Non profit
Emergency, chi ha sbagliato?
Accuse ridimensionate, resta il mistero della vicenda afgana
Giorni di apprensione per la sorte dei tre italiani di Emergency fermati in Afghanistan. Le accuse si ridimensionano, il Governo sembra impegnarsi maggiormente per fare chiarezza sulla vicenda, e i giornali continuano a dare ampio spazio alla notizia, con commenti e retroscena.
- In rassegna stampa anche:
- STRAGE SUL TRENO
- BALLOTTAGGI
- PRETI PEDOFILI
- PULITZER
- VENEZUELA
- ANTIRAZZISMO
“Kabul ci ripensa: nessuna confessione”, titola il CORRIERE DELLA SERA in prima pagina sopra l’editoriale “Garantisti sempre” firmato da Franco Venturini. La notizia prima di tutto: «Il portavoce del governatore della provincia di Helmand ha ridimensionato le potenziali imputazione a carico di tre volontari di Emergency arrestati in Afghanistan. Il ministro degli esteri Frattini: non li abbiamo abbandonati». “Italiani, smentita la confessione. Forse saranno trasferiti a Kabul”, è invece il titolo di pagina 9, dove viene intervistato anche il sociologo Pino Arlacchi che dice: “«Dopo l’addio di Sequi, hanno trovato il modo di colpire il nostro Paese»” e ancora: «penso che con l’ex rappresentante Ue a Kabul questo non sarebbe successo”, a pag 10 Fiorenza Sarzanini nel suo retroscena rispolvera il rilascio del giornalista Mastrogiacomo ricordando che l’ong di Gino Strada ebbe un ruolo chiave nella liberazione. Nella stessa pagina la coda dell’editoriale di Venturini che esprime la posizione del giornale: « Non sappiamo se i tre operatori di Emergency arrestati sabato dai servizi segreti afghani abbiano davvero complottato contro il governatore della provincia di Helmand, o si siano addirittura resi responsabili di un più che misterioso omicidio. Ma sappiamo alcune altre cose che, fino a prova contraria, possono orientare la nostra opinione sull’accaduto. Sappiamo che l’intelligence afghana obbedisce spesso, come del resto il suo governo, a interessi poco confessabili. Sappiamo che la provincia di Helmand è al centro di tutte le tensioni perché si trova lì, in quel territorio pashtun che i talebani considerano casa propria, il fronte decisivo della guerra afghana, ed è lì che le forze americane e britanniche hanno da poco scatenato la più grande offensiva dall’inizio del conflitto. Sappiamo ancora che proprio da quelle parti, nel bel mezzo della battaglia, sorge un ospedale di Emergency. Un ospedale particolare che tiene le porte aperte, che accoglie e cura con lo stesso metro umanitario civili vittime della guerra e combattenti. Talebani compresi». E infine: «Ma può questo far dimenticare che Emergency, pur infiltrabile come tutte le organizzazioni di prima linea, è una preziosa e assai meritevole organizzazione umanitaria? La si può confondere, in linea di principio, con un potenziale covo di terroristi? Può la sua logica equidistante essere confusa con il tradimento? Crediamo di no». Intanto proprio da pochi minuti la ong italiana ha annunciato che la struttura di Lashkar-gah, dove operavano i tre connazionali arrestati, è in mano alla polizia locale.
