Formazione

Ermanno Tritto. L’ottimo libraio

Il fondatore della Tikkun, mitica libreria milanese, ha avuto il benservito. Ma non ne fa drammi. Anzi continua a sognare uno scaffale al Giambellino.

di Ettore Colombo

Ha chiuso la Sapere, che a Milano era una specie di covo dell?ultrasinistra, negli anni 70, incassata com?era tra le colonne di San Lorenzo, piazza Vetra e via De Amicis (la via diventata famosa per il ?compagno con la pistola?, ?compagno? che la puntava, accovacciato sulle gambe, passamontagna in testa, contro i celerini), quartiere Ticinese. Che sarà anche un quartiere trendy, oggi, ma allora no. Ha chiuso, già da tanti anni, la mitica libreria Calusca del mitico Primo Moroni, storico e agiografo dei movimenti (quelli veri, a cavallo tra anni 60 e 70, mica quelli finti e di carta di oggi: L?orda d?oro, scritto con Nanni Ballestrini, è il testo di riferimento per ogni militante che si rispetti) e poco importa che Walter Cereda cerchi di tenerla in vita all?interno del centro sociale Conchetta. Insomma, non è la stessa cosa, con tutto il rispetto per il compagno Walter (che a Genova c?era). Ha chiuso Libropoli, in corso Genova, e a stento se ne sono accorti anche quelli che abitavano nelle sue vicinanze, purtroppo. Ha chiuso la libreria Garzanti, quella fondata da Livio Garzanti, in Galleria. Ma qui siamo già nella vetrina bene della Milano benissimo. E, amarus in fundo, ha lasciato anche Ermanno Tritto, il fondatore della mitica Tikkun, così popolare da essere l?unica libreria con più frequentatori che libri negli scaffali. Ermanno Tritto, prototipo del libraio (nel senso che è abbastanza grassottello, ha abbastanza barba e capelli bianchi e occhiali e completi di velluto e bonomia meridionale e sagacia lombarda e senso degli affari di derivazione ebraica, o forse si potrebbe dire mitteleuropea o austroungarica, se non fosse nato a Potenza, in Basilicata), è seduto al tavolo della pizzeria Sciué Sciué, dove lo conoscono tutti, naturalmente, come lo conoscono tutti nel quartiere che sta tra la stazione di Porta Genova, via Savona e il parco Solari. “Questa è la prima cerchia delle mura che circondano Milano, quella romana e medioevale. In questa cerchia, dall?inizio dell?Ottocento a oggi, ci sono le librerie. Fuori? Fuori, anche qui, in una zona bella, chic e residenziale come questa, c?è il deserto, il nulla. Hic sunt leones”. Due milioni di abitanti e un pugno di librerie. Indipendenti, poi, meno, sempre di meno. Ermanno Tritto, 44 anni, lucano, (“Hai presente Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori? Scusa, che vuol dire che credevi che Testori fosse un poeta e un drammaturgo?! Era uno scrittore sublime! Va bene, facciamo così: hai presente Rocco e i suoi fratelli, che peraltro nasce dal testo di Testori? Beh, c?è una scena in cui i fratelli sbarcano a Milano, molto peggio di Totò e Peppino, e arrivano nel caseggiato dove hanno affittato un tugurio. Una signora si affaccia dal balcone e chiede alla portinaia: “Signora, e questi da dove vengono? Dall?Africa?”. “Dalla Lucania”. “Appunto, Africa?”. Ecco, quando arrivai qui, per studiare Scienze Politiche alla Statale, mi sentivo così: un africano), ne aprì una, la Tikkun, proprio in questo quartiere. Ora Ermanno l?hanno cacciato e la libreria, forse, chiuderà. Pare che i soci vogliano trasformarla in un centro d?iniziativa politico-culturale. Della fondazione Craxi. Nel senso che dovrebbe raccogliere e ricordare al mondo vita e opere di Craxi. Bettino. Dietro l?esautoramento di Tritto (che in realtà più laico-socialista di lui si muore) pare ci sia direttamente la figlia di Craxi, Stefania. Ma trattasi, evidentemente, solo di voci. Per ora, la libreria non chiude. Cambia solo gestione. Peccato che ne venga fatto fuori il suo ideatore, direttore, ex amministratore, consigliere di libri, dispensatore di bevande calde e libri e sorrisi. Insomma, quello che l?idea della Tikkun l?aveva avuta. Tritto, appunto, con quel suo nome antico, Ermanno, e quel cognome buffo e difficilissimo da scrivere che era diventato ormai una celebrità, nel giro non certo della Milano che conta, ma di certo della Milano che legge, che pensa. Che vive. “Non c?è più Tritto alla Tikkun? Non è possibile! Tritto è la Tikkun”, è il commento più scontato, ma anche più vero, che echeggiava nei circoli culturali (i pochi rimasti: Casa della Cultura e simili), politici ed editoriali della ?gran Milàn?. Tanto grande che quando deve far vivere libri e librerie diventa piccola, piccolissima. La capitale dell?editoria, come no. Il cuore del sistema dei media, sì. La città dove le librerie chiudono, una dopo l?altra, e nessuno dice niente, nessuno se ne dispiace. Tranne quei pochissimi, come il direttore di Prima comunicazione, Umberto Brunetta, che scrisse: “I commessi delle librerie Feltrinelli sono diventati scortesi e sono ignoranti. Potrebbero vendere scarpe e sarebbe la stessa cosa. Ma i libri non sono scarpe”. Apriti cielo, successe un pandemonio. Inge Feltrinelli prese malissimo la cosa e ritirò