Cultura

Esausti. Non domi

di Maria Laura Conte

La parola giusta questa volta l’ha scelta il New York Times: exhausted, esausti. Così ci ha definiti pochi giorni fa. Se la prima onda di primavera ci ha colti pronti a reagire con chitarre sui balconi, cuori alle finestre e scritte incoraggianti sui marciapiedi, la seconda ci trova esausti. Se a marzo la regina era la paura, ora la corona se l’è aggiudicata la fatica.

We have had enough”, ne abbiamo avuto abbastanza, si legge sul quotidiano più letto al mondo che, in un tour mondiale, ha documentato le manifestazioni di questo fenomeno in diverse capitali.


Vuoto: questo il primo significato di exhaustus – participio passato del latino exhaurire – almeno fino al XIV secolo. Poi si impone il senso di spossato, logorato.

Exhaurire indica il gesto di vuotare attingendo, prosciugare. Livio, ad esempio, lo usa per descrivere la città assiduis exhausta funeribus, svuotata dalle continue morti, immagine che richiama bene l’idea di vuotezza.

Ma si trovano altri usi di exhaurire, come cavar fuori, portar via, sottrarre: reliquum spiritum exhaurire, far rendere a una persona l’estremo respiro, si legge in Cicerone, che lo sceglie anche per esprimere l’atto del condurre a termine, per esempio in exhaustus est sermo hominum, le chiacchiere degli uomini sono terminate.

Virgilio lo adotta per l’accezione di sostenere, sopportare fino alla fine, là dove scrive maris vastaeque exhausta pericula terrae, i pericoli corsi sul mare e la vasta terra.

Quindi il New York Times ha colpito nel segno stavolta, e senza neppure aver sfogliato il dizionario di latino (che si legge in questa vicenda quasi come un oroscopo) con questa espressione riesce a profilare quel sentimento di vuoto che percepiamo dopo che un fattore esterno ha “cavato via” da noi il fiato più vitale. Dopo che qualcosa ci ha sequestrato la forza di reagire e tenere testa all’incertezza pervasiva.

Exhaustus est sermo hominum

Le chiacchiere degli uomini sono terminate

Cicerone

Solo che questo non è un vuoto lieve, perché pesa da morire. È faticoso, come una palla al piede che si trascina a stento. Al punto che quasi non c’è bisogno di un lockdown imposto dallo Stato, perché per esaurimento di risorse arriviamo ad auto-imporcelo, nel tentativo di difenderci.

Dunque che fare? Fuggire altrove?

Lo facevano gli abitanti di Eutropia, la città multipla descritta da Calvino, che quando si sentivano assalire dalla stanchezza, stufi del loro lavoro o della moglie, optavano per trasferirsi nella città vicina. Così la loro vita si rinnovava, cambiava tutto, aprivano la finestra e vedevano un altro paesaggio. Almeno fino al successivo esaurimento.

Insomma, stando alla creazione di Calvino, la fuga non si configura come capace di risolvere il problema di fondo, solo lo sposta più in là temporaneamente, perché il senso di vuoto-stanchezza ritorna. A occhio, poi, la pandemia si è presa anche Eutropia.

Occorre altro: per colmare un vuoto serve un pieno. Un senso.

Gli psicologi, nei video tutorial molto cliccati, suggeriscono di porsi piccoli obiettivi ogni giorno per contrastare la depressione infida, di non puntare su to do list esagerate quindi frustranti. Ma il lievito di birra o i corsi di inglese online (che secondo gli speciali di economia hanno avuto un’impennata durante gli ultimi mesi) o le-cose-da-fare non bastano, alla fine.

Quell’essere esausti chiede un pieno diverso, di destinazione: un traguardo a cui puntare, un’asticella da saltare per rigenerare energie, cioè per dare un significato al loro impiego.

Il continuo essere valutati e misurati (non solo dagli altri, ma anche da noi stessi) sulle nostre perfomance ci ha sempre tenuto molto occupati, pieni appunto. Ma quel ritmo incalzante, così abile a distrarre, ha subito una battuta di arresto e su mille fronti: dalle distanze di sicurezza, dai voli mai più decollati, dai convegni sospesi, dai festival cancellati, dallo smartworking che riduce l’incontro- confronto diretto, e filtra tutto con una videocamera. Perfino i rossetti (tragedia per l’industria della cosmesi) non servono più, visto che le maschere li nascondono e cancellano.

Quindi quella domanda di senso riemerge vigorosa e ci imbarazza: che ci stiamo a fare qui?

E costringe a un lavoro personale inevaso. Perché esausti non è domati, non è arresi.

Un lavoro che gli abitanti di Eutropia non hanno mai voluto fare.

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