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Responsabilità di impresa

Esg, manager a rischio burnout? In Italia il pericolo è l’irrilevanza

Una ricerca dimostra che, nel mondo, i chief sustainability officers - cfo sono sempre più stressati perché, faticano a coinvolgere a pieno le loro aziende nelle battaglie. In Italia, viceversa, il silenzio dei direttori alla sostenibilità sulle pressioni di Confindustria, Abi, Ania per depotenziare la Csrd, mostra come contino ancora troppo poco. Dall'ultimo numero di ProdurreBene, la newsletter degli abbonati di VITA

di Giampaolo Cerri

Riportiamo la notizia di apertura della newsletter settimanale ProdurreBene, dedicata a Esg, impatto, filantropia e, più in generale, al tema di un’economia più giusta. È un’esclusiva degli abbonati di VITA.

Cso a rischio burnout. Non va per il sottile, Robert Hicks, giornalista di Eco-Business, portale specializzato in Esg. Secondo un rapporto di Acre, società internazionale specializzata nelle risorse umane legate alla sostenibilità, molti chief sustainability officers (ne avrebbe interpellati oltre 2.200), non sono esattamente a loro agio in questo momento storico dell’impresa mondiale, che parrebbe tutta orientata alla transizione ecologica ma che, nell’operatività, riserva non pochi problemi a chi deve governare questi processi.

Scrive Hicks che, per esempio, «il Cso ha un ruolo altamente visibile, ma essere visti non garantisce di essere ascoltati. “La cosa più stressante del lavoro è cercare di convincere le persone a sostenere l’agenda della sostenibilità”, afferma il Cso di una società di servizi finanziari a Singapore». Soprattutto, spiega Eco-Business, «è particolarmente difficile nelle aziende in cui il responsabile della sostenibilità non ha una linea di riporto diretto rispetto all’amministratore delegato». E così via lamentando.

E in Italia? Da noi la cultura della sostenibilità è sicuramente più giovane, i primi responsabili cominciarono a lavorare col nuovo secolo e sono pochi quelli che, oggi, possono fregiarsi proprio del titolo di Cso. VITA ne ha raccontati un po’ nell’ultimo anno, grazie alla penna di Nicola Varcasia, per la serie di ritratti sustainability portraits.

Si tratta di professionisti di spessore, che stanno conducendo una generosa battaglia nelle aziende in cui operano. Sustainability Makers, il network che ne raccoglie molti, ne offre uno spaccato. 

La strada per arrivare a contare, però, davvero pare ancora lunga e in salita. 

Un test interessante al riguardo lo ha fornito la recente Direttiva per la rendicontazione sociale, la Csrd europea, in corso di recepimento in Italia. 

Confindustria, Abi, Ania e altre realtà della rappresentanza di impresa sono corse a inviare un appello accorato al ministro Giancarlo Giorgetti perché, da un punto di vista delle sanzioni, le informazioni non-finanziarie legate alla nuova reportistica non siano equiparate, come peraltro avviene in alcuni Paesi, a quelle finanziarie. 

Un vulnus potenziale a tutto l’impianto della rendicontazione di impatto e alla cultura della sostenibilità – si potrebbe decidere di dare informazioni incomplete o scorrette senza rischiare granché – contro il quale non si è levata una sola voce dei professionisti della sostenibilità, ma potremmo essere distratti e nel caso ce ne scusiamo. Non perché i nostri Cso non abbiano idee al riguardo ma perché in azienda contano ancora troppo poco.

Nella foto di apertura, dell’Agenzia LaPresse, le bandiere di Microsoft al Gay Pride di Milano.


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