Anticipazione magazine

Esg, in Borsa con l’Indicatore sociale

Un nuovo di VITA magazine dedicato agli Esg ma soprattutto alla debolezza della S di "social" nell'acronimo più famoso del momento. Contiene un confronto fra voci autorevoli dell'economia, dell'attivismo, dell'accademia e anche della politica, come la viceministro del Lavoro Mariateresa Bellucci. Analizzando le quotate alla Borsa di Milano, siamo andati a caccia della loro attitudine sociale, individuando per ognuna un marker quantitativo. Con l'"Abbecedario della sostenibilità" abbiamo spiegato alcuni concetti base o analizzato fenomeni che fanno capire dove va questo grande movimento. Presentazione al Salone della Csr di Milano, il 5 ottobre

di Giampaolo Cerri

Gli Esg sono nell’agenda politica di mezzo mondo. Anzi una parte importante di mondo, come gli Stati Uniti, su questo tema gioca la prossima battaglia politica: le elezioni presidenziali.

Ai criteri di Environmental Social and Governance – Esg pensano le aziende, desiderose di intercettare sempre più il sentire dei consumatori ma anche tese a interpretare, per tempo, un mondo che cambia o ancora e più semplicemente, applicare le leggi che ci sono già ma soprattutto quelle che verranno.

Per alcune, soprattutto in tema ambientale ed energetico e di legislazione relativa al cambiamento climatico, è questione di gestione del rischio, da comprendere bene, soprattutto nella filiera dei fornitori; per altre è opportunità di agganciare nuovi business, nuovi mercati, nuovi clienti, di costruire un clima interno migliore con uno stakeholder davvero strategico: i propri collaboratori.

Eppure, nella grande centralità di questo acronimo, spunta una debolezza quasi strutturale: a fronte di impegni crescenti sul fronte ambientale, talvolta solleticati dalle urgenze del marketing, di azioni robuste verso la governance, richieste da legislazioni pressanti (vedi tema dell’anticorruzione), la S. di Social resta spesso al palo, residuale, ancillare si sarebbe detto nel rotondo italiano d’una volta.

A questo tema è dedicato il magazine di VITA che potete acquistare QUI. Lo facciamo a distanza di un anno da un’altra edizione, che recava in copertina l’acronimo con una S. piccoletta, corta appunto.

S piccola, consapevolezza grande

Lo facciamo perché nel frattempo la questione è certamente cresciuta nella sensibilità di chi ha a cuore lo sviluppo sostenibile, scoprendo che in molti gruppi si comincia a fare di più, anche se magari si continua a misurare poco. Insomma cresce la consapevolezza ma la strada è lunga.

Nel confronto con voci autorevoli, da Mario Calderini (Polimi e mente di Tiresia il think tank della sostenibilità) ad Anna Fasano (presidente Banca Etica), da Cristina Bombassei (Aidaf, l’associazione delle grandi imprese famigliari italiane) a Stella Gubelli (Altis Cattolica), da Simone Gamberini (Legacoop) a Ugo Loeser (Arca Sgr), cerchiamo di cogliere le ragioni della debolezza della S. o, semplicemente, se si vedono all’orizzonte inversioni di tendenza, correttivi, possibilità di riequilibrio.

Un alleato, dice per esempio Fasano, potrà essere la finanza, per dove e come potrà orientare i flussi di investimento che gestisce, premiando cioè le aziende Esg oriented, a patto che ci sia una tassonomia europea chiara, in campo sociale, così come accade per l’ambiente, perché dire cosa è sociale e cosa no, è decisivo.

La nuova direttiva europea

Europa che, nel frattempo, ha messo in campo una nuova direttiva in materia. Una norma che metterà in capo a oltre 60mila aziende europee, fra cui molte italiane – in base a quotazione borsistica, fatturato numero di addetti – un obbligo di rendicontazione in tema di sostenibilità a partire dal 2025, laddove ogni azione in questa direzione – salvo che per grandi banche e assicurazioni e per un pugno di società benefit – era del tutto volontaria.

Un obbligo che, innescando processi gestionali importanti per molte aziende, potrebbe portarsi dietro anche un’attitudine nuova a queste tematiche: che, per usare un proverbio antico, il bisognino di analizzare e documentare per legge, faccia trottare la vecchia imprenditoria italiana.

Un obbligo che, abbiamo analizzato con Francesco Bicciato, direttore del Forum per la Finanza sostenibile, il quale ha osservato che, in itinere, i lavoro europeo sul provvedimento abbia poi teso ad allargare le maglie.

