Lavoro e inquinamento

Emmy, morta di pesticidi in Francia

Oltralpe hanno riconosciuto la prima bambina vittima dei pesticidi. Era figlia di una fiorista, Laure Marivain, che per lavoro si è trovata a contatto con queste sostanze chimiche pericolose senza saperlo, mentre era incinta. Altri genitori con simili storie sono agricoltori e per loro è particolarmente difficile raccontare la propria esperienza, perché erano consapevoli dei rischi. «Senza voler sminuire l’importanza dei risarcimenti, credo che l’agricoltura non cambierà perché nell'agenda politica si parla di malattie legate ai pesticidi», dice Giovanni Prete, sociologo della Sorbona che da anni studia questo tema

di Elisa Cozzarini

Emmy Marivain è morta a undici anni nel 2022. La piccola si è ammalata di leucemia molto probabilmente a causa dell’esposizione della madre fiorista, Laure, durante la gravidanza, ai pesticidi presenti sui fiori che maneggiava ogni giorno per lavoro, senza conoscere i rischi per la salute. Da due anni Laure, difesa dall’avvocato François Lafforgue, si batte perché vengano riconosciuti i rischi della sua professione, ignorati dalle istituzioni e dai datori di lavoro. È la promessa che ha fatto a sua figlia. Oggi Emmy è la prima vittima pediatrica riconosciuta dal Fondo nazionale per l’indennizzo delle vittime da pesticidi.

La storia di Laure Marivain, come quelle di altre famiglie colpite da un simile destino e di agricoltori vittime di pesticidi, è stata raccolta dai sociologi Jean-Noël Jouzel del Centro nazionale di ricerca francese – Cnrs e Giovanni Prete dell’Università Sorbona di Parigi, che da anni si occupano di questo tema. È uscito quest’anno L’agriculture empoisonnée Le long combat des victimes des pesticides, libro che ripercorre più di dieci anni di ricerca di Jouzel e Prete con gli agricoltori dell’associazione Phyto victimes e i medici, gli avvocati, i giornalisti e gli ambientalisti che li sostengono nella richiesta di un risarcimento per le malattie sviluppate a causa dell’utilizzo di sostanze pericolose in ambito lavorativo.

Giovanni Prete, come avviene in Francia l’indennizzo delle vittime da pesticidi?

Esiste un meccanismo che prevede automaticamente (come in Italia ndr) un indennizzo forfettario per chi si ammala di una malattia “tabellata”, legata al lavoro. La filosofia alla base di questo sistema dovrebbe essere che, più si sviluppano patologie professionali, più si devono fare risarcimenti e più il datore di lavoro dovrebbe essere spinto a fare prevenzione. In realtà, non funziona molto. In Francia, dagli anni Duemila – lo raccontiamo nel nostro libro – ci sono state mobilitazioni politiche e pubblicazioni scientifiche che hanno portato al riconoscimento di nuove malattie tabellate, legate all’uso di pesticidi in agricoltura: il morbo di Parkinson, il cancro del sangue e della prostata. Così si è passati da una decina di indennizzi ogni anno, all’inizio del millennio, a centinaia, oggi. Non sono aumentate le persone che si ammalano, ma è diventato più facile riconoscere il nesso tra lavoro agricolo e malattia. Phyto victime è l’associazione di agricoltori più impegnata su questo fronte.

Il sociologo francese dell’Università Sorbona di Parigi Giovanni Prete

Poi, nel 2020 è stato creato uno specifico Fondo per l’indennizzo delle vittime dei pesticidi. Ma si tratta di uno strumento debole, perché le proposte degli attivisti e degli ambientalisti non sono state accolte dal governo. Parliamo pur sempre, a differenza per esempio dell’amianto, di sostanze non vietate, disponibili sul mercato europeo. L’unica vera novità del Fondo è la possibilità di riconoscere le vittime pediatriche: i bambini che si ammalano a causa di un’esposizione dei genitori, nel loro lavoro, prima della nascita e durante la gravidanza.

La storia di Emmy Marivain e di sua madre Laure ha fatto emergere i rischi mortali dell’uso dei pesticidi anche al di fuori dell’agricoltura…

Sì, quando abbiamo conosciuto Laure, sei mesi fa, ci ha raccontato che nel suo lavoro di fiorista nessuno mai l’aveva messa a conoscenza dei rischi per la salute derivanti dal maneggiare fiori con residui di pesticidi, per lo più importati da Paesi del Sud globale. Così abbiamo capito che in quella filiera non c’è nessun tipo di prevenzione né di informazione. È una filiera industriale che impiega moltissime donne. Abbiamo pubblicato subito un articolo per incoraggiare le autorità sanitarie a intervenire, interessarsi del tema, anche perché in quel momento Laure non voleva parlare con i media. L’ha fatto solo di recente.

La vostra ricerca prevede interviste a genitori, come Laure Marivain, i cui figli si sono ammalati o sono morti probabilmente a causa della loro esposizione ai pesticidi… Quanto è difficile raccontarsi, per queste madri e questi padri?

