Scuola
Ermal Meta: «Quando anch’io ero un alunno straniero»
Al Concerto del Primo maggio, Ermal Meta ha ricordato il suo primo mese di scuola in Italia: «Non capivo niente, ma ho avuto la fortuna di vivere una scuola inclusiva». Come si affronta il problema della concentrazione di studenti stranieri e del white flight? Con i Bambini ha stanziato 10 milioni di euro, per trasformare delle "scuole ghetto" in scuole attrattive per tutti. Un dialogo con Simona Rotondi
«Il mio primo mese nella scuola italiana è stato veramente difficile. Non capivo niente di quello che si diceva in classe. Non capivo i compagni, non capivo i professori. Mi sono dovuto impegnare tanto per recuperare, al punto da addormentarmi sui libri. E per fortuna mi è stata data la possibilità di mettermi al passo con gli altri»: dal palco del Concerto del Primo maggio, Ermal Meta ha risposto così a chi – in questi giorni e in queste settimane – sta immaginando classi separate per alunni con disabilità o con cittadinanza non italiana. Lui aveva 13 anni ed era appena arrivato in Italia dall’Albania. «Ricordo che i professori mi parlavano più lentamente e mi davano il tempo di appuntarmi tutto ciò che non capivo su dei quaderni. Ecco, penso che sia stato questo, all’inizio, il significato della parola istruzione per me. Avere la possibilità di vivere una scuola inclusiva, quando il termine inclusivo nemmeno si utilizzava».
Uguaglianza ed equità
Parlando in maniera molto diretta, Ermal Meta non si è però limitato a raccontare la sua esperienza personale, ma ha fatto riflettere il pubblico sulla differenza sostanziale fra due parole spesso usate quasi come sinonimi, ma che sinonimi non sono: uguaglianza ed equità.
«La parola istruzione è fortemente legata ad un’altra parola: uguaglianza, che significa avere tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. A volte, però, pur nell’uguaglianza siamo diversi e qualcuno può partire svantaggiato nel proprio cammino. Ed è così che ci rendiamo conto che la parola uguaglianza, da sola, non è sufficiente. È a questo punto che ci viene in soccorso un’altra bellissima parola: equità», ha detto il cantante. «Mentre l’uguaglianza ci mette tutti sullo stesso piano, l’equità si muove dalla diversità di ciascuno, per offrirgli ciò di cui ha bisogno per realizzare sé stesso, perché tutti devono poter guardare l’orizzonte del proprio futuro in egual modo. Equità è un bambino che non è costretto a studiare in un’altra classe a causa della sua disabilità. Equità è valutare il rendimento dei ragazzi in base al loro impegno, ognuno secondo le proprie possibilità. Equità è garantire a tutti, ma proprio a tutti, non gli stessi strumenti, ma gli strumenti di cui ciascuno ha bisogno. In fin dei conti, non si può valutare un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi su un albero. L’equità nell’istruzione è essenziale per garantire un futuro in cui ogni individuo possa realizzare se stesso. Dobbiamo eliminare i pregiudizi e le barriere che limitano l’inclusione, affinché nessuno venga lasciato indietro. Perché il futuro è una promessa che dev’essere mantenuta per tutti».
Equità è garantire a tutti, ma proprio a tutti, non gli stessi strumenti, ma gli strumenti di cui ciascuno ha bisogno
Ermal Meta, cantante
Le differenze e le disuguaglianze
Ermal Meta ha fatto riferimento ai due dibattiti più caldi, sul fronte scuola, di queste settimane: quello sulle classi differenziali, aperto dalle parole del generale Roberto Vannacci e quello sulla concentrazione degli alunni stranieri in classe lanciato dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara e dal vicepremier Matteo Salvini. Le parole di Ermal Meta, con la loro concretezza, sono l’occasione per tornare sulla questione al di là dei dibattiti e delle ideologie.
Come si affronta il problema della concentrazione di studenti stranieri e del white flight, il fenomeno per cui le famiglie “fuggono” da alcune scuole percepite come “di frontiera” verso scuole percepite come più “attraenti”? Quali modelli innovativi si possono mettere in campo per affrontare una sfida complessa che riguarda non solo la scuola ma anche l’abitare? È chiaro che avere delle “scuole ghetto” rende ancora più aspre le disuguaglianze, ma la strada per evitarle non può certo essere quella di immaginare di spostare d’arbitrio i ragazzini da una scuola all’altra, lontano dal loro quartiere, con pulmini che girano per la città. Su cosa invece ha senso puntare?