“Kabul su Emergency «Nessuna confessione»”: LA REPUBBLICA sceglie il taglio centrale, in prima. I servizi alle pagine 12 e 13: è stata confermata la smentita della notizia pubblicata dal Times e ripresa ieri da molti giornali. Si attendeva però una svolta e la liberazione dei tre operatori. Non è avvenuta: sono ancora nelle mani degli afgani «senza che vi sia stato un fermo restrittivo o qualsiasi altra comunicazione. Chiediamo che il governo si attivi per esigere la liberazione del nostro personale», si legge in un comunicato di Emergency. Intanto il ministro Frattini ha corretto il tiro. L’altro ieri aveva preso le distanze. Ora precisa: «non li abbiamo abbandonati: vale anche per loro la presunzione di innocenza». L’ong continua a raccogliere adesioni per la manifestazione promossa per sabato prossimo a Roma. In appoggio Daniele Mastrogiacomo, il reporter rapito nel 2007, ricorda le ore passate in quell’ospedale: sospettare di quegli operatori «è un’assurdità». L’ospedale è molto controllato, tutti sono perquisiti, ma puntualizza Mastrogiacomo, «sul fronte di guerra può accadere di tutto. Anche che qualcuno introduca, con la complicità di altri, bombe ed esplosivo».
“Terroristi, vittime o pirla” titola in prima pagina IL GIORNALE. «A furia di giocare col fuoco talebano, gli uomini di Emergency si sono scottati» recita il sommario, poi si rimanda a pagina 2 dove comincia un ampio servizio che continua fino a pagina 4. Il pezzo che prosegue a pagina 2 a firma di Giancarlo Perna è un ritratto di Gino Strada che, nel titolo, definisce il fondatore di Emergency «il generale pacifista in guerra con l’Occidente». Sempre dalla prima il pezzo di Paolo Granzotto propende per la tesi di un’imprudenza da parte dei volontari di Emergency: “Né vittime, né terroristi. La pista più probabile? L’imprudenza” è il titolo. A pagina 3 IL GIORNALE attacca il “Times”, che aveva attribuito a Daoud Ahmadi, portavoce del governatore del governatore della provincia di Helmand, una frase che confermava la piena colpevolezza dei tre volontari di Emergency. «Per capire che si tratta di parole in libertà basta una telefonata del collega Fausto Biloslavo allo stesso Ahmadi, ben felice di fornire a “Il Giornale” una puntuale smentita. Ma per il vangelo secondo Murdoch quelle sottigliezze da italiani non valgono manco una precisazione».
«Guerra ai testimoni» è questo il titolo scelto da IL MANIFESTO a sfondare sulla fotografia che ritrae il chirurgo Marco Garatti al lavoro nell’ospedale di Laskar-gah. «Dopo le incredibili accuse ai tre operatori italiani, ora il governo di Kabul frena e smentisce le presunte confessioni di terrorismo. Frattini: “Non sono abbandonati” e attacca, con Gasparri, le “polemiche politiche” di Emergency. Gino Strada: “Scadute le 72 ore di fermo, è un sequestro”. Centomila firma di solidarietà e sabato tutti in piazza a Roma» è il sommario che rinvia alle due pagine dedicate al tema dove si parla oltre che della manifestazione in programma sabato del fatto che all’ambasciatore italiano non è concesso di incontrare i tre arrestati e del rischio di chiusura dell’ospedale. Nell’intervista al generale Fabio Mino si osserva che «una perquisizione e un arresto di personale delle organizzazioni umanitarie sia una novità in assoluto anche per l’Afghanistan». È prima pagina il commento di Valentino Parlato «Liberate la pace» che scrive: «(…) Tutti sanno, in Italia e all’estero, quel che fa Emergency in varie parti del mondo e non solo in Afghanistan, dove sono stato e ho potuto visitare i suoi ospedali, quasi tutti, e non solo quello, splendido di Kabul, che ha sede in un asilo d’infanzia costruito ai tempi dei sovietici. L’attacco a Emergency è la prima conseguenza dell’”Operazione Moshtarak”, iniziata dalla Nato in febbraio. Anche questa è un’operazione assurda: l’Afghanistan non può essere conquistato militarmente come ci aveva spiegato Federico Engels e hanno appreso gli inglesi prima e i sovietici dopo. (…)» E venendo all’Italia scrive: «Poi c’è l’Italia – il suo governo, la sua maggioranza, la sua stampa. Prova del patriottismo e italianità del nostro attuale governo sono le prime dichiarazioni del suo ministro degli Esteri, che senza alcuna informazione, prende subito le distanze dai tre medici italiani arrestati (di Emergency, ma anche italiani) dichiarando che”non sono riconducibili né direttamente né indirettamente alle attività finanziate dalla cooperazione italiana”. Patriottico e umanitario il nostro ministro (…)». Infine Vauro, che disegna un soldato Nato che guarda la caricatura di Frattini in stile pelle dell’orso davanti al caminetto e il titolo: «Farnesina Il tappetino afghano».
