Volontariato

Emergenza rifiuti: I paladini verdi

Sono centinaia, dimostrano una competenza eccezionale, fanno un lavoro paziente di sensibilizzazione e di denuncia.

di Giampaolo Cerri

A cercare di afferrare il bandolo di una matassa complessa come quella dei rifiuti, come abbiamo provato a fare nel servizio qui accanto, si finisce per stupirsi. Sorprende infatti il coraggio, il senso civico, la creatività, la passione delle associazioni ambientaliste di base. Sono infatti i militanti, l’esercito dei volontari, l’ultima sentinella ecologica di questo Paese. Gli unici ad avere idee e a proporre soluzioni, gli unici a portarle in piazza, a comunicarle alla gente. Sull’emergenza rifiuti sono loro, i volontari, a dire le cose più assennate e più documentate. Loro che denunciano gli abusi, che svelano le mistificazioni del “partito degli inceneritori”, che spiegano il vantaggio economico della raccolta differenziata e del compostaggio, che fanno educazione nelle scuole. Mentre il partito che da queste speranze, da queste tensioni era nato, sembra lontano. Impaurito dalla grande caccia alle streghe scatenata per il biotech, il Sole che ride sembra affidarsi solo a qualche colpo di testa di Pecoraro, più che a una presenza sul territorio e sui problemi. Tanto da issare bandiera bianca – e in maniera così acritica e repentina da essere sospetta – su temi come la Variante di valico. Finisce mestamente il tentativo di dare rappresentanza esclusiva a chi, in Italia, aveva a cuore l’ambiente. Si ricomincia dalla società civile, e non è detto che sia un male. Lacrimogeni, cariche, decreti, appelli, denunce: archiviata l’emergenza infinita dei rifiuti – oggi in Campania, domani chissà – rimane il lavoro sui rifiuti. Quello fatto di idee, di proposte, di sensibilizzazione dei cittadini. Un fronte sui cui prima e meglio degli esperti del ministero dell’Ambiente o degli assessorati regionali, arrivano i volontari. Tanti, appassionati e documentati. Hanno idee da vendere. Ma lo Stato preferisce investire sui celerini mandati dal ministro Bianco a riaprire le discariche abusive piuttosto che su di loro. Alle associazioni ci si deve rivolgere per capire come sullo smaltimento dei rifiuti, l’Italia sia in grave ritardo. Lo strumento più efficace per intervenire su questo terreno, come spiegano gli stessi volontari, è la raccolta differenziata: separando la frazione umida, quella che decomponendosi origina il percolato inquinando i terreni e le falde acquifere e trattandola con il compostaggio. Quindi, riciclando gli altri materiali, dalla carta, al vetro, ai metalli. «L’anno scorso», commenta Andrea Masullo del Wwf, «di fatto la percentuale di raccolta differenziata non ha superato l’11,20% del totale». Ma non basta: mancano pressoché totalmente i dati sul recupero: «Solo il 10% dei materiali raccolti viene effettivamente riciclato». Quelli della raccolta differenziata Eppure al centro di uno dei più avanzati progetti italiani di raccolta differenziata c’è un’associazione ambientalista: i Verdi Ambiente e Società, promotori di Zero Rup, dove Rup sta per rifiuto urbano pericoloso. Un esperimento che è sostenuto dalla Unione europea attraverso il Programma Life e che da un primo bilancio (novembre ‘99- dicembre 2000) offre un quadro interessante: 3 milioni e 200 mila cittadini e 20 città coinvolti in 11 regioni, con 70 tonnellate di rifiuti pericolosi recuperati. «I rup sono oggetti che abbiamo per le mani ogni giorno», spiega Maurizio Paffetti, responsabile della campagna,«come le pile, i farmaci, le batterie per auto, le vernici, le bombolette spray, i toner, le siringhe. Rifiuti ad alto contenuto chimico che dovrebbero essere raccolti, trattati e riciclati separatamente per ridurne la pericolosità». Sono loro i responsabili degli inquinamenti più gravi: «Un pila, una volgarissima pila», spiega Paffetti, «con il grammo di mercurio che contiene riesce a contaminare 1.000 metri cubi d’acqua». I Vas hanno messo intorno a un tavolo Federambiente, l’associazione delle aziende municipalizzate, la Confesercenti, e l’Associazione dei farmacisti, convincendoli ad aderire a Zero rup. «Con le rappresentanze nazionali non è un problema», racconta Paffetti, «la difficoltà la incontri con il singolo commerciante o con il farmacista, che non magari non vogliono saperne di avere un bidone in negozio perché ingombra». Quelli della ricerca «Il rischio di queste iniziative è che finiscano per diventare il fiore all’occhiello delle aziende municipalizzate italiane il vero, grande partito degli inceneritori», dice Michele Boato, direttore dell’Ecoistituto “Alexander Langer”. Boato con una ventina di volontari lavora dal ’96 ad un’intensa attività di ricerca e di formazione. «Puntiamo a informare e a formare amministratori locali, ambientalisti, tecnici delle municipalizzate, insegnanti per far passare una cultura del riciclo», dice. Proprio i rapporti di questa piccola realtà documentano