10 milioni per modelli innovativi per superare la segregazione scolastica
Per rispondere a queste domande, già nel 2022 l’impresa sociale Con i Bambini ha stanziato 10 milioni di euro per sostenere modelli innovativi per il superamento della “segregazione scolastica”. Il bando si chiama “Vicini di scuola” ed è finanziato, come tutti i bandi di Con i Bambini, dal fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, creato da un’inedita alleanza fra governo, fondazioni di origine bancaria e Terzo settore. La selezione dei progetti si è completata a novembre 2023 (qui gli esiti): sono stati finanziati 23 progetti, con un contributo complessivo di oltre 12,4 milioni di euro, che coinvolgono complessivamente circa 27.400 bambini e ragazzi e 76 istituti scolastici del primo ciclo. Il punto è che nessuno nega che la concentrazione eccessiva di alunni stranieri sia un problema in termini di equità e radicalizzare le diseguaglianze, ma riportando i numeri alla giusta dimensione, quella della realtà: gli ultimi dati ufficiali pubblicati dal ministero si riferiscono all’as 2021/2022, quando il numero totale di studenti e bambini con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole d’Italia era pari a 872.360, il 10,6% degli studenti. La quota dei nati in Italia sul totale degli studenti di origine migratoria è arrivata al 67,5%. Le scuole che vedono una presenza di alunni con cittadinanza non italiana superiore al 30% sono il 7,2%. Le classi con oltre il 30% di alunni con cittadinanza non italiana sono il 6,8% ma escludendo dal conto gli alunni nati in Italia, le classi si riducono allo 0,5%. Ne parliamo con Simona Rotondi, vicecoordinatrice delle attività istituzionali dell’impresa sociale Con i Bambini.
Perché Con i Bambini ha promosso il bando “Vicini di scuola”?
Abbiamo “sfidato” le scuole a cambiare, a sostenere modelli nuovi, inediti per ridefinire il fenomeno della segregazione scolastica. Le scuole coinvolte sono le primarie e le secondarie di primo grado, l’obiettivo è semplice ma molto sfidante: nei quattro anni dei progetti, riequilibrare in maniera graduale la composizione sociale degli studenti di alcune scuole, superando la situazione problematica della concentrazione. Come? Offrendo una formazione di qualità, soprattutto nei contesti più fragili. Il bando guardava infatti proprio alle scuole fragili del primo ciclo, identificate con due criteri: la presenza percentuale di alunni con cittadinanza non italiana e la presenza di alunni con un numero medio di giorni di assenza rilevante. Quest’ultimo criterio è fortemente connesso con il background socioeconomico delle famiglie di origine. Abbiamo ricevuto 137 proposte e al termine della valutazione ne sono state finanziate 23.
L’obiettivo è semplice ma molto sfidante: in quattro anni riequilibrare la composizione sociale di alcune scuole, rendendo le scuole attrattive per tutti
Simona Rotondi, vicecoordinatrice attività istituzionali Con i Bambini
Qual è la strategia su cui avete scommesso?
Noi siamo partiti da un’ipotesi che ci è stata confermata da tante evidenze empiriche, ossia che grazie all’alleanza tra Terzo settore e scuola si può innescare effettivamente un cambiamento, sia dentro la scuola che fuori. L’alleanza tra scuola e privato sociale può far sì che una scuola diventi più attrattiva. Il punto di leva ci è parso questo e nella valutazione dei progetti ne abbiamo tenuto molto conto: la chiave è far sì che le scuole più vulnerabili diventino attrattive, migliorando la qualità degli apprendimenti e del servizio. Solo in questo modo la scuola può attrarre le famiglie, che a quel punto smettono di andare altrove perché la scuola è percepita come un “ghetto”.
In sostanza immaginate che il riequilibrio della composizione sociale della popolazione studentesca sarà una naturale conseguenza dall’accresciuta attrattività delle scuole e della qualità della loro offerta formativa. Facile a dirsi, difficile a farsi. Come si fa?