ITALIA OGGI dedica un articolo a pagina 4 di Pierre De Nolac a Emergency. “E Gino si fa Strada nel 5×1000” il titolo. «Emergency di Gino Strada è una macchina da guerra. Davvero. Sì, perché indipendentemente dalle accuse formulate in Afghanistan ai tre componenti dell’organizzazione, fa effetto leggere i dati dell’Agenzia delle Entrate circa la distribuzione delle scelte e degli importi per onlus ed enti del volontariato ammessi ai benefici del cinque per mille. Emergency – life support for civilian war victims – è stata scelta da 262.461 italiani che hanno compilato la dichiarazione dei redditi, esprimendo la propria preferenza nei confronti di Strada & co. Con un risultato eccezionale, guardando l’importo totale che permette a Emergency di figurare come l’organizzazione numero uno per quanto riguarda questa tipologia di raccolta fondi: 9.111.565,37 euro» spiega il giornalista sfoderando a sua tesi «Una cifra che, dice un dirigente legato alla struttura, non può non scatenare appetiti e invidie. Una chiave di lettura partigiana, che però conferma la tesi di Strada del complotto ai danni di Emergency. Lui, Gino, è uno che scatena passioni viscerali: o lo si odia o lo si ama. E da quando non c’è più al suo fianco la storica compagna (e cofondatrice di Emergency) Teresa Sarti, spentasi dopo una battaglia contro un male incurabile, Strada non ha più l’ottimismo di una volta». E ancora «troppi hanno dimenticato la vicenda di Baghdad delle due Simone, le volontarie Torretta e Pari, sequestrate in Iraq, e liberate con molta fatica (e tanti misteri). A furia di entrare, e da protagonista, nelle aree più difficili della terra, Strada non può certo pensare di rimanere estraneo alle lotte di potere: chi non lo ama dice che Gino “vuole stare in mezzo ai combattimenti per esibire i disastri provocati dalla violenza delle armi, e quello della medicina è sempre il percorso più veloce per trovare esseri umani, e in particolare bambini, ai quali le bombe ha tolto una gamba, o un braccio”. A passare dall’altra parte della barricata, entrando nel gruppo dei fomentatori dell’odio, si fa presto: pistole ed esplosivi possono essere nascosti in qualsiasi ospedale, non solo in Afghanistan. Pure nel Sud Italia, anni fa, venne trovata una santabarbara in una clinica, e infatti Strada non ha escluso la possibilità che nella struttura di Lashkar-Gar, di Emergency, qualcuno possa aver nascosto armi». De Nolac chiude poi spiegando che «Strada di errori ne ha fatti parecchi, nella sua vita, ma sono sempre stati accettati senza battere ciglio dai suoi fan, come dimostrano i dati del cinque per mille. Succederà anche stavolta? La prossima dichiarazione dei redditi sarà un bel banco di prova. Intanto è stata fissata per sabato 17 aprile, nella romana piazza Navona, una manifestazione di Emergency per chiedere la liberazione dei tre operatori umanitari. Vuol dire che lo stesso Strada, che già parla di «sequestro», prevede tempi molto lunghi».