come la soluzione al problema rifiuti sia solo una: la raccolta differenziata a domicilio. «Spinge i cittadini a produrre meno rifiuti, scegliendo prodotti dagli imballi più leggeri, e può rendere economicamente vantaggioso il riciclo». L’Italia dei rifiuti, spiegano a Venezia, è ormai divisa in due: «C’è una parte del Paese, nel Nord, che ha imboccato la via delle differenziazione, con percentuali che oscillano dal 50 al 80% della raccolta», spiega Boato, «un’altra, tutta meridionale e insulare, continua invece a produrre molti rifiuti e ad avviarli in discarica o all’inceneritore. E qui la raccolta differenziata scende sotto l’1%». Perché costosa? «Balle», ti rispondo i volontari dell’Ecoistuto, pronti a dimostrare come a Monza (120 mila abitanti), questo tipo di raccolta costi ai cittadini 80 mila lire all’anno procapite. «In Italia il costo medio è perlomeno doppio», ricorda Boato, «e una famiglia spende all’incirca 400 mila lire». Ma le municipalizzate mostrano costi al chilo più bassi, con la raccolta tradizionale. «Falso», risponde il direttore dei volontari, «nei centri dove non si differenzia, la massa di rifiuti cresce progressivamente, calcolarne i costi di smaltimento al chilo significa fare un’opera di mistificazione». «È sul modello di consumo che bisogna puntare», dice Gianni Mastino responsabile rifiuti degli Amici della Terra, centinaia di volontari impegnati da anni a fare un lavoro di informazione dei cittadini. «Più precisamente di controinformazione», dice Mastino, «visto che ogni giornale o programma televisivo preme l’acceleratore sui consumi, specialmente quelli più inutili». Per questo all’associazione si deve un lavoro editoriale molto vivace, il cui prodotto viene diffuso capillarmente dai volontari, presso la popolazione ma soprattutto presso chi amministra. «Abbiamo tradotto e pubblicato, libri come “Fattore 4”, di Von Weizsaecker e Lovins, ed altri lavori internazionali sulla materia che dimostrano come agendo sui consumi, si finisce per ridurre anche i rifiuti». Quelli della sensibilizzazione Al Wwf registrano con soddisfazione la nascita «di un centinaio di gruppi in tutta Italia, per il monitoraggio del problema rifiuti». Andrea Masullo spiega che si tratta «di circa 800 volontari attivi nella denuncia di abusi e nell’azione di sensibilizzazione verso gli amministratori locali a favore della raccolta differenziata e contro l’incenerimento». Perché nei Comuni italiani la tentazione della ciminiera è sempre forte. «Immaginare impianti di compostaggio, magari gestiti da coop giovanili, è più faticoso che pensare a un forno». «Noi non facciamo una battaglia ideologica contro l’incenerimento», spiega Lucia Venturi, che di rifiuti si occupa come responsabile scientifico in Legambiente, «ma proporlo in un’Italia che di fatto non conosce la raccolta differenziata è pura follia. Prima differenziamo in maniera seria, poi vediamo a quali condizioni ambientali e a quali costi una parte di questo raccolta possa essere incenerita». Proprio Legambiente è molto attiva sul versante sensibilizzazione: con il progetto “Lavori in corso” parla anche di rifiuti ai bambini di 2.000 scuole italiane. Attività che si accompagna al monitoraggio e alla denuncia: «Al nostro staff di documentazione lavorano centralmente una trentina di persone», racconta Stefano Ciafani, dell’Osservatorio ambiente e legalità. Sempre più frequentemente dalle denunce dei circoli locali, partono le inchieste delle procure, con molte delle quali si è stabilita una vera e propria collaborazione. «Magistrati come Ramacci a Venezia, Tarditi ad Asti, Ceglie a S.Maria Capua a Vetere, guardano con attenzione alle denunce dei nostri circoli». E non accade tutti i giorni che lo Stato valorizzi il lavoro dei volontari. Il partito delle discariche Lo incarna e lo rappresenta Enzo Bianco, poliedrico ministro degli Interni. Sua un’ordinanza che nei giorni scorsi, consentiva la riapertura di alcune discariche abusive sotto sequestro. Gli è bastato aggiungere un comma alla precedente ordinanza. Un bijoux per il massimo responsabile della Protezione civile italiana Il partito degli inceneritori Lo guida Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e a capo dei primi cittadini d’Italia come presidente Anci. L’associazione è accusata di appiattirsi sugli interessi delle aziende municipalizzate. Sui dei rifiuti il silenzio dell’Anci è totale: insediatosi a maggio del 2000, Domenici ha scritto decine di comunicati e nemmeno uno riguarda questo tema. Il partito di chi tira a campare Ad ingrossare le sue fila sono soprattutto gli industriali italiani. Loro si occupano di flessibilità, di tasse, di sistema previdenziale, financo di scuola. Ma non di rifiuti. Che, nella più ardita delle ipotesi, sono da recuperare, mai da riciclare. Perché, dicono le associazioni, i processi di riciclo della plastica sono considerati troppo costosi.


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