Mondo
Era un cane o un bambino? La guerra col joystick di Obama
La testimonianza choc di un veterano americano che per anni ha combattuto i "ribelli" afghani dal New Mexico con l'uso di programmi ultrasofisticati e il supporto di droni: «uccidevamo bambini, ci dicevano che erano cani»
Che effetto fa uccidere a distanza con un joystick? Un “veterano” americano racconta cinque anni di guerra tecnologica contro i terroristi di Al Qaeda. Una guerra condotta dagli Stati Uniti con l’uso di programmi ultrasofisticati con il supporto di droni, il tutto a centinaia di migliaia di chilometri dall’Afghanistan.
Mai in vita sua Brandon Bryant avrebbe immaginato uccidere un cane con due gambe. Ma nel mondo virtuale tutto è possibile, soprattutto quando la tua gerarchia militare confonde volutamente un animale con un bambino afghano ucciso con un missile Hellfire. Per Brandon è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo cinque anni trascorsi a fare la guerra come in un videogioco della playstation, ha deciso di lasciare l’esercito americano e svuotare il sacco. “In tutti questi anni, ho visto morire uomini, donne e bambini” racconta al giornale tedesco Der Spiegel, ma mai a distanza ravvicinata. La guerra al terrorismo Brandon l’ha condotta nel Nuovo Messico, a decine di migliaia di chilometri dai suoi nemici, rinchiuso in un container senza finestre, con una temperatura di 17 gradi. Dal 2007 al 2012, Brandon ha pilotato dei droni – i temutissimi aerei militari americani senza pilota, il giocattolo preferito di Barack Obama – al cuore di un’unità molto speciale dell’US Air Force. “Davanti agli occhi di Brandon e dei suoi colleghi scintillavano quattordici schermi. Sotto le loro dita, quattro tastiere. Era sufficiente che Brandon spingesse su un bottone affinché un uomo morisse dalla parte opposta del pianeta” dettaglia Der Spiegel. In cinque anni, Brandon ha ucciso una decina di esseri umani.
Confortevolmente seduto nel suo “cockpit”, quel giorno smanettando conduce il suo Predator in volo notturno verso un villaggio situato tra Baghlan e Mazar-e Sharif, nel nord dell’Afghanistan. Sullo schermo appare un villaggio con tanto di case, stalle e capre. Di puntini rossi, simbolo della presenza di essere umani, non c’è traccia. Passano pochi minuti e gli viene ordinato di lanciare un missile di tipo Hellfire. Brandon non ci pensa su un attimo: mentre mette nel mirino la casa in cui sarebbe rintanato un pericolosissimo talebano, il suo collega preme sul suo joystick. Ci vogliono tredici secondi prima che il razzo colpisca il target, dai due ai cinque secondi prima che le immagini registrate sul terreno con l’uso di telecamere infrarosse appaiano sui suoi schermi. Ancora sette secondi prima dell’impatto e nessun essere umano in vista. Brandon potrebbe essere ancora in tempo e deviare la traiettoria del suo missile ma non c'è traccia di presenze umane. All’improvviso spunta dal nulla un bambino che corre in un angolo della casa. Troppo tardi. Un bagliore appare sullo schermo. Pessimo segnale. L’Hellfire è esploso. La casa crolla e il bambino è scomparso, probabilmente morto sotto le macerie. “Dimmi, abbiamo appena ucciso un bambino?” chiede Brandon al suo collega. “Credo di sì” afferma il pilota. Scorrono lunghissimi minuti al termine dei quali i due piloti ricevono un colpo di telefono da un posto di comando dell’esercito americano: “No, era un cane”.
Brandon non è convinto e ripassa le immagini registrate. “Un cane con due gambe non lo avevo mai visto” conclude. Così come quel giorno si è concluso la sua esperienza professionale nell’US Air Force con 6mila ore di volo alle spalle. Nel suo diario personale, si legge: “Sul campo di battaglia non ci sono belligeranti, ma soltanto sangue, la guerra totale. Mi sento talmente morto. Vorrei che i miei occhi si scomponessero”. Con buona pace del presidente Obama, che dei droni ha fatto la sua arma preferita nella lotta degli Stati Uniti d’America contro il terrorismo internazionale.
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