Doppio articolo a pagina 12 per IL SOLE 24 ORE. E parte la cronaca degli eventi: sulle difficoltà diplomatiche e le possibili vie di uscita. I tre operatori di Emergency stanno bene, ma rimangono sotto arresto. L’organizzazione di Gino Strada ne chiede il rilascio e parla di sequestro. Intanto diplomatici, politici e media seguono l’evoluzione della vicenda. Il quotidiano di Confindustria, però, offre una chiave di lettura per capire quanto successo nell’ospedale di Lashkar-gah. Alberto Negri traccia il ritratto del 38enne Amrullah Saleh, numero uno dei servizi segreti, e descrive come pessimi i rapporti fra quest’ultimo e l’associazione. Il tutto nascerebbe dalla gestione del rapimento del giornalista di Repubblica.it Daniele Mastrogiacomo. Al tempo, nel 2007, fu scontro aperto fra Gino Strada e Saleh: non condividono la strategia di liberazione dell’ostaggio del talebani, qualcosa non va come dovrebbe, e Saleh giura di farla pagare a Emergency. Quel momento sembra giunto.
AVVENIRE, che il lunedì non è in edicola, dà oggi la notizia, partendo dal misunderstanding fra il portavoce del governatore di Helmand e il Times. La Farnesina «che ha affrontato il caso con la cautela richiesta dal complicato quadro afghano, tende ad avvalorare l’ipotesi dell’incomprensione», scrive l’articolo di apertura. Poi, negli aggiornamenti, le nuove notizie che arrivano dall’Afghanistan «hanno fatto cadere almeno in parte il muro di cautela» di Frattini, che sulle prime aveva avuto una reazione «quasi di distacco». Domani Frattini sarà ascoltato in Commissione esteri in Senato. «Non li abbiamo abbandonati», dice il ministro, «ma se cominciamo a parlare di sequestro (come ha fatto Gino Strada, ndr) facciamo una polemica che non aiuta i nostri connazionali».
LA STAMPA dedica l’editoriale di Massimo Gramellini a “Emergency e l’Italia dei clan” «leggendo l’intervista rilasciata ieri a La Stampa dall’onorevole La Russa verrebbe da chiedersi con il poeta: che anno è, che giorno è? Il ministro della Difesa rispolvera gli interminabili Anni Settanta per informarci che anche Gino Strada potrebbe aver allevato nel suo seno degli infiltrati “come accadde al Pci con le Br e al Msi coi Nar”, trattando Emergency alla stregua di un partito, diviso in frange più o meno estremiste. Non vi è dubbio che le responsabilità dei tre italiani fermati in Afghanistan andranno accertate e nel caso punite, ma è inaccettabile la tentazione di trattare questa vicenda come se fosse una questione di politica interna. Nel compilare il proprio autoelogio, il ministro ricorda i tanti «esponenti di sinistra che abbiamo salvato negli scenari di guerra». Gramellini usa del particolare di La Russa e Frattini per un discorso più ampio. «E non allude a un parlamentare del Pd strappato ai talebani o a un banchiere delle cooperative rosse preso in ostaggio dai pashtun. Intende riferirsi a giornalisti, medici, pacifisti: tutta gente che nelle zone di guerra ci va per vocazione o per mestiere, certo non per conto di uno schieramento politico. Solo da noi un cittadino all’estero viene considerato dal suo governo un “esponente” di destra o di sinistra, invece che semplicemente un connazionale da tutelare. Se il riferimento continuo agli anni di piombo testimonia l’immaturità di una classe dirigente che non riesce a scrostarsi di dosso i fantasmi giovanili, l’atteggiamento che La Russa e in parte Frattini hanno tenuto nei confronti della vicenda di Emergency testimonia ancora una volta l’assenza di uno spirito nazionale autentico e condiviso. Di fronte a una crisi, la reazione istintiva è stata di schierarsi dalla parte delle proprie alleanze (il governo afghano) e non dei propri connazionali. Anche la sinistra, sia chiaro, tende a comportarsi alla stessa maniera. Ricordiamo ancora i commenti salaci con cui fu accolto in certi ambienti il sacrificio di Quattrocchi – il «body guard» rapito e ucciso in Iraq – considerato un fascista e un mercenario immeritevole di pubblici onori. A sei anni dalla morte, oggi Quattrocchi sarà commemorato nella sua Genova, ma il Comune guidato dal Pd ha preteso di far pagare l’affitto della sala. Mai come in questo campo c’è una sintonia assoluta fra la Casta e il Paese reale. Tranne un mese ogni quattro anni, durante i campionati del mondo di calcio (e a patto che si vincano), l’italiano non si sente membro di una Nazione, ma di un clan: familiare, affettivo, politico. Però vale qui lo stesso discorso fatto a proposito della corruzione: dai politici ci aspetteremmo che dessero il buon esempio, non che esaltassero con la forza del loro ruolo la “mala educación” generale».
