Sostenibilità
Emergenza climatica e coronavirus, problemi interconnessi
Grazia Francescato (ex WWF): «Il primo comandamento dell’ecologia dice: Tout Se Tient. Ovvero, ogni cosa è collegata a tutte le altre. Cambiamento climatico ed epidemie non conoscono confini. Se oggi non mettiamo in pista strumenti efficaci per fermare il surriscaldamento globale in futuro potrebbero presentarsi malattie anche peggiori. Le variazioni di temperatura potrebbero favorire un "salto di specie" di virus e batteri già in circolazione o risvegliare quelli che da migliaia di anni vivono congelati nel permafrost».
«Dal 28 febbraio non si parla più di emergenza climatica, ma solo di coronavirus, eppure i due problemi sono fortemente interconnessi». A spiegarlo è Grazia Francescato, profonda esperta di questioni ambientali, presidente del WWF dal 1992 al 1998, due volte presidente dei Verdi (fino al 2009) e portavoce dei Verdi Europei dal 2003 al 2006. «Già tredici anni fa, in un rapporto del 2007, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva avvertito che le infezioni virali, batteriche o da parassiti sarebbero state una delle minacce più consistenti per il Pianeta proprio a causa dei cambiamenti climatici». Eppure, commenta Francescato, «le grida d’allarme degli scienziati hanno continuato a risuonare, quasi sempre inascoltate. Oggi però non possiamo più permetterci il lusso di non tenerne conto. Ne va della nostra salute, oltre che dell’equilibrio della Terra».
Francescato, che legame c’è tra corovanirus e climate change?
Non si può dire con certezza, per ora, quale tipo di legame ci sia: sappiamo ancora poco di questo virus e saranno gli scienziati a spiegarci cause e modalità di contagio. Ma che ci sia una interconnessione tra cambiamento climatico e diffusione delle malattie infettive non è certo un mistero: lo affermano da anni decine di rapporti di esperti e di istituzioni internazionali, oltre a noi ambientalisti.
Recentemente Giuseppe Miserotti, membro dell'Associazione Medici per l'Ambiente (ISDE), ha evidenziato come i picchi delle epidemie diventate più famose, come per esempio la SARS e l'influenza Aviaria nel 2003 e l'influenza Suina nel 2009, si siano verificati in corrispondenza di picchi di temperature di almeno 0,6 o 0,7 gradi oltre la media. Viste le temperature elevate degli ultimi periodi non c’è da stare sereni.
In che senso?
Anche quando questa epidemia sarà passata non saremo comunque al sicuro. Miserotti ha sottolineato che in circolazione non c'è soltanto il coronavirus: ci sono miliardi di agenti patogeni pericolosi. Se oggi non mettiamo in pista strumenti efficaci per fermare il surriscaldamento globale in futuro potrebbero presentarsi malattie anche peggiori. Le variazioni di temperature, umidità e condizioni del suolo potrebbero, infatti, favorire un 'salto di specie', spingendo i virus che oggi sono già in circolazione, (ma che ora sono per la maggior parte 'ospiti' di animali in una sorta di convivenza pacifica) ad attaccare altre specie, tra cui noi esseri umani, con un’aggressività e ad una velocità mai verificatesi nella storia. L’innalzamento delle temperature, inoltre, potrebbe mettere in circolazione virus e batteri che vivono congelati nei ghiacci polari e nel permafrost da migliaia di anni. Con pesanti conseguenze per l’intera umanità.
Anche quando questa epidemia sarà passata non saremo comunque al sicuro. Ci sono miliardi di agenti patogeni pericolosi. Le variazioni di temperature, umidità e condizioni del suolo potrebbero favorire un 'salto di specie', spingendo i virus che oggi sono già in circolazione ad attaccare altre specie, tra cui noi esseri umani, con un’aggressività e ad una velocità mai verificatesi nella storia.
In questi giorni stiamo concretamente sperimentando che siamo tutti interdipendenti e interconnessi: in Italia stiamo vivendo oggi quello che la Cina ha vissuto un mese fa, mentre gli altri stati Europei, la Spagna ad esempio, stanno sperimentando quello che noi abbiamo già vissuto poche settimane prima.
