Mondo

Emergency: in Afghanistan a difendere i più deboli

Gino Strada sta cercando di entrare nel Paese, ormai nel mirino degli Usa, e lancia un appello alla pace

di Redazione

Vi riportiamo le ultime notizie che riguardano Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency che in queste ore sta cercando di rientrare in Afghanistan, per dare una mano agli operatori dell’ospedale di Anabah.
Di fronte all’emergenza che si profila nel paese, Strada ha deciso di stare vicino ai suoi collaboratori e di lanciare ancora un appello per la pace: eccolo, nell’ultima news del suo uffico stampa.

Ciao a tutti,

nell?ultima news vi abbiamo comunicato, in fretta e furia e senza spenderci troppe parole, la nostra imminente partenza per l?Afganistan (quella di Gino Strada, per la precisione, insieme con Kate Rowlands, la responsabile del nostro programma in Afganistan).

A qualche giorno di distanza possiamo confessarvi quanto questa decisione ci sia pesata e ci abbia preoccupato, perchè siamo tutti consapevoli di quanto possa essere più pericoloso che mai, in questo momento, trovarsi in Afganistan.
Sono stati giorni tremendi, quelli, ed eravamo tutti sconvolti per quanto era appena accaduto a New York e Washington. In molti hanno detto parole importanti per descrivere emozioni e sentimenti che anche noi provavamo, e non vogliamo aggiungerne altre, di parole. Vi raccontiamo fatti che ribadiscono e riconfermano i valori che fondano le attività di Emergency.

Non abbiamo potuto impedire a Gino e a Kate di “andare a dare man forte” ai 4 membri internazionali dello staff medico e agli oltre 100 dipendenti afgani che lavorano nel nostro ospedale di Anabah. Quindi sono partiti per Islamabad, in Pakistan (dove sono stati raggiunti da Yussuf, l?infermiere che era nel nostro ospedale di Kabul tuttora chiuso), determinati a raggiungere il nostro ospedale nel nord. La chiusura dei voli delle Nazioni Unite e delle frontiere afgane glielo stanno impedendo, ma siamo sicuri che troveranno una strada alternativa, probabilmente quella delle montagne. Abbiamo detto che “non abbiamo potuto” impedirlo, ma forse non abbiamo neanche voluto.

I volti sconvolti nel centro di Manhattan sono uguali a quelli che abbiamo conosciuto nei paesi in cui i bombardamenti e le mine antiuomo interrompono improvvisamente o sospendono per lunghi anni l?illusione
di poter vivere il quotidiano. Vittime civili della barbarie, appunto. Tutte. Dovunque.

La decisione di sostenere ancora di piu? le donne, gli uomini e i bambini dell?Afganistan deriva dalla pura constatazione di una condizione che li rende ancor piu? tragicamente vittime: sono soli, non hanno attestazioni di solidarietà, pagano il costo di una scorretta identificazione con chi ha occupato con la forza il loro paese, non si possono permettere il lusso di manifestazioni pacifiste (in altri paesi abbiamo visto fugaci espressioni di tripudio per la tragedia americana: ne siamo rimasti sconvolti e insieme abbiamo provato un?enorme pena).

Ma la prossima mossa dev?essere solo per la pace. I “nostri” che sono partiti non si sentivano certo eroi. Vanno a fare il loro lavoro. Hanno chiesto che noi, a nostra volta, intensifichiamo l?impegno perchè si allarghi a macchia d?olio la consapevolezza che alla barbarie non si puo? rispondere con altrettanta barbarie; che non
debbano mai essere i civili a pagare le colpe di pochi potenti; che alla pace non si puo? arrivare attraverso la guerra e l?uso indiscriminato della forza e delle armi; che quello in cui vogliamo vivere è un mondo in pace e non un mondo in guerra.

Una nostra amica ci ha riproposto una considerazione di Herman Hesse datata 1927 ma tragicamente attuale «…ma nessuno vuole riflettere, nessuno vuole evitare la prossima guerra, nessuno vuol risparmiare a
se’ e ai propri figli il prossimo macello di milioni di individui. Rifletterci un’ora, chiedersi un momento fino a qual punto ognuno è partecipe e colpevole del disordine e della cattiveria del mondo: vedi, nessuno vuol farlo.
E così si andrà avanti e la prossima guerra è preparata giorno per giorno con ardore da molte migliaia di uomini. [….] Non ha scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli, non ha scopo rimuginare in testa pensieri di bontà: per due o tre persone che lo fanno ci sono in compenso ogni giorno migliaia di giornali e di riviste e discorsi e sedute pubbliche e segrete che vogliono il contrario e lo ottengono.»
H. Hesse, Il Lupo della steppa, 1927

Ma, nonostante il pessimismo della ragione, vogliamo credere che abbia scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli. Vogliamo continuare a credere che le voci che chiedono la pace siano tante e ottengano di
essere ascoltate.

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