione sociale, non dà garanzie di buoni risultati e certamente nulla ha a che fare con la sussidiarietà. Le amministrazioni locali… Dal punto di vista delle amministrazioni locali, la tentazione è troppo spesso quella di avvalersi semplicemente di un aiuto esterno: «I Comuni hanno capito che non possono fare tutto da soli e tuttavia non sempre si preparano a coinvolgere le cooperative e il terzo settore con una buona programmazione», spiega Pier Natale Mengozzi, presidente di Federsanità, confederazione delle federazioni FederSanità Anci regionali. «La chiave di volta per l?integrazione è una buona programmazione, il che vuol dire anche lavorare per obiettivi chiari, sollecitando progetti di qualità. Troppo spesso accade che si definisca ?programmazione? semplicemente la sommatoria dei progetti presentati, ad esempio dal volontariato. Se ci si impegnasse in questo senso, coprogettando con il privato sociale, non si verificherebbero derive come l?esternalizzazione. Ho intenzione di chiedere alle centrali cooperative un incontro per confrontarci su questi temi perché l?integrazione è necessaria ma dobbiamo impegnarci tutti perché sia un?integrazione di qualità». … e le cooperative Dalla parte delle cooperative c?è forse – come sottolinea Johnny Dotti, presidente del gruppo cooperativo Cgm – la scarsa consapevolezza di dover compiere delle scelte: «Premesso che secondo me bisognerebbe mettere in convenzione il bisogno e non il servizio, sono convinto che la cooperazione debba giocare un ruolo più attivo, rifiutandosi di partecipare a un appalto se si tratta non di progettare servizi ma di vendere ore lavoro. Vedo in questo senso due diverse ?patologie?. La prima appartiene spesso a cooperative nate su impulso del pubblico che decide di esternalizzare un servizio. In questo caso spesso manca una cultura e una filosofia del servizio e forse sarebbe meglio se tali realtà scegliessero di evolversi in cooperative di produzione lavoro. L?altra patologia riguarda le cooperative nate veramente come forme di autorganizzazione: normalmente hanno cultura e filosofia del servizio ma non riescono a maturare una consapevolezza imprenditoriale che dovrebbe spingerle, ad esempio, a valorizzare meglio le risorse umane».


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