Non profit
Emolumenti bloccati per i dirigenti di Onlus
Per le associazioni non profit l'assenza di lucro è inderogabile. Quindi anche amministratori e revisori devono percepire compensi che rispettino alcuni limiti
Siamo un gruppo di laureati in conservazione dei beni culturali e abbiamo deciso di costituire una onlus in forma di associazione che si occupi di tutela e valorizzazione dei beni storico-artistici. Poiché non ci è ben chiaro il testo dell’art. 10 del D.Lgs. 460/97, poniamo il seguente quesito sottolineando che l’associazione non intende ispirarsi direttamente alla legge n. 266/91 sul volontariato: «È possibile prevedere nello statuto dell’associazione la corresponsione di emolumenti individuali annui ai componenti degli organi amministrativi?»
A.P. (email)
Rispondono Carlo Mazzini e Sara Gianni
La costituzione di un’associazione che possa fregiarsi della denominazione onlus richiede, in base al Decreto Legislativo n. 460 del 4 dicembre 1997 art.10, la presenza di una serie di requisiti tassativi, tra i quali al comma 1, lettera d), viene citato il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione. Il comma 6, che fornisce un elenco di ciò che deve essere considerato distribuzione indiretta di utili o di avanzi di gestione, indica espressamente alla lettera c) la corresponsione, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni.
La disposizione legislativa menziona, quale indice per la commisurazione del limite massimo, il Dpr n. 645 del 10 ottobre ’94 e la Legge n. 336/95. Queste norme dispongono che l’onorario non può superare gli 80 milioni di lire annui; oltre tale ammontare il compenso sarebbe considerato distribuzione di utili. È determinante, per potersi avvalere del termine onlus, l’apposizione della clausola di divieto nello statuto o nell’atto costitutivo, la quale può essere a titolo esemplificativo, così formulata: «Eventuali compensi da corrispondere agli amministratori o ai revisori sono determinati dall’Assemblea dei soci. È vietata, comunque, la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori ai limiti imposti dalla legge per il Presidente del Collegio sindacale delle società per azioni».
Gli effetti negativi del superamento della suddetta cifra si rilevano non solo nella perdita della qualifica di organizzazione non lucrativa di utilità sociale, ma anche del venir meno della disciplina agevolativa prevista dal Dpr n. 917 del 1986 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) art. 111 per i semplici enti associativi, il quale prevede al comma 3, che le attività svolte da associazioni culturali in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso il pagamento di corrispettivi nei confronti di iscritti, associati o partecipanti, non si considerano commerciali, purché citino nei loro statuti alcuni vincoli volti a garantire la non lucratività dell’associazione; tra di essi risulta il divieto di distribuzione, anche in modo indiretto degli utili, criterio che riprende, secondo l’interpretazione ministeriale, il predetto comma 6 della legge 460. In questo caso, il superamento del limite massimo del compenso degli organi amministrativi provocherebbe la sottoposizione dell’associazione alla disciplina del reddito d’impresa, in quanto le attività sarebbero considerate commerciali.
L’intenzione di retribuire, seppur entro un preciso plafond, l’attività dei componenti gli organi amministrativi, che siano anche soci, preclude la possibilità all’associazione di poter essere ricompresa fra le organizzazioni di volontariato. La legge quadro sul volontariato n. 266/91 dispone, all’articolo 3, che le organizzazioni di volontariato si avvalgano prevalentemente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti. L’assenza del fine di lucro del socio volontario è condizione insindacabile e viene sottolineata dall’articolo 2 della stessa legge, disponendo che il volontario non può essere retribuito in alcun modo neanche indiretto, e non può assumere alcun rapporto, neanche di lavoro, che abbia contenuto patrimoniale con l’organizzazione.
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