Non profit

Eppure anche gli Usa avevano chiuso le porte

Quanto accade in Birmania non può sorprendere il mondo umanitario. François Grunewald, alle spalle 25 anni passati a creare progetti di sviluppo e sfidare le emergenze umanitarie, non è sorpreso.

di Joshua Massarenti

Quanto accade in Birmania non può sorprendere il mondo umanitario. François Grunewald, alle spalle 25 anni passati a creare progetti di sviluppo e sfidare le emergenze umanitarie, non è soperso da quanto sta accadendo sul fronte del paese devbatsato dal ciclone. Dice: «Le esperienze precedenti ci hanno già dimostrato che di fronte a regimi come quello birmano le polemiche sulle difficoltà incontrate dagli operatori per consegnare gli aiuti rischiano di avere effetti controproducenti». Grunewald non vuole pronunciare la parola fallimento. Nemmeno quando in sospeso c?è la vita di centinaia di migliaia di esseri umani rimasti intrappolati tra una castatrofe ambientale e una dittatura militare claustrofobica. Per Grunewald, che oggi è direttore del Groupe Urd (Urgence-réhabilitation-développement), un istituto indipendente di ricerca e di analisi sullo sviluppo e l?emergenza, «l?ingerenza umanitaria non ha nessuna possibilità di successo in Birmania. Per convincere Rangoon ad aprire le sue frontiere, non c?è altra alternativa alle pressioni diplomatiche mantenendo alta l?attenzione dei mass-media».

Vita: Intanto il numero delle vittime continua a crescere in modo vertiginoso. Si aspettava una tragedia di queste dimensioni?
François Grunewald:Conoscendo il regime e visto la portata devastante del ciclone, direi che i dati non sorprendono. Lei apra un file Excel e componga una tabella con quattro caselle. Nella parte superiore, inserisca due colonne, la prima composta da Stati dittatoriali, la seconda da Stati di stampo democratico. Ci ficca poi nella parte inferiore una prima riga in cui inserire gli Stati che si interessano alla loro popolazione e una seconda con quelli che non si curano dei propri cittadini. Bene, la Birmania è il tipico Stato dittatoriale totalmente indifferente al destino del suo popolo. La sua unica preoccupazione è quella di controllare i birmani con metodi estremamente repressivi. Il ciclone Nargis ha messo a nudo i limiti terribili di un regime che, contrariamente al caso cubano, non ha mai messo in piedi una vera politica di prevenzione e un sistema di allerta contro le catastrofe ambientali. A Cuba, quando passa un ciclone, anche devastante, ci sono al massimo tre morti.
È una proposta del tutto fuori luogo. L?ingerenza umanitaria è possibile soltanto quando il regime è debole, il che non è il caso della Birmania. La giunta militare dispone di due alleati potenti nel Consiglio di sicurezza, la Cina e la Russia, quindi non vedo nessuna possibilità di poter imporre con la forza un intervento umanitario. Questo è uno dei grandi limiti del dibattito che caratte-rizza la responsabilità di protezione civile: quando si è di fronte a una giunta militare solida e ben appoggiata a livello diplomatico, l?ingerenza umanitaria non ha nessuna possibilità di essere applicata. A costo di ripetermi, è inutile sprecare fiato con proposte demagogiche, meglio puntare sulle capacità di persuasione delle diplomazie occidentali per convincere il regime birmano dell?opportunità di accettare gli aiuti esterni.

Vita: C?è chi poi propone di violare lo spazio aereo birmano per calare gli aiuti dal cielo…
Grunewald: Ecco un?altra idea irrealistica. Non soltanto per gli ostacoli politici a cui ho appeno accennato, ma anche dal punto di vista logistico. Conosco bene la pianura dell?Irrawady. Visto le inondazioni, le possibilità di mirare i corsi d?acqua e le colline non sommerse dalle acque sono quasi nulle. Calare dal cielo gli aiuti significa buttare al vento tonnellate di materiale. Non credo sia il modo più appropriato per salvare vite umane.

Vita: Non le sembra che questa sia l?ennesima dismostrazione dei limiti dell?azione umanitaria?
Grunewald: Non credo che l?emergenza birmana possa mettere in crisi gli operatori umanitari. Credo invece che si aprirà una nuova fase di riflessione in cui si dovrà accettare l?idea che l?era degli aiuti consegnati ?illegalmente? attraverso traversate notturne tra pianure, giungle e colline è definitivamente sepolto. Oggi non c?è più spazio alle operazioni umanitarie inventate dal movimento ?senzafrontierista?. Tutt?al più si può sperare che gli aiuti consegnati allo Stato vengano distribuiti con prontezza e intelligenza. Dopotutto, il regime ha tutto il diritto di voler controllare e distribuire gli aiuti che provengono dall?estero. Quando la Croce Rossa francese ha proposto i suoi servizi di coordinamento a quella statunitense dopo Katrina, gli americani hanno detto no. Il problema semmai si pone con un regime che sfrutta una catastrofe ambientale per fare propaganda politica.

Vita: Siamo alla fine del diritto di ingerenza umanitaria?
Grunewald: Negli ultimi 60 anni il diritto umanitario internazionale si è evoluto. Oggi ci sono molti strumenti giuridici a disposizione che permettono di sanzionare la sua non applicazione, il problema è che questi strumenti non sono quasi mai adottati. Almeno non in casi come quello birmano. Nessuno andrà a imporre il diritto di ingerenza ai cinesi e ai russi. Si preferisce mantenere salva la vita di questo diritto per gli Stati deboli, privi di interessi geostrategici. Il nodo del problema sta tutto qui.

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