Purtroppo il regime di Tripoli non si smentisce mai. Sul piano internazionale vorrebbe far credere che rispetta i diritti umani, ma in concreto fa l’esatto contrario. Ieri è stata diramata la notizia riguardante la liberazione dei 205 ragazzi eritrei detenuti da 16 giorni nel carcere di Brak, nel sud della Libia. Al contempo sarebbero stati rilasciati anche tutti gli altri loro connazionali rinchiusi nei centri di detenzione in varie zone del Paese nordafricano. Purtroppo, mentre scrivo queste poche righe, non sono ancora affatto chiare le condizioni e le modalità del rilascio. E sì perché sembra che siano “formalmente liberi”, ma senza alcuna reale garanzia, essendo sprovvisti di denaro, con in tasca soltanto una sorta di lasciapassare della durata di tre mesi valido per la sola Libia. In questo modo sarà davvero difficile per loro raggiungere Tripoli, attraversando aree desertiche, superando posti di blocco, cercando una improbabile via di fuga. Da rilevare inoltre che nessuno dei funzionari Onu ha potuto avvicinarli per sincerarsi delle loro effettive condizioni e per registrare le loro richieste. Considerando che la Libia non riconosce il diritto di asilo, è vitale che questa povera gente venga trasferita, quanto prima, in un Paese terzo che riconosca il loro legittimo diritto all’asilo. Personalmente mi auguro che l’Italia, in collaborazione con gli altri Paesi della Unione Europea, si renda disponibile ad accogliere i cittadini eritrei che per loro stessa ammissione sono profughi e richiedenti asilo, non semplici immigrati. Che piaccia o meno l’immigrazione è un fenomeno di fronte al quale nessuno può tirarsi indietro. Lasciare questa povera gente alla mercé delle autorità libiche è semplicemente immorale!
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.