La parola chiave è proprio “interconnessione”. La sfida è quella di fare i conti con la complessità nella sua globalità e non di affrontare i problemi separatamente. Trovo poco sensato che oggi si metta tra parentesi l’emergenza climatica e ci si concentri esclusivamente sul coronavirus. Il primo comandamento dell’ecologia dice “Tout Se Tient”. Ovvero, ogni cosa è collegata a tutte le altre. Ogni popolo è connesso a tutti gli altri. Cambiamento climatico ed epidemie non conoscono confini.
Eppure il timore verso il coronavirus è di gran lunga maggiore rispetto a quello che si riscontra nei confronti dell’emergenza climatica. Come mai secondo lei?
C’è evidentemente una diversa percezione e considerazione del rischio: gli impatti del cambiamento climatico sembrano essere sempre molto lontani, nello spazio e nel tempo. Eppure non è così: le condizioni ambientali sono determinanti per garantire un buono stato di salute, già oggi.
Ci fa qualche esempio?
Gli esperti confermano ormai da tempo l’esistenza di lo stretto legame tra la salute dell’ambiente e il benessere psicofisico dei suoi abitanti. Pensate che i medici Usa del Medical Society Consortium hanno dichiarato senza mezzi termini, già qualche anno fa, che “Il cambiamento climatico è qui, ora, e sta danneggiando la nostra salute”. E hanno fornito valanghe di dati. Un esempio? I pediatri Usa hanno rilevato un aumento del 123% delle malattie infantili dal 1997 al 2000 a causa delle ondate di calore. I disturbi e le malattie dovute ai combustibili fossili, i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra (CO2 in testa) che causano il cambiamento climatico provocano la morte di 4,5 milioni persone ogni anno.
C’è evidentemente una diversa percezione e considerazione del rischio: gli impatti del cambiamento climatico sembrano essere sempre molto lontani, nello spazio e nel tempo. Eppure non è così: le condizioni ambientali sono determinanti per garantire un buono stato di salute, già oggi.
Allora cosa possiamo fare oggi per prepararci ad affrontare le sfide del futuro?
Questo è il momento della responsabilità. Non sappiamo molto, ma dobbiamo usare quel poco che sappiamo per difenderci dal molto che non sappiamo. Forse la prima cosa da fare è riorganizzare il nostro sistema sanitario per non trovarci più impreparati, aumentare gli investimenti e il numero degli addetti, ma anche curare in modo approfondito la loro formazione.
E poi?
Dobbiamo rivedere in modo radicale l’attuale modello di produzione e di sviluppo, che è insostenibile a livello ambientale, perché stiamo distruggendo la biodiversità del pianeta e sfruttando in modo selvaggio le risorse naturali. Ma che è inaccettabile anche a livello sociale, perché questo tipo di globalizzazione ha causato una disuguaglianza economica mai vista prima (8 persone al mondo hanno più risorse economiche della metà dell’umanità). Insomma, si tratta di promuovere quella che noi ambientalisti chiamiamo “conversione ecologica dell’economia e della società”, che vuol dire anche fare un salto culturale, creare una nuova coscienza collettiva.
Sembra una strada in salita…
Certo, ma la stiamo già percorrendo. In tutto il mondo ci sono esperienze, realtà, movimenti che ‘fanno bene le cose buone’. Il ché vuol dire: efficienza energetica e rinnovabili al posto di petrolio e carbone, agricoltura biologica e metodi di coltivazione sostenibili legati al territorio, invece di agroindustrie e pesticidi a go go e così via. Ma significa anche far crescere l’albero dei lavori verdi, promuovere la ‘buona occupazione’ capace di usare con intelligenza le risorse del pianeta, invece di consumarle senza freni e senza pensare alle generazioni future. Proprio in questi giorni sto seguendo nel territorio di Roma alcune cooperative di giovani che si dedicano all’agroecologia, riallacciando il legame tra città e campagna e facendo tornare in auge le produzioni locali che, tra l’altro, saranno più resilienti agli eventi estremi (siccità, piogge intense, uragani) e non richiederebbero trasporti su lunghi percorsi.
Foto Markus Spiske/Unsplash
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