Nel capitolo, anche voci più riflessive, come quella della viceministro al Lavoro, Maria Teresa Bellucci, che dice: «Bene la sostenibilità ma non lasciamo indietro nessuno», riferendosi a quanti nel mondo produttivo si trovano a pagare il prezzo della transizione ecologica, per esempio.

O dell’economista britannico Alex Edmans, l’autore del polemico saggio La fine degli Esg, che esorta a non ridurre tutto ad adempimento, dimenticando la creazione di valore che può essere di sociale anche extra-Esg.

L’Indicatore sociale

Cuore del numero è l’analisi delle prime società per capitalizzazione borsistica al Ftse di Milano e con sede in Italia. Un’analisi che VITA ha realizzato, a partire dai dati del consueto rapporto Business for the Common Good di Dynamo Academy e Sda Bocconi Sustainability Lab. Mettendo in rapporto l’utile ante-imposte e il valore distribuito a comunità e territorio, abbiamo ricavato l’Indicatore di sostenibilità sociale. Fra gli altri dati censiti, la presenza di fondazioni di impresa, di volontariato aziendale o di matching gift (donazioni dei dipendenti).

Non un rating scientifico ma certamente un ragionamento, articolato e documentato, sull’attitudine delle big dell’economia nazionale ad affrontare il tema sociale nel loro modo di concepirsi e operare da aziende responsabili.

Nel capitolo 2, anche nove storie di realtà che sulla S si sono impegnate, sia in quella “interna”, verso i dipendenti, sia in quella “esterna” verso le comunità.

Aziende che hanno parlato per bocca dei loro responsabili Csr o Esg, come Filippo Bocchi di Hera, , Elena Flor di Intesa Sanpaolo, Alessia Borrelli di Assimoco, Giovanna Zacchi di Bper, Paola Accornero di Carrefour, Silvia de Blasio di Vodafone, , e Matteo Spanò di Federcasse Toscana, l’ambito di rappresentanza ragionale delle banche di credito cooperativo che, per esempio, ha dato vita a una comunità energetica rinnovabile. In un paio di casi, a parlare sono stati proprio i capo-azienda, come Marcello Cattani, presidente e ad di Sanofi Italia e Alessandro Molinari ad e dg di Itas.

L’abc della sostenibilità

Completa il numero un Abbecedario, in cui abbiamo individuato 26 lemmi che identificano altrettanti concetti, fenomeni o elementi di attualità, utili a capire il movimento in atto e che, fra Csr ed Esg, coinvolge Stati, aziende e cittadini.

Dalla A di Asset management alla Z di Zero Emissions Day, un viaggio ragionato nella sostenibilità, passando anche dalla U di Ulez, la grande e costosa Ztl londinese recentemente allargata al grande sobborgo di Uxbridge: un provvedimento fieramente green del sindaco Sadiq Kahn che, a detta di molti, sarebbe costato al Labour la possibilità di vincere in quel collegio dopo decenni. Vicenda che racconta come la marcia verso un mondo sostenibile debba essere condotta con passo attento e ragionato, quasi da sentiero di montagna, e non con l’incedere trionfale di quelli che si sentono “in missione per conto di Dio”.

Alcune voci dell’Abbecedario sono state firmate da membri del Comitato scientifico del Salone della Csr e dell’Innovazione sociale, che si è aperto oggi alla Bocconi di Milano dove si svolgerà fino al 6 ottobre e dove domani pomeriggio, 5 ottobre, vi aspettiamo alle 17,30 per presentare il numero. Nell’Abc sostenibile hanno scritto economisti come Elio Borgonovi, Giorgio Fiorentini, Matteo Pedrini, Giovanni Lombardo e la stessa Rossella Sobrero, fondatrice del Salone, giornalista e scrittrice, che si è presa la voce “Washing”, facendo il punto sui disinvolti meccanismi di mascheramento che ancora troppe aziende adottano. Poco sopra, alla lettera “h”, abbiamo invece scritto di una tendenza, quella dell’hushing, cioè del restare in silenzio, del non comunicare quello che si fa nel campo della sostenibilità. Un trend che si profila in altre aziende per il timore di venire criticati, discussi, attaccati. Insomma per timore dei massimalismi e degli estremismi di cui alla lettera “U.”

E che deve preoccupare come lo smacchiamento furbetto.


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