Non profit

Enron, il virus è ancora lì

Un anno dal caso Enron. Una lezione non digerita

di Francesco Maggio

Venerdì 18 ottobre 2002, Timothy Belden, ex responsabile del trading energetico di Enron, ha ammesso davanti alla Corte federale di San Francisco di aver commesso azioni irregolari per far lievitare oltremodo i prezzi dell?elettricità in California (colpita nell?estate 2000 da lunghissimi black out) e, quindi, i profitti dell?azienda texana. Una dichiarazione di colpevolezza di uno dei suoi manager di punta arriva, così, a suggellare il primo anniversario del più grande scandalo finanziario della storia degli Stati Uniti. Uno scandalo abnorme non tanto dal punto di vista dell?entità della bancarotta (i 63,4 miliardi di dollari di Enron impallidiscono di fronte ai 103,9 di Worldcom) quanto piuttosto per la pervicacia, la spavalderia, la diabolicità dimostrata daKenneth Lay (il ceo) e soci nel perpetrarla, come racconta efficacemente Nicola Burzi nel volume da poco in libreria La parabola Enron (Feltrinelli). Nei mesi successivi al ?botto?, prima che altre clamorose malefatte venissero a galla (oltre a Worldcom, Tyco, Global Crossing, Adelphia, Kmart, eccetera, eccetera) in tanti si ostinarono a parlare di caso isolato, tutt?al più di «poche mele marce». Ancora poche settimane fa, Craig Barret, numero uno di Intel e grande fautore della trasparenza (tra i pochi a contabilizzare in bilancio le stock option come costi) asseriva che non era il caso di drammatizzare: «A parte la spettacolarità della vicenda Enron», affermava, «i casi in questione sono una decina su un totale di 15mila società quotate». Peccato dimenticasse di aggiungere che quella ?decina? di società ha mandato in fumo, come ha stimato il Financial Times, 328,5 miliardi di dollari e 72.630 posti di lavoro. Invece, a dispetto della diffusa volontà di sminuire la portata del crollo del colosso (a cominciare dai piani alti dell?amministrazione Bush, per anni in stretti rapporti con il top management di Houston) il caso Enron montò come panna montata e il capitalismo americano rivelò in un sol colpo tutta la sua fragilità. Quali i talloni d?Achille? Molteplici. Tre, tuttavia, quelli più esposti: i fondi pensione; le stock option; il ruolo degli analisti. I fondi pensione sono negli Stati Uniti i principali investitori istituzionali, sono determinanti nella nomina degli amministratori e nella definizione delle strategie aziendali. Perché non hanno denunciato gli scandali? «Gli anni della bolla», ha dichiarato Peter Clapman, al vertice del Tiaa Cref, il gigantesco fondo pensione degli insegnanti americani (con oltre 280 miliardi di dollari di patrimonio gestito), «sono stati gli anni della follia dell?indifferenza, i protagonisti del mercato sono rimasti anestetizzati da un listino che non faceva altro che salire». «Molti, così», continua Peter Clapman, «hanno abbassato la guardia e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: scandali a ripetizione e un sistema da rifondare».Un monito valido anche in materia di stock option. Nate, infatti, come strumento di fidelizzazione del management all?impresa, sono diventate esse stesse il fine precipuo della loro attività. Ossia, corsa sfrenata a gonfiare con qualsiasi artificio contabile gli utili, per poi passare alla cassa. Come giustificare, altrimenti, il fatto che, per esempio, Gary Winnick, ceo di Global Crossing, a fronte di 2,8 milioni di dollari di stipendio sia riuscito ad intascarne 512,4 di stock option? E lo stesso Kenneth Lay, da 25,3 milioni abbia poi ?arrotondato? con altri 246,7? Insomma, anche qui, tutto da rifondare. Infine, tasto dolentissimo, quello delle responsabilità degli analisti nell?aver consigliato male gli investitori e contribuito alla distruzione dei loro risparmi. La stessa Amy Domini, con grande sincerità, ha dichiarato a E&F (n. 38) che il suo fondo aveva investito in Enron perché le sembrava un titolo interessante. La Fsa (Financial Services Authority), responsabile in Gran Bretagna della regolamentazione di stabilità e trasparenza dei mercati, ha calcolato di recente che le raccomandazioni sulle aziende da parte degli analisti delle banche i cui merchant bankers hanno agito come consulenti, sono state nell?80% dei casi dei ?buy?, consigli di acquisto, esattamente il doppio delle raccomandazioni su aziende per cui la banca dell?analista non lavorava. Che dire? Più conflitto d?interesse di così. «è difficile spiegare come questo differenziale in raccomandazioni», ha commentato con il tipico humor inglese Howard Davies, presidente della Fsa, «possa essere giustificato in termini razionali». Aprendo l?ultima conferenza annuale dell?Icgn (International Corporate Governance Network), l?associazione degli investitori istituzionali, il presidente della Consob, Luigi Spaventa ha detto: «Forse un giorno ringrazieremo la Enron. Senza quella crisi e le altre che l?hanno seguita l?immagine del capitalismo Usa sarebbe rimasta la stessa». Quella cioè, alla Gordon Gekko del film Wall Street. C?è da augurarsi che abbia ragione. Anche se le ultime confessioni dei manager della Enron non fanno certo ben sperare.


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