E inoltre sui giornali di oggi:
STRAGE SUL TRENO
LA STAMPA – Il quotidiano torinese apre in prima con “Strage sul treno dei pendolari” e dedica all’incidente 4 pagine. Susanna Marzolla firma “In un attimo eravamo con il fango in bocca” un reportage con le voci dei “sopravvissuti tra terrore e lacrime”. «Il capitano dei carabinieri cerca di allontanare le persone dal guard-rail; adesso la statale 38 è di nuovo agibile, il traffico intenso è quello di sempre. “Per favore andate via, è pericoloso” dice a tutti quelli che si fermano a guardare quel costone dall’altra parte dell’Adige: una discesa di fango viscido; un vagone di treno disteso sui binari, intatto, e un altro in bilico tra gli alberi e il fiume che è invece un ammasso di terra e ferraglia. In questa bella giornata di sole con i boccioli dei meli quasi in fiore; in questo paesaggio da cartolina mantenuto intatto con asburgica fedeltà tutti guardano stupiti questo disastro. Un uomo alto e robusto, il colorito e le mani di chi è abituato a lavorare la terra, si avvicina con cautela al militare; gli parla a voce bassa, in tedesco: gli spiega che sua moglie è rimasta ferita nell’incidente, “Non grave no; adesso è a casa”, e vorrebbe sapere se, per caso, si sono recuperati anche gli oggetti dei passeggeri; se c’è un posto dove vengono, per caso, portati. E’ imbarazzato; si capisce: ma gli oggetti qui, a poche ore dal disastro, li stanno davvero recuperando. Adesso che hanno trovato i morti, che stanno operando i feriti più gravi e hanno già curato e dimesso quelli più lievi, si pensa anche alle cose: valigie, borsette, zaini coi computer che riemergono coperti di fango. “Se ne occupano i carabinieri di Silandro”, gli risponde il capitano, “Vada da loro”. A Silandro l’uomo c’era già stato; perché lì è stata curata sua moglie assieme ad altri feriti più lievi. Come Helga Lange che non ha nulla di grave, solo choc e contusioni, ma che i medici preferiscono tenere ricoverata in osservazione perché continua a ripetere piangendo: “Dov’è mio marito? Perché non è qui?”. E’ morto, suo marito, Franz Hohenegger, 73 anni; gliel’hanno anche detto ma lei non accetta di non aver più il compagno di un’intera vita passata in questa vallata: lui era maestro elementare che, in pensione da tanti anni, continuava a fare il “vigile” per i bambini davanti a scuola. Tre figli sono qui, divisi tra il reparto e la cappella mortuaria; altri quattro, sparsi per il mondo, arriveranno. Stavano andando a Bolzano, i coniugi Hohenegger; così, per fare un giro: prendere quel treno, per gli abitanti della Val Venosta, era come prendere un metrò. Per andare a lavorare, o in banca o dal medico, o a scuola: insomma, un normale spostamento quotidiano. E per questo tutti fanno fatica a raccontare quell’attimo in cui il fango ha investito in pieno il convoglio interrompendo una consolidata routine. Così non è difficile capire quel “non ricordo assolutamente niente, non so cosa stessi facendo” detto da Adriatic Zaja, un ragazzo albanese che ora, nel letto d’ospedale, parla a fatica con italiano incerto. Ma è lo choc, più che le ferite; lo choc che lo sta prendendo adesso, come un’onda di ritorno, ma che per fortuna non l’ha sfiorato quando tutto è successo lasciandogli il sangue freddo necessario per districarsi “in mezzo a tanto fango” e a rispondere al suo cellulare