Non profit
Emergenza, il Brasile non è secondo a nessuno
Il Paese di Lula in prima linea a Port-au-Prince
di Paolo Manzo
Il Paese verde-oro è a capo della forza di pace ad Haiti. Ha 1.200 soldati schierati. Ne ha persi 17 sotto le macerie. E il terremoto si è portata via anche una donna simbolo per il suo impegno umanitario: Zilda Arns.
E non è un caso che il presidente abbia chiesto ad Obama di essere nella cabina di regia degli aiuti
Haiti ha gridato il suo dolore, il Brasile ha risposto. Nella storia del Paese verde-oro il ruolo assunto nella gestione degli aiuti e dei soccorsi ha raggiunto proporzioni mai pensate e vissute prima. Merito sicuramente del ruolo privilegiato che il Paese di Lula ha nell’isola caraibica dal 2004. Con 1.266 soldati è infatti a capo della Minustah, la forza di pace dell’Onu che con 9.065 uomini – di cui 7.031 militari – è stanziata nell’isola appunto dal 2004, dopo che l’allora presidente Jean-Bertrand Aristide fu deposto a seguito di una rivolta. L’obiettivo della missione era quello di preservare la pace e di dare supporto ad un popolo stremato da anni di dittatura.
Una volta sul posto, i brasiliani si erano fatti benvolere dalla popolazione locale tanto che le prime cronache, a poche ore dal terremoto, hanno tutte riferito quanto molti sopravvissuti cercassero di raggiungere la sede della missione brasiliana per poter ricevere i primi soccorsi. Il Paese di Lula ha pagato il suo tributo: 17 soldati morti sotto le macerie. Erano arrivati tutti con l’ultimo contingente lo scorso agosto, alcuni, giovanissimi, erano alla loro prima esperienza all’estero. Ma soprattutto ha perso una sua figlia famosa in tutto il mondo: Zilda Arns, 75 anni, sorella di monsignor Paulo Evaristo Arns, arcivescovo emerito di San Paolo. Fondatrice e coordinatrice della Pastorale evangelica dei bambini, era una delle più famose attiviste del Paese verde-oro, candidata per ben tre volte al premio Nobel per la Pace per il suo impegno umanitario. È stata travolta dal terremoto mentre, scortata da due soldati, camminava per le strade della capitale, dove era arrivata una settimana prima per lavorare sul tema della denutrizione. «È morta come avrebbe desiderato», commenta malinconico monsignor Arns, «combattendo per la causa cui aveva dedicato tutta la sua vita».
Il Brasile è sotto choc e per la tragedia di Haiti ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Il presidente Lula ha inviato nell’isola caraibica 15 milioni di dollari e 28 tonnellate di farmaci, un ospedale da campo, otto veivoli per un ponte aereo e un centinaio di mezzi di trasporto pesanti adatti a portare i soccorsi via terra tra le strettissime vie delle città haitiane, sommerse dalle macerie. Ma non si è limitato a questo. Ha chiesto al presidente Obama di poter gestire insieme agli Stati Uniti i soccorsi. Difficili, complessi, di respiro internazionale, segno del ruolo ormai planetario che il Brasile ricopre agli occhi del mondo. «Dobbiamo agire tempestivamente per permettere ad Haiti di recuperare al più presto», queste le parole di Lula mentre il ministro della Difesa del suo governo ha annunciato che i militari brasiliani rimarranno ad Haiti per lo meno altri cinque anni per collaborare nella ricostruzione del Paese.
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