Non profit

Ereditare un castello è facile. Per mantenerlo, bisogna crearsi una “dote”

Lasciti immobiliari - il caso del FAI

di Redazione

A dirla in maniera grezza, il Fai riceve troppe eredità. Tanto che quasi quasi rischia di dover dire di no a qualcuno. A spiegare la particolarità e la complessità della situazione è Cristina Gromo, che 18 anni fa ha creato l’ufficio lasciti al Fai, di cui da allora è responsabile. «Quello che ci differenzia da altre onlus», spiega, «è il fatto che occupandoci di beni di carattere storico-artistico siamo visti come naturali destinatari da parte di chi si rende conto che la famiglia non è più in grado di gestire un bene importante. L’offerta di grandi beni da parte degli italiani c’è, tra l’altro recentemente anche con una bella evoluzione di carattere ambientale, pensi che l’ultimo caso è un’intera montagna in Valtellina…».
Il problema qual è? È «che la conservazione e la gestione di questi beni è molto onerosa, di certo non si sostiene solo con i biglietti d’entrata, quindi il rischio è di dover dire di no a grandi donazioni perché non c’è un flusso di lasciti più piccoli ma costanti che aiutino a mantenere i grandi beni con valenza istituzionale, inalienabili», continua la Gromo. Così, oltre a palazzi e castelli, collezioni e gioielli, ciò su cui oggi il Fai punta è costruire una sorta di “dote” che accompagni il bene istituzionale e gli consenta di vivere. Ad esempio un appartamento da affittare o da vendere, per ricavarne liquidità. Spesso ci si riesce ad accordare con lo stesso testatario, visto che in genere l’intenzione di nominare il Fai nel proprio testamento viene comunicata prima (ma anche qui non mancano le sorprese, come è stato per la Torre di Ossuccio, sul lago di Como), ma per la Gromo è importante rivolgersi a tutte le famiglie: «Stiamo avendo una buona risposta proprio sulle case, ma anche sulle polizze vita, peraltro uno strumento a noi favorevole perché non ha i lunghi tempi burocratici della successione», dice.

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