Finanza e futuro
Esg, Trump guida la fuga? L’Europa può seguire una strada migliore
Non dobbiamo crescere di più per rimuovere le disuguaglianze. È rimuovendo le diseguaglianze che cresceremo di più. Parola di Anna Fasano, presidente di Banca Etica, in un dialogo a tutto campo su questo turbolento inizio della nuova amministrazione americana
Non è tutto oro ciò che luccica nella golden age annunciata da Trump. La transizione sostenibile può continuare a dire la sua. Nelle grandi scelte dell’Europa di fronte al messaggio lanciato dai giganti della finanza mondiale. O nelle decisioni di ciascuno su come gestire il proprio denaro. L’analisi di Anna Fasano, presidente di Banca Etica, dà nuovi spunti.
Fasano, perché questa fuga dagli Esg e dai programmi Dei?
Nulla di nuovo. Ma bisogna distinguere i piani dei proclami politici da quelli dei mercati. Quando BlackRock parlava del purpose non era il messia e ora che annuncia di voler mollare (quasi) tutto non è il demonio. Fa semplicemente quello che ha sempre fatto, segue il mercato.
In che senso?
Nella fase di insediamento di Trump, è in atto una verifica rapida dei soggetti che intendono schierarsi a suo fianco. Ma le mosse dei colossi confermano l’indirizzo che avevano già preso da due anni, su sollecitazione di alcuni stati americani.
È la questione delle cause legali?
Certo, come sappiamo questo tema è stato declinato anche rispetto ai danni che un’eccessiva esposizione agli investimenti sostenibili avrebbe causato ad alcune imprese quotate. Ma l’uscita di Facebook dai programmi Diversity, equity and inclusion – Dei, o di BlackRock da luoghi istituzionali come Net Zero, non vuol dire necessariamente rimangiarsi alcune scelte operative. Significa non voler sottostare a una rendicontazione e a un rapporto blindato con istituzioni caratterizzate da una chiara connotazione politica.
Smarcarsi da scelte strategiche importanti non sembra comunque un bel messaggio.
Sono d’accordo, questo è un pessimo messaggio per il futuro dei mercati che, però, sui mercati stessi, oggi non ha un peso così rilevante, al momento.
Perché?
I titoli avevano già scontato le scelte annunciate da Trump, come l’uscita dagli accordi sul clima. Forse non tutti immaginavano che le avrebbe attuate con tale velocità. Però questo non ha un impatto sui rendimenti attuali.
Anzi, potrebbe perfino esserci una ripresa dei titoli che, forse, avevano preventivato mosse anche peggiori.
Ma c’è davvero questo unanimismo nei confronti della nuova amministrazione americana?
In realtà, si comincia a rilevare come molte aziende americane o che investono in America non siano disposte a fare retromarcia su investimenti importanti fatti negli ultimi anni. Ci sono dei poteri economici che non vogliono fare passi indietro. Certo, le scelte americane aprono alla possibilità di non investire per il futuro, questo è l’elemento di fragilità della situazione.
L’Europa che partita gioca?
Potrebbe posizionarsi meglio e mostrare che essere coerenti con gli indirizzi del Green Deal – sia pure con una normativa da semplificare – non è un elemento di scarsa competitività ma che, al contrario, è un volano per una maggior competitività.
Qual è la vostra posizione in merito?
In sintesi, come molta parte degli attori nel campo degli investimenti sostenibili, non ci ritroviamo col messaggio politico sottostante a questi annunci. Certo, per BlackRock gli investimenti sostenibili rappresentavano una parte residuale ma, date le sue dimensioni, rappresentavano comunque una quota rilevante. Vista in positivo, potremo abituarci a non arrabbiarci più per il greenwashing, perché chi non è realmente interessato a certi percorsi se ne va. Ma questo non nega il tema della necessità di agire quanto prima per contrastare i cambiamenti climatici né la parte social e di governance.
Continuano però ad esserci obiezioni sulla transizione sostenibile e sulla mancanza di equità sociale nel realizzarla.
Si sono volute tenere insieme troppe cose. Anche prendendo i due termini separatamente, tra America ed Europa – e nella stessa Europa – ci sono differenze enormi, non solo legislative. L’abbinata tra transizione e sostenibilità ha generato ulteriore confusione. Ma questo, ripeto, non mette in discussione, tranne che per pochi, la necessità di agire per un cambiamento economico e finanziario, in quanto lo stato attuale di consumo dell’umanità non è sostenibile. È miope negare che nel medio periodo le performance degli investimenti sostenibili per l’ambiente non siano positive.
Qual è il punto allora?
