Welfare
Espa: «RSA, un modello fallito. Adesso si faccia sul serio la deistituzionalizzazione»
Marco Espa: «Il modello di presa in carico delle persone con disabilità e anziane in residenza ha mostrato di aver fallito, nonostante l’impegno e la dedizione degli operatori che ci lavorano. Sediamoci e ripensiamo il sistema». La Sardegna, ad esempio, è la regione d'Italia prima per piani personalizzati, con un investimento da 170 milioni l'anno, per 45mila persone disabili, di cui 30mila anziani
«Il Coronavirus? Ha mostrato il fallimento del modello residenziale. A livello nazionale, passata l’emergenza, dovrà essere discusso il modello di presa in carico delle persone con disabilità e anziane in residenza: un modello che non ha semplicemente “fatto acqua” ma si è dimostrato un modello da strage, nonostante l’impegno e la dedizione degli operatori che ci lavorano. È il modello il problema, i suoi numeri, non la privatizzazione come qualcuno dice. Non deve più accadere e bisognerà investire subito risorse per creare una fase di transizione e avviare la deistituzionalizzazione. Non possiamo permetterci che domani facciamo finta di niente. Si può fare».
A parlare così è Marco Espa, presidente nazionale di ABC-Associazione bambini celebrolesi. Nel giorno in cui il direttore regionale dell'Oms Europa, Hans Kluge, in una conferenza stampa ha detto che quasi metà delle persone morte per coronavirus in Europa erano residenti di case di cura, Espa chiede che nella agenda della politica ci sia una ridefinizione delle strutture che accolgono le persone con disabilità o anziane quando restare a casa è impossibile: 5/10 posti al massimo, come nella legge sul dopo di noi. Ma la soluzione vera è supportare le persone a domicilio, con progetti personalizzati. In Sardegna ce ne sono 45mila, di cui 30mila circa riguardano disabili anziani, finanziati con 170 milioni euro di fondi per lo più regionali solo quest’anno. «Questo ha fatto da prevenzione. Ovviamente abbiamo residenze anche in Sardegna e dei pochi contagi che abbiamo avuto, molti sono in RSA: senza questi piani personalizzati che la Regione finanzia da tantissimi anni, certamente avremmo avuto numeri diversi».
Marco Espa vive a Cagliari e conosce bene la realtà di quel territorio. La Sardegna in effetti è un modello nella personalizzazione e nella coprogettazione. Qui la progettazione personalizzata prevista dalla legge 162/1998, si fa davvero. Nell’agosto del 2000, ricorda Espa, la Regione rischiava di perdere i soldi stanziati per le prime due annualità della legge (si trattava di 1,3 milioni di euro): nacquero i primi 123 progetti personalizzati della Sardegna. L’anno dopo diventarono 1.500. Ogni utente ha piano personalizzato concordato, di cui la persona con disabilità ha la gestione: l’operatore che lo segue, se lo sceglie lei, con nome e cognome, dentro al budget di spesa predefinito, che arriva al massimo a 14mila euro. «Il 90% della spesa per disabilità della Sardegna è su assistenza domiciliare e piani personalizzati, non in istituti. Il modello della legge 162 infatti è incompatibile con qualsiasi forma di istituzionalizzazione. Tutti scelgono di rimanere a casa: se sostieni un po’, queste ci mettono il proprio». Con la legge 162 tanti educatore e professionisti hanno trovato un lavoro con dei contratti domestici ad alta qualificazione: circa 15/20mila posti part time di professionisti, con il nero sparito. Queste famiglie, oggi, stanno reggendo meglio l’impatto con l’emergenza. «Sono più allenate a lavorare insieme agli operatori, è diverso dal ritrovarsi di punto in bianco senza tutti i servizi esterni su cui poggiava la quotidianità, attraverso una delega. Le famiglie abituate a fare progetti di vita individualizzati, sono più resilienti. Le famiglie ci dicono che sta andando bene, questa è stata una fase difficile ma non di disperazione». Anche nelle situazioni piu estreme c’è una risposta istituzionale: è il “Ritornare a casa”, piani personalizzati che permettono la permanenza domiciliare alle persone considerate da ospedalizzare. «Un investimento territoriale davvero all’avanguardia, con progetti che permettono alle persone gravissime – pensiamo ai tracheotomizzati e in ventilazione meccanica H24 – di ritornare a casa dalle residenze o di restare a casa, con piani finanziati fino a 60mila euro l’anno, attualmente con 3.500 beneficiari. Tutte persone fuori dai circuiti del contagio».
Ecco una via su cui orientarsi. «Le strutture residenziali non hanno saputo dare risposte, così come dimostrano i numeri di molte Regioni italiane dove c’è oggi più sofferenza, perché non hanno esperienza di coprogettazione e personalizzazione che possa virare verso sostegni territoriali e domiciliari. Manca questa cultura. Ma non possiamo farci trovare impreparati a un eventuale possibile ritorno della crisi a dicembre o a gennaio 2021».
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