Mondo

Eritrea: espulse sei ong italiane

Lo strano caso delle organizzazioni non governative espluse dal governo di Asmara comincia con un laconico messaggio recapitato il 16 febbraio

di Emanuela Citterio

?Nel ringraziare per le attività realizzate nel corso di questi anni, la vostra organizzazione è invitata a terminare, entro il 31 gennaio 2006, le proprie attività in Eritrea?. Comincia così lo strano caso delle organizzazioni non governative italiane espluse dal governo di Asmara: un laconico messaggio recapitato il 16 febbraio a Cesvi, Gvc, Mani Tese, Nexus, Cosv, Coopi. Sei delle otto ong italiane che operano da anni nel Paese africano. Ma il gesto del governo eritreo è solo l?ultima di una serie di restrizioni imposte sia nei confronti della società civile locale che delle organizzazioni straniere partner di progetti di sviluppo. E arriva alla fine di prese di posizioni eclatanti da parte del presidente Isaias Afwerki nei confronti delle Nazioni Unite e di Paesi tradizionalmente amici, in primis gli Stati Uniti. «Nel maggio dello scorso anno il governo eritreo ha promulgato una legge che prevede che le ong dispongano di un budget di 2 milioni di dollari per poter rinnovare la propria registrazione» spiega Sergio Marelli, presidente dell?Associazione delle ong italiane. «Ma in realtà l?espulsione non è stata motivata. Le ong italiane non si sono mai sottratte a verifiche sulla trasparenza del proprio operato». Un giro di telefonate tra le sei ong nell?occhio del ciclone basta per verificare che il criterio economico previsto dal governo eritreo in tutti i casi è soddisfatto. Il Cesvi di Bergamo precisa che «ha tutti i requisiti per operare nel Paese, anche quelli richiesti dalle autorità», ma preferisce «non commentare l?accaduto per concentrarsi su un?azione diplomatica per riavviare al più presto gli interventi a favore della popolazione locale». Identica la posizione delle altre ong, che affidano all?Associazione delle ong italiane qualsiasi posizione ufficiale in merito. Ma allora cosa ha fatto scattare la decisione di Asmara? Secondo alcuni osservatori l?espulsione delle ong sarebbe un segnale nei confronti del governo italiano, per una presa di posizione più decisa nei confronti della diatriba territoriale con l?Etiopia. Gli accordi di pace di Algeri del 2000 sancivano la restituzione all?Eritrea di una fascia di confine, mai avvenuta. Ma l?ipotesi non convince chi opera nella cooperazione internazionale. Una fonte diplomatica che chiede di restare anonima fa sapere che oltre alle sei ong italiane espluse altre 10 di diverse nazionalità sono in attesa di risposta, sul totale di 33 ong operanti in Eritrea. E poco tempo fa è stata espulsa persino Usaid, l?organizzazione umanitaria emanazione del governo degli Stati Uniti. Non si tratterebbe quindi innanzitutto di un gesto contro l?Italia ma di una reazione di fastidio rispetto alla presenza delle ong in quanto tali. Tra le 17 a cui è stato rinnovato il permesso di operare in Eritrea due sono italiane: Iscos-Marche e il Gruppo missioni Asmara (Gma). Ma anche in questo caso i criteri di selezione sono nebulosi. La prima è emanazione della Cisl, e collabora direttamente con il sindacato eritreo. La seconda è legata alla chiesa cattolica e vanta una presenza trentennale, ma lo scorso novembre s?è vista espellere un missionario di lungo corso che rappresentava il punto di riferimento di molti progetti di sviluppo nel Paese africano. Il regime di Afwerki, tra l?altro, non è stato tenero in questi mesi né con la chiesa cattolica né con quelle protestanti e neppure con la chiesa autoctona copta. Anche Amnesty International nel 2005 ha denunciato il giro di vite sulle libertà religiose in Eritrea. L?accettazione di Iscos e Gma è avvenuta dopo un intervento diplomatico del ministero degli Affari esteri e potrebbe essere semplicemente un segnale di ?buona volontà? da mettere sul tavolo delle trattative. Resta il fatto che in Eritrea – dove non esiste una legge per l?associazionismo e qualsiasi iniziativa della società civile è scoraggiata – il contatto diretto delle ong con le comunità locali è una spina nel fianco. Secondo fonti della diaspora eritrea in Italia, da mesi il governo rastrella centinaia di studenti universitari e laureati e li manda a Sawa, la principale base dell?esercito. Chi può scappa dall?arruolamento a vita, in Sudan e persino nell?odiata Etiopia. C?è chi prova a raggiungere la Libia, e di qui tenta la sorte del mare verso l?Europa. Nei villaggi al confine con l?Etiopia gli uomini rimasti sono la minoranza. Tutti gli altri sono a scavare trincee per la patria. Per ricominciare la guerra o per tenere a bada possibili opposizioni interne? Difficile dare una risposta. Quel che è certo è che gli spettatori sono troppo scomodi.


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