Ripeto, per noi il presupposto per rendere la scuola attrattiva è l’alleanza tra scuola e Terzo settore. Da un punto di vista pedagogico, significa credere che la scuola che consente di crescere in contesti eterogenei e multiculturali amplifichi e migliori le possibilità di apprendimento interno. Questo è particolarmente interessante perché significa che questa cosa non va a giovamento solo dei bambini stranieri, ma di tutta la classe.
La chiave è far sì che le scuole più vulnerabili diventino attrattive, migliorando la qualità degli apprendimenti e del sevizio
Simona Rotondi
Quali sono le caratteristiche dei progetti che avete selezionato?
Intanto i progetti sono 11 al Nord, 5 al Centro, 7 al Sud e Isole: il white flight al Nord è un fenomeno più evidente, anche perché l’88% degli alunni con background migratorio vive lì. I progetti hanno tre assi: l’alleanza educativa tra scuola e privato sociale; la promozione della scuola come luogo attrattivo e centro della comunità; la valorizzazione della comunità educante.
Proviamo a declinare questi tre assi?
Il primo significa che moltissimi progetti hanno previsto di mettere a lavorare insieme docenti e operatori del privato sociale, facendoli coprogettare insieme, non calando il progetto dall’alto. Sono previste molte attività di analisi e di ricerca-zione come premessa per formulare poi strategie di risposte. Equipes con dirigenti, docenti, mediatori linguistici e culturali che insieme studiano e realizzano precorsi di apprendimento, oppure il fatto di sperimentare nelle scuole delle figure inedite come gli educatori di plesso, che fanno da ponte e filtro tra scuola e territorio o ancora attività congiunte per una più approfondita conoscenza dei bisogni dei ragazzi dentro classi-ponte per arrivare poi a formare gruppi classe più eterogenei.
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Come si trasforma una scuola-ghetto in una scuola-attrattiva?
Innanzitutto tramite l’acquisizione o il rafforzamento di metodologie didattiche innovative: penso al Clil cioè a potenziare l’utilizzo di una lingua straniera nello studio di un’altra materia, a una didattica plurilingue, al Dada, ai metodi di apprendimento cooperativo… Tutti i progetti prevedono percorsi di capacity building per gli insegnanti, di formazione e rimotivazione. Una parte del finanziamento può essere utilizzata per lavorare sugli spazi, per esempio per allestire aule Stem, creare giardini o biblioteche, oppure per coinvolgere le famiglie. Ci sono risorse per offrire il pomeriggio o in estate delle attività extra curricolari di supporto allo studio, sport, musica, con dei ludobus o attività itineranti nei quartieri, per farsi conoscere: molti progetti prevedono anche che queste attività realizzate nell’istituto siano aperte anche ad alunni di altre scuole del territorio.
Come si trasforma una scuola-ghetto in una scuola attrattiva? Tramite metodologie didattiche innovative, l’alleanza con il Terzo settore, una diversa narrazione di sé
Simona Rotondi
Il punto è dare alle scuole l’opportunità di cambiare e quindi di produrre e attivare una nuova narrazione di sé, non più come “scuola ghetto” ma come scuola attrattiva per tutti. Qui è fondamentale l’autocomunicazione delle scuole, che devono cambiare la loro strategia comunicativa. Molte hanno previsto una web radio, altre la creazione di una newsletter fatta da genitori o studenti, tutte di reimpostare i famosi open day trasformandoli in veri e propri “eventi” per il territorio. È chiaro che per vincere la sfida bisogna coinvolgere le famiglie. Tutti i progetti prevedono attività per far conoscere le famiglie del quartiere e del territorio, spesso con il coinvolgimento delle associazioni delle comunità straniere.
La legge già prevede la possibilità di accordi tra scuole e protocolli per una redistribuzione degli alunni, contro la segregazione scolastica… che cosa prevedono le scuole del bando in questo senso?
Sono previsti dei protocolli sperimentali in alcuni municipi di Roma, ma questo aspetto andrà a regime nel prossimo anno scolastico.
Foto Matteo Rasero, LaPresse (Sanremo 2021)
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