la firma dal mensile. In verità, non è del tutto vero che tutti i commessi delle grandi librerie (ormai sempre più simili a grandi magazzini, dalla catena Feltrinelli, appunto, alla catena avversaria, quella delle Messaggerie che a Milano ha stretto alleanza con un?altra storica serie di librerie che una volta si sarebbero dette ?di sinistra?, quelle del Libraccio, che sono ben tre) siano cafoni e ignari della ?merce? che vendono. Qualcuno, a volerlo cercare con cura, si salva. Ma appunto, sono eccezioni. Resistere, a fare i librai veri, indipendenti, innamorati di libri e cultura, resistono davvero in pochi: Mauro De Cortes, pizzetto bianco e occhialino alla Bakunin, che anima, di fatto da solo, lo storico covo degli anarchici, la libreria Utopia di via Moscova. La Hoepli, certo, una dinastia di librai, generazioni di librai che presidia il salotto buono di Milano. “E non ti dimenticare quella di Porta Romana”, incalza Ermanno, “fatta benissimo, curata, seria”. E poi? E poi c?era la Tikkun, appunto, dove Tritto aveva inaugurato una formula tutta particolare: libri, certo, ma scelti con cura, titoli selezionati, intriganti, grande spazio alla saggistica storica, alla narrativa italiana e straniera di classe, al mondo dell?ebraismo. Ma soprattutto caffè, bibite, ottimi tranci di torta e squisiti calici di vino. Lo fanno anche alla Fnac? E no, non è la stessa cosa. Dietro il bancone c?è (o meglio, c?era) Ermanno, che ti serve, ti consiglia, ti suggerisce, ti stimola. Di fronte, tra i libri, la collezione di riviste politiche e culturali (tutte) e quella dei giornali quotidiani da sfogliare e leggere, unico a farlo (considerando che la libreria non è un?edicola), a Milano e tra i pochissimi in Italia (“A dar da mangiare e leggere insieme? Bibli, una a Torino. Fine”, spiega Ermanno con un sorriso). Foglio, Riformista e Corriere. Pochi soldi da spendere in mazzetta? No, una scelta politica e culturale precisa, netta, forte, invece. Del resto, Ermanno da quella storia proviene: “Dai rapporti e dalla militanza con uno studioso come Stefano Merli, con la sinistra socialista prima e con il circolo Rosselli poi, dalla libreria Kuliscioff, aperta proprio per volere della Fondazione Turati e del Psi. Poi, con Tangentopoli, venne giù tutto”. è a quel punto che Ermanno s?inventa la Tikkun assieme a un gruppo di soci: “Avevo promesso loro utili al quinto anno, ero andato in perdita i primi due e arrivato al semi pareggio ora, al quarto. Qui mi hanno fermato. Scontri tra i soci, gelosie, ripicche, manovre politiche. La Tikkun ero io, sui giornali e anche per la gente, e questo ad alcuni non piaceva. Ma io ci credo ancora, nell?utopia di far nascere, crescere e prosperare una libreria indipendente, nella figura del libraio, nel fare cultura. Mostre, dibattiti, concerti, incontri serali e seminari pomeridiani servivano a questo: a fare cultura”. “Non ci si guadagnava, certo, ma è una strada che, testardamente, voglio continuare a percorrere, anche se ora, per un po?almeno, farò altro (Ermanno è stato chiamato a organizzare eventi al teatro Franco Parenti il giorno dopo la sua cacciata: uno così, del resto, sarebbe stupido farselo fuggire?). Ma del resto neanche le grandi catene ci guadagnano, a promuovere iniziative culturali. Quello che li aiuta, il loro vero boccone d?ossigeno, è la politica di sconti che io, indipendente, non posso fare. Una legge capestro che strozza il mercato e che non ha eguali in nessun Paese civile europeo. Del resto, in nessuna grande metropoli europea le librerie sono tutte e solo concentrate in pieno centro. Sogno una Milano dove vengano aperte e funzionino librerie al Giambellino come a Quarto Oggiaro: basterebbe un po? di coraggio e d?inventiva. Oppure una libreria multietnica in quel quartiere laboratorio che ormai è via Paolo Sarpi. Aiutano anche i libri a creare legami sociali, a far comunità. Una follia? Un sogno di un?idiota? Forse, ma la cultura riduce i conflitti. E poi ci si divertirebbe”. Ecco, questo forse è quello che manca di più ad Ermanno: il ?divertimento? a stare in mezzo ai libri, a sentirne l?odore, a sfogliarne le pagine, a consigliarne uno tra cento. Non abbiamo resistito alla tentazioni di chiedergli quali libri stia leggendo. Eccoli. Memorie di Adriano, “un amore di gioventù, per ricordarmi che tutto cade, rovina, finisce, l?importante è saper affrontare il gorgo con gli occhi aperti. Allegro ma non troppo di Carlo Cipolla, un divertissement storico-letterario di un grande economista, per rilassarmi. Nozze con i fichi secchi di Goffredo Fofi, perla misconosciuta e meravigliosa di un grande arrabbiato capace di dolcezze, e infine Lettera di Natale di Sergio Staino e Adriano Sofri. Perché Adriano è un amico, come Ovidio”. Ovidio chi? “Ma Bompressi. Qui a Milano frequentavamo entrambi la libreria Sapere, da studenti, poi io a forza di gironzolarci intorno chiesi di fare il commesso. E lì decisi: da grande farò il libraio. Un gran mestiere, credimi”.


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