che squillava: era lo zio, che era poco lontano dal luogo del disastro e che così è corso a dare una mano al nipote e a tutti gli altri. Anche Herbert Tummle avrebbe voluto aiutare, poteva farcela fosse stato solo per le dita ferite, “ma c’era tutto quel fango”, dice, “sentivo la gente lamentarsi, volevo… ma non potevo fare niente; il fango era come bitume”. Fango, fango… “E’ quello che ha ucciso”, spiega un volontario della Protezione civile, “i cadaveri ne avevano la bocca piena; sono morti soffocati”. Avevano fatto un’esercitazione proprio in quel punto “perché era il più critico della ferrovia, in curva sul fiume a metà costone”: preparati a intervenire, a montare un ospedale da campo, a portare via i feriti da un luogo impervio. Ma una esercitazione, per quanto utile, non è mai come la realtà. Neanche un corso è mai come la realtà. Le volontarie del “soccorso spirituale” organizzato dalla Croce Bianca fanno fatica a sostenere l’impatto: una di loro è davanti al Pronto Soccorso di Silandro, chiede subito, con discrezione: “Ha bisogno di qualcosa?” ma tira un sospiro di sollievo quando viene a sapere che non si cercano famigliari feriti o morti: “Non siamo abituati a una cosa così”, confessa. E la sua collega Maria davanti alla camera mortuaria non riesce più a trattenere le lacrime: perché qui parenti di vittime e sopravvissuti, feriti e soccorritori, si conoscono un po’ tutti. Ed è un dramma nel dramma: ci si consola per se stessi, ma si piange per l’amico.
CORRIERE DELLA SERA – “Morte sul treno dei pendolari” è il titolo di apertura sul quotidiano di oggi. Mario Porqueddu analizza le ipotesi per il guasto all’impianto: «I carabinieri sono al lavoro attorno a un buco nel terreno, con dentro un tubo che conduce l’acqua raccolta a monte e in quel punto ha un diametro di circa tre pollici, meno di 10 centimetri. Dicono che è iniziato tutto qui, nel meleto di Franz Sprenger. Per colpa di quel tubo che perdeva. Ora il campo e anche il sistema di irrigazione sono sotto sequestro, e il signor Sprenger è stato ascoltato dalla polizia. Agli investigatori ha detto quello che ripete nel tinello della sua casa di Lacenigo: «Noi non abbiamo nemmeno iniziato a irrigare. Non è ancora il momento. Ieri, però, verso le 8.30 di mattina è passato dal mio campo il lavorante e ha visto che l’impianto era in funzione. Mezz’ora dopo ha sentito venire giù la montagna». Una frana larga 10 o 15 metri, 400 metri cubi di terreno melmoso e sassi, nove morti, una tragedia. Franz Sprenger ha 57 anni e per colpa di una forma degenerativa di distrofia muscolare è in sedia a rotelle. Del suo meleto di 8.700 metri quadri si occupa un contadino. Ma lui assicura che non sono stati loro a far partire l’irrigazione a pioggia… È come se sul convoglio dei pendolari siano caduti 600.000 chili di melma. Resta da capire perché. Guasto al tubo dell’irrigazione? Errore nella valutazione del rischio su quella porzione di territorio? Una sorgente sotterranea formata nel corso dell’ultimo anno? La procura di Bolzano ha aperto un’inchiesta per omicidio plurimo colposo e frana colposa. In attesa degli esiti della perizia geologica disposta dal procuratore Guido Rispoli, gli indagati sono otto: sei membri del Consorzio di bonifica, i cui vertici sono stati sentiti ieri, e i proprietari dei due campi più vicini alla scarpata».