Già nella prima fase del nostro studio, incontrando gli agricoltori, ci siamo resi conto che non solo è molto complicato parlare della propria malattia, ma soprattutto di quella dei propri figli. Si pongono questioni di colpa molto forti. Inoltre, mentre per gli agricoltori oggi è più facile che la malattia sia indennizzata, per i figli non c’è un riconoscimento automatico, serve una prova. E se scopro che mio figlio si è ammalato perché io non ho fatto attenzione, è più difficile per me chiedere un risarcimento. Tra le persone che abbiamo incontrato, alcune madri hanno accettato di parlarci di nascosto dai mariti agricoltori, che non vogliono affrontare la questione, non vogliono discutere dell’uso dei pesticidi.

Nel vostro libro spiegate come gli agricoltori, che usano i pesticidi, sono diventati “vittime”…

Ci sono vittime “buone” e “cattive”. Le prime, parlando di fitofarmaci, sono quelle che sono state esposte senza saperlo e senza avere altra scelta. Laure, ad esempio, è una buona vittima: non era stata informata dei rischi, ed era una dipendente, dunque non aveva scelta. Un agricoltore invece sicuramente è informato e, per di più, almeno in Francia, di solito è un imprenditore, responsabile delle sue condizioni di lavoro. Non solo: quando usa pesticidi non fa male solo a se stesso, ma anche agli altri. Gli agricoltori, quindi, non sono vittime “ideali”. Però possiamo chiederci se avevano, o hanno, davvero scelta, viste le politiche agricole promosse in Francia dagli anni Sessanta e Settanta. Tutti i sindacati e le confederazioni agricole hanno incentivato l’uso di pesticidi. E così le industrie chimiche produttrici, che non hanno dato nemmeno tutte le informazioni. Gli agricoltori, quindi, quando si ammalano, sono vittime “ambigue”.

Ci sono figure, scrivete nel libro, che hanno aiutato gli agricoltori a riconoscersi come vittime: medici, avvocati, giornalisti, ambientalisti. Chi sono questi “intermediari”?

Quando, nel 2010, abbiamo iniziato la ricerca, gli agricoltori erano considerati solo come degli inquinatori e non si aveva l’idea che potessero ammalarsi. Per vedere riconosciuto il loro problema, si sono rivolti alle organizzazioni sindacali e allo Stato, ma non sono stati ascoltati. Gli unici che hanno dato loro retta sono stati gli ambientalisti, come l’associazione Générations futures di cui scriviamo. Per gli ecologisti si apriva un fronte interessante, per entrare in contatto con un mondo che, fino a quel momento, non erano mai riusciti ad agganciare, per convincerli che il sistema è ammalato e fa ammalare le persone. Li hanno incoraggiati a prendere la parola, a organizzarsi. Hanno offerto un altro punto di vista, un modo nuovo di raccontarsi: anche gli agricoltori sono vittime di un sistema produttivista diffuso in Francia e della disinformazione delle case di produzione dei pesticidi. Così è nata Phyto victime. Altre figure fondamentali in questo percorso sono i medici, gli avvocati, come François Lafforgue che difende tra gli altri anche Laure Marivain, e i giornalisti, come Marie-Monique Robin (il suo libro choc Il veleno nel piatto è pubblicato in italiano da Feltrinelli, 2012)

L’agricoltura è considerata il settore tradizionale per eccellenza, anche se viene praticata in modo industriale e con un pesante uso di sostanze chimiche. All’inizio di quest’anno abbiamo assistito in tutta l’Unione europea alle proteste dei trattori, che hanno messo in discussione il Green deal proprio per le misure che andrebbero verso un’agricoltura con meno pesticidi…

Senza voler sminuire l’importanza dei risarcimenti, sono convinto che l’agricoltura non cambierà perché nell’agenda politica si parla di malattie legate ai pesticidi. Durante la nostra ricerca, abbiamo verificato che non necessariamente un agricoltore smette di usarli quando si ammala. È vero, alcuni passano al biologico, ma non è la maggioranza, perché è difficile convertirsi a un diverso sistema economico e gli incentivi in quel senso sono molto deboli. Tutto va invece nella direzione dell’agroindustria, a partire dai sussidi della Politica agricola comune – Pac. Si punta sull’agricoltura di precisione, l’uso dei droni, dell’intelligenza artificiale, ma non viene davvero considerata la possibilità di sostenere le produzioni locali. In più il messaggio è che a essere pericolosi sono i vecchi prodotti chimici, non quelli nuovi. Io non so se sia così, ma è ciò che si diceva trent’anni fa.

L’agricoltura non cambierà perché nell’agenda politica si parla di malattie legate ai pesticidi. Durante la nostra ricerca, abbiamo verificato che non necessariamente un agricoltore smette di usarli quando si ammala.

Giovanni Prete, sociologo

La scommessa degli ecologisti, oggi, è quella di incarnare il male che fanno i pesticidi alla salute globale e all’ambiente nella malattia di coloro che li usano. Se dico che il 60% della biodiversità è diminuita in Europa, non sembra essere un problema. Se invece racconto che una madre ha perso sua figlia a causa dei pesticidi, ho un’immagine concreta del dramma, che mi colpisce emotivamente e mi spinge a fare pressione politica.

In apertura foto di Tamara Menzi su Unsplash

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