Cultura

Emergenze: la Grande sete prossima ventura

Nel 2025 due abitanti della Terra su tre dovranno affrontare il problema della penuria d'acqua, e molti di loro saranno costretti a emigrare in cerca di acqua dolce. Di Cesare Pavone

di Redazione

Nell’ultimo secolo il consumo globale di acqua è aumentato più del doppio rispetto alla crescita della popolazione, e la diminuzione delle risorse idriche potrebbe far diventare proibitivi i costi dell’approvvigionamento alimentare per oltre un miliardo di esseri umani. La quantità di acqua nel mondo è limitata. La razza umana, e le altre specie che vivono sulla Terra, non possono aspettarsi che duri all’infinito. L’offerta di risorse idriche mondiali è nettamente inferiore alla domanda, e un terzo della popolazione del pianeta vive già in regioni considerate “idricamente stressate”, per usare la definizione del World Resources Institute. I “profughi dell’acqua” I paesi ricchi, che praticano una gestione efficiente delle acque, riusciranno a cavarsela, ma quelli poveri soffriranno moltissimo. Tra il 1900 e il 1995 il consumo di acqua si è sestuplicato; questo significa che i paesi in via di sviluppo conosceranno un esodo dei “profughi dell’acqua”, gente costretta a emigrare in cerca di acqua potabile. La situazione, rivela l’organizzazione umanitaria britannica Tearfund, è già preoccupante: nell’Africa centrale e occidentale 20 milioni di persone di sei paesi usano l’acqua del lago Chad, che negli ultimi 38 anni si è ridotto del 95%; due terzi delle città della Cina hanno gravi problemi di rifornimento idrico; e nell’Asia centrale il livello del Mare di Aral, un tempo il più grande mare interno del mondo, è calato di 16 metri e la sua superficie si è quasi dimezzata. Nel 2025, secondo Tearfund, crescita demografica ed esigenze di più alti livelli di vita fanno prevedere un aumento di almeno il 50% del volume di acqua necessario per produrre derrate. Ma la crescente penuria d’acqua minaccia di ridurre di oltre il 10% l’approvvigionamento alimentare globale. L’agricoltura assorbe già più del 70% dell’acqua dolce del pianeta, e la proporzione sale a oltre il 90% in Asia e Africa. In un mondo assetato i paesi poveri dovranno scegliere se usare l’acqua per irrigare i raccolti o per scopi domestici e industriali. Per il miliardo e 300 milioni di persone che vivono con un dollaro o anche meno al giorno l’aumento del prezzo delle derrate potrebbe significare una condanna a morte. L’acqua è un diritto umano fondamentale, senza di essa le società appassiscono e la gente muore. Eppure oggi siamo sull’orlo di una crisi idrica globale che potrebbe privare miliardi di persone della possibilità di accedere a fonti di acqua pulita. Siamo riusciti a imbrigliare l’acqua per l’energia, l’industria e l’irrigazione, ma a costi sempre più spaventosi. Le cause -Tra le molte cause della crisi in atto, oltre all’incremento demografico, al desiderio di migliori livelli di vita e agli sprechi che si fanno nell’agricoltura, c’è il fallimento dei governi dei paesi emergenti nel regolare e gestire la risorsa acqua e nell’investire in essa. Prendiamo per esempio la Cina: da qui al 2030 la sua popolazione passerà da 1.3 miliardi a 1.5 miliardi, ma la sua domanda d’acqua aumenterà del 66%. Un altro problema è costituito dal riscaldamento globale, che secondo alcuni scienziati farà aumentare la siccità e avanzare i deserti. Attualmente solo il 2.5 % dell’acqua della Terra non è salata, e due terzi di essa sono intrappolati nelle calotte polari e nei ghiacciai. Del terzo rimanente, il 20% si trova in aree remote, e il resto arriva nel posto e nel momento sbagliati, sotto forma di piogge monsoniche e inondazioni. La quantità di acqua dolce disponibile per gli esseri umani è meno dello 0,08% di tutta quella presente sul pianeta. Sempre più spesso i governi cercano di risolvere i loro problemi idrici utilizzando le riserve di acque sotterranee invece di puntare sulla pioggia e sulle acque di superficie. Che equivale a prelevare in continuazione da un conto corrente senza mai fare alcun versamento (tra 15 anni, per esempio, New Delhi, in India, avrà esaurito le proprie riserve). L’uso di acque sotterranee non rinnovabili non significa soltanto la graduale scomparsa di una risorsa insostituibile: fiumi, terreni paludosi e laghi che dipendono da esse possono inaridirsi. E al posto dell’acqua dolce pompata via può arrivare acqua di mare. Lo svuotamento delle falde acquifere può anche causare l’abbassamento del terreno, un problema comune a città come Venezia, Città del Messico e Bangkok. Acqua pulita e servizi igienici negati nei paesi emergenti E poi c’è il problema degli ecosistemi idrici mondiali degradati e della qualità dell’acqua in continuo deterioramento nei paesi in via di sviluppo (a causa dei pesticidi e degli scarichi fognarii e industriali). Si potrebbero salvare da 1.500.000 a 1.700.000 vite ogni anno se si diffondesse l’abitudine di lavarsi le mani col