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Erri De Luca o le conseguenze della parola

Mentre l'Italia letteraria dei salottini ritira premi e si incensa da sé, Erri de Luca viene rinviato a giudizio per "istigazione a delinquere". "La Tav va sabotata", aveva detto. Questo rinvio va iscritto a suo onore e alla sua dignità, nel giorno in cui ricorrono i 250 anni dalla pubblicazione di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria

di Marco Dotti

Correva l'anno 1766. Fu allora che Dei delitti e delle pene, il trattatello di Cesare Beccaria, che fonda (fonderebbe, è oramai il caso di dire) la modernità penale, e di cui ricorrono i 250 anni dalla pubblicazione, venne posto all'indice. La colpa? Aver distinto tra reato e peccato, tra azione dannosa e intenzione.

È paradossale ma non singolare che, nell'Italia dei premi e delle recensioni tra amici e parenti (l'ultimo caso sul Corriere della Sera, segnalato da Gian Paolo Serino, dove lo scrittore Roversi intervista la moglie, anch'essa scrittrice ► qui), con tassi di lettura in caduta libera, a far pesare le parole che danno da pensare siano ancora e sempre i giudici censori. In un'Italia sepolta da parole irresponsabili, la responsabilità delle parole è merce rara, rarissima. Di scrittori portati alla sbarra è piena la storia, da Socrate a Flaubert, fino a Aldo Busi, che in un memoriabile processo intentatogli in quel di Trento, dopo una segnalazione anonima "per oltraggio al pudore", si difese da sé (► qui). Il problema era sempre quello: la confusione tra "reati" e "peccati". Beccaria si ridusse al silenzio, dopo la messa all'indice del suo libro. Visse di vita tranquilla, ma intellettualmente inerte. Venne intellettualmente depotenziato. 

Qualcuno le ricorda ancora le perizie psichiatriche condotte su Pier Paolo Pasolini? Pier Paolo Pasolini di processi ne subì centinaia, per lo più per cose scritte e dette. C'è chi ha calcolato che Pier Paolo Pasolini abbia trascorso 1/3 della sua pur breve vita tra carte e aule di tribunale. Poche ore prima di morire, in una sua lezione al Liceo di Lecce, Pasolini così incitava i ragazzi: "bisogna trovare un nuovo modo di essere (…) un nuovo modo di essere tolleranti, un nuovo modo di essere illuministi, un nuovo modo di essere liberi. È un problema centrale della nostra vita"

Poi venne il tempo dei processi politici e delle leggi speciali. Poi? Poi più nulla, solo querele e richieste di risarcimento danni, ma poco più. Ora però si ricomincia e questa "piccola storia ignobile", per dirla con Guccini, riparte da Erri De Luca, uomo fuori dal coro, ieri rinviato a giudizio per "istigazione a delinquere", ossia per aver detto a chiare lettere che la "Tav va sabotata".

"Mi processeranno a gennaio, mi metteranno sul banco degli imputati e  ci saprò stare. Vogliono censurare penalmente la libertà di parola. Processarne uno per intimidirne cento". Una tecnica, "un silenziatore", la definisce De Luca, che "va disarmato".

Simone Weil parlava di "sradicamento". Portare in tribunale una civilissima incitazione alla disobbedienza civile, di cui anche Hannah Arendt scrisse con rigore, è segno dei tempi. Ma quali tempi? E che tempi sono, i nostri? Quelli in cui sprecare parole inutili o tacere equivalgono a merito? Oppure…

Lo sradicamento più radicale, scriveva Simone Weil, non è quello dalla propria terra e dalla propria casa. È quello dalla parola: impossibilità di parlare, impossibilità di capirsi quindi di capire. E se non si capisce si può pure partecipare al gioco, ma giocando per gli interessi e gli affari di altri. Se le parole hanno ancora un peso, è il momento che pesino davvero e si contrappongano a questo sradicamento. Costi quel che costi, dobbiamo stare tutti al fianco di De Luca, per la sua, per la nostra libertà.

@oilforbook

 


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