Sostenibilità

Equosolidali e divisi, commercio a un bivio

Nel quinto anniversario di TransFair, emergono le diverse anime che si muovono nel settore: idee opposte sulla certificazione e sulle possibili aperture ai soggetti profit

di Barbara Fabiani

TransFair Italia, il marchio di certificazione del commercio equo e solidale, ha festeggiato in questi giorni i suoi primi 5 anni di attività. Dal 1996 ha portato sugli scaffali della grande distribuzione caffè, zucchero, cacao e miele con il marchio etico.
Il mondo del commercio equo e solidale vive però un’atmosfera irrequieta. Ne è sintomo la decisione di Ctm Altromercato, uno dei maggiori importatori del mercato alternativo in Italia, e del collega Equomercato di rinunciare al marchio TransFair sui loro prodotti; decisione che verrà ufficializzata nelle prossime settimane.
Secondo TransFair si tratta di una scelta troppo drastica: «Se il problema era un’eccessiva visibilità del marchio di certificazione rispetto al marchio di prodotto, avremmo potuto riequilibrare le esigenze senza arrivare alla cessazione dei contratti di sublicenza», dice il presidente Adriano Poletti .
Ctm da parte sua ci tiene a precisare che la rinuncia al marchio di certificazione non è un’azione contro TransFair, di cui tra l’altro resta socia: «Sono anni che ragioniamo sul meccanismo della “certificazione di prodotto” e abbiamo ritenuto che fosse arrivato il momento di fare un gesto forte per dimostrare la nostra opposizione a questo sistema di certificazione che noi riteniamo non più adeguato alla realtà del commercio equo e solidale», chiarisce Giorgio Dal Fiume presidente di Ctm. «Con questo metodo vengono escluse dalla certificazione la maggioranza delle merci che non sono prodotte con un sistema di produzione standardizzato, che sia artigianato o merci di produzione familiare». La conclusione di Ctm è che occorre passare dalla certificazione orientata sul prodotto alla «certificazione delle organizzazioni», un cambiamento che, secondo Poletti, è prematuro perché questo nuovo sistema non è ancora completamente messo a punto.
Intanto si dibatte anche sulla scelta di un organo di rappresentanza di fronte al Parlamento Europeo. In questi ultimi mesi la Fairtrade Label Organization (Flo), fondata nel ’97 e che riunisce i marchi di garanzia, ha avviato un processo di riorganizzazione che secondo alcuni – tra cui Ctm ed Equomercato – punta a mettere questo organismo al centro del sistema, e con esso il ruolo dei certificatori. Ciò fa temere a produttori, importatori e distributori di perdere il proprio ruolo e che il settore si vada appiattendo sull’equazione «solo ciò che è marchiato è etico».
Un ulteriore dibattito riguarda il profitto. Commercio Alternativo, una cooperativa di cinquanta importatori-distributori, ha recentemente proposto di consentire l’apertura di botteghe “a fini di lucro”, a condizione che non si vendano anche i prodotti del mercato convenzionale, che si limiti il fatturato a cifre da stabilire e che ci siano soglie per gli stipendi dei titolari. Si tratta, in un certo senso, di inaugurare un mercato profit equo e solidale. La proposta non ha mancato di suscitare forti reazioni tra possibilisti e intransigenti. Tra questi ultimi si è detta decisamente contraria Assobotteghe, un’altra delle agenzie di importazione e distribuzione.

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