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Esclusivo: i pescatori di Mazara a processo davanti al tribunale militare di Haftar

Entro la fine della prossima settimana potrebbe iniziare il processo davanti al tribunale militare di Bengasi nei confronti dei pescatori di Mazara del Vallo detenuti in Libia da 102 giorni. Dal processo si spera di far rientrare i pescatori a casa nel più breve tempo possibile. Un passo avanti, dopo un lungo silenzio. Ad alimentare la rabbia dei familiari "il caso turco" che dietro il pagamento di un'ammenda ha visto già rilasciare da parte delle milizie di Haftar un peschereccio sequestrato nelle stesse acque lo scorso 5 dicembre

di Alessandro Puglia

Sono trascorsi 102 lunghissimi giorni da quel primo settembre quando i 18 pescatori di Mazara del Vallo con i due pescherecci Antartide e Medinea sono stati sequestrati dalle milizie libiche a circa 40 miglia a Nord di Bengasi, in acque internazionali, con l’accusa che non trova alcun fondamento nel diritto internazionale di aver pescato in acque interne libiche.

Al silenzio del Governo incapace di dare notizie rassicuranti ai familiari, si è opposta la grande operosità degli uomini del mare attraverso l’armatore Leonardo Gancitano del peschereccio Antartide che affiancato dal capo del dipartimento Pesca della Lega della Regione Sicilia Giovanni Lo Coco e dall’avvocato Carola Matta ha di fatto dato via a una trattativa parallela che oggi appare come l’unica strada percorribile per riportare i pescatori a casa nel più breve tempo possibile.

Dopo aver nominato, su delega della stesso avvocato Matta, un codifensore libico sul posto secondo l’iter giudiziario e con visto del consolato libico a Milano, la trattativa “parallela” comincia a dare i suoi primi risultati ed entro la fine della prossima settimana (non si conosce ancora il giorno preciso) potrebbe già celebrarsi la prima udienza del processo per i nostri pescatori davanti al tribunale militare di Bengasi, che di fatto è il tribunale militare in mano al generale Haftar.

Potrebbero aprirsi diversi scenari, ma la speranza è quella di far rientrare i pescatori a Mazara del Vallo prima di Natale.

Dopo l’appello di Papa Francesco che sin da subito ha dimostrato la propria vicinanza ai familiari e ai pescatori detenuti in Libia, il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero ha detto nei giorni scorsi: «Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga, anche con corpi speciali, affinché i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie».

Le famiglie dimenticate in questi 101 giorni hanno ricevuto solo due comunicazioni formali: il 15 settembre e la seconda a novembre. Ma oltre ai pescatori siciliani nei due equipaggi ci sono anche pescatori senegalesi, tunisini e indonesiani perfettamente integrati con le rispettive famiglie in Italia. A loro, in questi lunghissimi 101 giorni, non è arrivata una sola telefonata o una mail circa le condizioni dei propri cari detenuti in Libia.

Evidentemente a questo governo e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio non bastano né gli appelli del Papa né le urla di dolore dei familiari che sono andati a manifestare anche davanti a Montecitorio.

In più quanto dichiarato dal ministro degli Esteri in un’intervista rilasciata nella puntata del 30 novembre su Settestorie, Rai Uno denota la sua totale mancanza di conoscenza del diritto internazionale. E per un ministro degli Esteri non dovrebbe essere un mero dettaglio. Di Maio ha infatti dichiarato che in quel tratto di mare i pescatori non dovevano esserci perché erano in acque libiche, "sconsigliando" gli altri pescatori ad andare in futuro in quelle stesse acque.

Niente di più inesatto. Quel tratto di mare adiacente il Golfo di Bengasi non appartiene ai libici. E la zona economica esclusiva autoproclamata non è stata mai formalmente accettata dalle Nazione Unite e dai principali paesi europei (Francia, Germania, Spagna e Regno Unito e proprio l'Italia) sin dai tempi di Gheddafi che nel 1973 dichiarò il Golfo di Sirte parte delle sue acque interne. Non solo ma la ZEE (zona economica esclusiva)adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international law” non è stata ancora oggi tracciata. E questo non significa affatto che quel tratto di mare appartiene alla Libia.

Gli interessi sono negli anni mutati fino alla creazione anch’essa autoproclamata nel 2018 di una zona Sar libica per il “soccorso” o “deportazione” dei migranti in Libia.

In uno Stato di diritto quel processo davanti al tribunale militare di Bengasi non sarebbe mai dovuto esserci, ma ora tutti noi sappiamo – davanti all’inefficienza del Governo – che questa è l’unica strada percorribile per permettere ai familiari dei pescatori di riabbracciare i propri cari.

Ad alimentare la rabbia dei familiari dei pescatori di Mazara del Vallo si è aggiunto il "caso turco". Lo scorso 5 dicembre infatti i militari della Libyan National Army del generale Khalifa Haftar avevano fermato la nave "Mabrouka" con 17 componenti dell'equipaggio che oggi sono stati rilasciati dietro il pagamento di un'ammenda.

Nota: L'armatore Leonardo Gancitano del peschereccio Antartide ha lanciato una raccolta fondi per sostenere le spese legali durante il processo. Su Facebook ha pubblicato il suo Iban per chiunque volesse contribuire alla sua causa (Leonardo Gancitano: IT 91 O 03062 34210 000002200284)

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