La convinzione di voler attivare la transizione perché nessuno perda in termini di competitività economica ha fatto sì che, poi, a scontare tale transizione fossero i consumatori finali. Quindi si è scaricata la scelta della sostenibilità sulle persone e non sulle aziende e sulle istituzioni, sebbene sia stato chiesto loro un grande investimento.
Come se ne esce?
Uscendo dal tema ideologico, che non appartiene a tante organizzazioni e imprese che lavorano per la transizione sostenibile, auspichiamo che in Europa non vi sia un annacquamento, ma un chiarimento e più trasparenza su tutti i pacchetti, dalla due diligence, alla tassonomia agli altri provvedimenti.
Non abbiamo bisogno di nuove norme, ma di percorsi chiari per non scaricare sul consumatore finale l’adozione degli strumenti per la transizione.
Ad esempio?
Pensiamo al fatto che il livello della competitività e dell’efficienza è stato già raggiunto dalla Cina che vende a noi auto elettriche a prezzi di un’utilitaria.
Su quali altri temi occorre spostare l’asse della responsabilità?
Su gran parte dei temi sociali bisogna arrivare a definire delle priorità, dentro un quadro che non può essere di un solo paese. L’Europa più coesa deve proporsi come l’interlocutore in grado di fare la differenza sulla transizione sostenibile, come ha fatto, almeno in parte, sulla finanza.
La Esse di Esg però continua a soffrire in maniera evidente.
È un tema da rinforzare e lo si fa partendo, anche dal punto di vista economico, da una prospettiva diversa: non dobbiamo crescere di più per rimuovere le disuguaglianze, è rimuovendo le diseguaglianze che cresceremo di più.
Quali azioni aumentano il divario?
Sulla salute l’America aveva fatto dei passi in avanti e ora, ma non solo lei, sta indietreggiando. La risposta del mercato di fronte alla mancata garanzia della salute ai cittadini è stata la sanità integrativa, ma non può essere l’unica. È un tema che crea una disuguaglianza enorme, lo vediamo in Italia con le persone che non possono più accedere alle cure, generando un’esclusione sociale che trascina con sé le generazioni future.
L’altro tema è l’immigrazione?
La rincorsa delle politiche di difesa così come la si sta impostando non regge, manca di visione di società del futuro. Costruire muri non è mai servito, non in un’ottica buonista, ma di migrazioni naturali e di suddivisione, ripartizione e contribuzione alla costruzione del benessere. Lo si vede anche da come si affronta il tema dell’abitare.
Perché?
In questa legislatura, l’Europa dichiara di volersi focalizzare sul tema della casa, su cui ci sono dei picchi di innovazione e altrettante cadute. È inutile immaginare il tema dell’abitare seguendo le logiche di stabilità e stanzialità tipiche di vent’anni fa.
Quali sono?
Oggi i giovani, non solo quelli che scappano dalla povertà assoluta, ci insegnano che esiste una migrazione e che questa dev’essere resa possibile, naturalmente non obbligata. Manca però la capacità delle città e delle aree interne di presentarsi come luoghi che vanno abitati, magari non per tutta la vita ma che, nel momento in cui si abitano, consentono di entrare a far parte di contesti abitativi, non semplicemente di case. È un concetto che le organizzazioni della società civile stanno portando avanti da 40 anni ma che fanno fatica a entrare nelle logiche del mercato dell’abitare e delle istituzioni. La rimozione delle disuguaglianze passa dalla casa.
Come si gioca in tutto questo il ruolo delle banche etiche?
Bisogna continuare a costruire quegli spazi che fanno la differenza in tutti gli ambiti, aiutando a giudicare quello che accade. Lo dicevamo all’inizio, se la grande finanza in poco tempo sposta grandi masse di investimenti, lancia un messaggio preciso che va contrastato. Sia culturalmente, sia mostrando che esiste un percorso diverso.
Quale?
Non demandare ad altri, per quanto potenti siano, le nostre scelte. A cominciare da come si costruisce il proprio fondo pensione. Quando vengono proposti certi nomi per i propri investimenti, grazie al sistema delle banche etiche si è concretamente liberi di agire diversamente. Le banche etiche non potranno competere in termini di dimensioni con colossi da 11mila miliardi di dollari, ma possono riconsegnare a chi desidera capire meglio che cosa sta succedendo una libertà di comprendere i meccanismi sottostanti, non accontentandosi solo di leggere un rendimento. Ciascuno può compiere un’azione diretta dimostrando che una finanza costruita con criteri e modalità diverse è possibile e funziona.
Questo impegno ha anche un valore culturale?
Mentre i potenti cercano di decidere del nostro destino, proviamo a fare la nostra parte. Anche perché le prossime persone che siederanno nei board, dalla Bce a BlackRock, sono quelle che stiamo formando oggi.
In apertura, Anna Fasano, presidente di Banca Etica, foto dall’ufficio stampa del Gruppo
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