sapone dopo aver toccato escrementi, secondo il Water and Sanitation Program. Eppure oggi “1.1 miliardi di persone (il 18% della popolazione mondiale) non hanno ancora accesso a fonti di acqua potabile, e 2.4 miliardi non dispongono di servizi igienici. Il risultato è che 2.2 milioni di esseri umani muoiono ogni anno di diarrea, quasi tutti bambini di paesi emergenti. Molti altri muoiono di malattie associate alla mancanza di acqua potabile, a servizi igienici inadeguati e scarsa igiene” ha detto il 22 marzo, in occasione della Giornata mondiale dell’Acqua, la dottoressa Gro Harlem Brundtland, direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le possibili guerre per l’acqua – La penuria idrica, e quindi il controllo dell’acqua, costituisce anche motivo di instabilità strategico-politica in molte parti del mondo. Circa il 40% della popolazione mondiale attinge da sistemi fluviali che attraversano due o più paesi. India e Bangladesh si contendono il Gange, Messico e Stati Uniti il fiume Colorado, Cecoslovacchia e Ungheria il Danubio. Preoccupa la situazione nell’Asia centrale, dove 5 ex repubbliche sovietiche prelevano acqua da due fiumi già abbondantemente salassati, l’Amu Darja e il Sjr Darja. Ma è soprattutto nel Medio Oriente che il problema dell’acqua potrebbe rivelarsi determinante nel delineare il futuro della regione. Qui Israele preleva il 30% del suo approvvigionamento idrico dalle alture del Golan, che appartenevano alla Siria prima della guerra del 1967. Restituirle a Damasco significherebbe far tornare la Siria sulla riva orientale del Mare di Galilea, che nonostante il nome è un lago dove si raccoglie gran parte delle acque che scendono dal Golan. Un problema estremamente delicato, se si considera che il Medio Oriente ha la più bassa offerta pro capite di acqua rinnovabile del mondo, ed è colpito dalla peggiore siccità degli ultimi 60 anni. Che fare? – L’organizzazione umanitaria Tearfund esige che il problema dell’acqua sia messo al primo posto nell’ordine del giorno del vertice del World Summit on Sustainable Development che si terrà nel 2002. Suggerisce inoltre di investire subito nel risanamento delle risorse idriche, di fare in modo che le fondamentali esigenze dei poveri e delle comunità vulnerabili siano soddisfatte prima di quelle di lusso dei ricchi, di raddoppiare gli sforzi per mantenere l’impegno di ridurre le emissioni di gas di serra del 5% entro il 2012, di riscoprire nei paesi più poveri i metodi tradizionali di raccolta dell’acqua (per esempio quella piovana). Altri suggeriscono sistemi d’irrigazione che fanno gocciolare l’acqua direttamente sulle piante, spruzzatori di precisione, colture che richiedono meno acqua, desalinizzazione (benché questo metodo comporti un grande impiego di energia e produca grandi quantità di acqua salsa da smaltire). Dalla World Commission on Water for the 21st Century arriva la raccomandazione di creare un fondo per il finanziamento di nuovi modi di gestire l’acqua. Secondo la commissione gli investimenti globali nel settore idrico devono passare dagli attuali 70-80 miliardi di dollari l’anno a 180, e l’aumento dovrebbe essere a carico dei privati, non dei governi, anche se questi ultimi “rimangono i protagonisti nella ricerca delle soluzioni per ciò che fanno o non fanno, e per come decidono di farlo”. Tocca a coloro che useranno l’acqua dire l’ultima parola su come dovrà essere impiegata, sostiene la commissione. La quale chiede anche “parlamenti degli utenti” per consentire alle popolazioni di svolgere un ruolo primario nel gestire assieme ai rispettivi governi nazionali falde acquifere e bacini fluviali; e ancora una gestione delle acque che deve essere d’insieme, totale, “olistica”, a livello di bacini fluviali piuttosto che di giurisdizioni politiche o amministrative; e infine un prezzo dell’acqua in grado di coprirne i costi, e sussidi per i paesi poveri. La Banca Mondiale ha fissato tra i 1000 e i 1600 m 3 la soglia minima di acqua pro capite annua, ma solo in Africa dall’inizio degli anni Novanta ben nove paesi (Algeria, Botswana, Burundi, Egitto, Kenya, Libia, Mauritania, Rwanda e Tunisia) hanno un’offerta pro capite di acqua rinnovabile inferiore alla soglia minima. Eppure l’accesso ad acqua igienicamente sicura è un’esigenza universale e un diritto umano fondamentale. Che può essere garantito solo da una gestione sostenibile di quella che è forse la risorsa più preziosa per la continuità della vita sul pianeta. Link utili: – http://www.cipsi.it/contrattoacquahttp://web.tin.it/cipsi/acqua/index.htmlhttp://www.ciepiemonte.it/cooperazione/acqua.htmlhttp://www.tearfund.org/http://www.watervision.org/clients/wv/water.nsf/WebAdmin/wUnderConstruction/$file/CommissionReport.pdfhttp://www.worldwatercouncil.org/http://www.gwpforum.org/http://www.worldwatercommission.org/http://www.wsp.org/english/index.htmlhttp://www.wsscc.orghttp://www.wateraid.org.uk


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