LA REPUBBLICA – “Ore 9.01, frana killer sul treno dei pendolari «Strage per un tubo rotto»”. L’incidente in Val Venosta, tra le stazioni di Laces e Castelbello (a 20 km da Merano) è avvenuto a causa di una frana (provocata dalla rottura di un tubo dell’acqua usata per irrigare): ha travolto e spezzato il treno. Nove i morti, 6 donne e 3 uomini. 28 i feriti. Pare che il tubo fosse rotto già da un paio di giorni, ma il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Durnwalder parla di «incidente assolutamente non prevedibile».
IL MANIFESTO – Un piccolo richiamo in prima «Merano, frana sul treno di pendolari e studenti Nove morti e 28 feriti» e un articolo a pagina 7 per raccontare «Una tragica fatalità», la tragedia causata da una perdita di un tubo di irrigazione che ha provocato la frana che abbattutasi su un treno regionale ha provocato 9 morti.
IL SOLE 24 ORE – Apertura a tutta pagina (25) della sezione Economia e Imprese. E’ questo lo spazio che il SOLE 24 ORE dedica alla tragedia del treno travolto dal fango in Val Venosta. Ben 9 morti e 28 feriti: è questo il bilancio dell’incidente. Sotto accusa la rottura di un impianto di irrigazione a nord della massicciata. Avrebbe creato lo smottamento di fango che ha successivamente travolto il treno. Di spalla un’intervista di Giorgio Santilli ad Alberto Chiovelli, direttore della nuova Agenzia nazionale per La sicurezza ferroviaria che però sarà pienamente attiva solo fra qualche mese. Sull’accaduto: nessun commento.
AVVENIRE -Cronaca della tragedia, per cui il ministro Matteoli ha parlato di «sfortuna enorme». Nello stesso punto, quattro anni fa, la protezione civile aveva simulato una esercitazione: luogo scelto solo per il luogo impervio, non perché ci fosse alcun indizio, precisano. Soccorsi impeccabili, in quattro minuti erano già sul posto. Tra le vittime, una mamma che portava il latte al figlio neonato, ancora in ospedale perché nato prematuro.
BALLOTTAGGI
CORRIERE DELLA SERA – “Il centrosinistra perde i suoi feudi. Espugnata Mantova la rossa”. Il CORRIERE fa commentare l’esito del voto a Gianfranco Burchiellaro, sindaco a Mantova dal 96 al 2005 con consensi intorno al 60%, che oggi dice: «Basta primarie, premiano i perdenti: non sappiamo più parlare al popolo, l’80% della classe operaria vota Lega», per poi chiedersi «Avete mai visto un gruppo dirigente che nonostante una serie impressionante di sconfitte continua a rimanere al suo posto?».
LA REPUBBLICA – Tre pagine per i ballottaggi. “Il centrodestra strappa Mantova e Vibo Il centro sinistra conquista Matera”. La maggioranza espugna anche Comacchio ma perde a Cologno Monzese. L’approfondimento è per la città di Gonzaga, roccaforte Pd in cui hanno pesato litigi e faide interne al centrosinistra. Scontata l’esultanza del Pdl: «Cara Mantova, bentornata in Lombardia» avrebbe commentato il governatore Formigoni. Da segnalare l’intervista a Sergio Chiamparino, sindaco di Torino: “Per salvarci facciamo saltare le correnti i segretari regionali scelgano il leader” è il titolo. Rilancia l’orientamento federalista che secondo Prodi il Pd dovrebbe assumere.
IL GIORNALE – “La bandiera del centrodestra sulla rossa Mantova” titola IL GIORNALE a pagina 13. «Dopo 65 anni cade la roccaforte storica del Nord» si legge nel sommario. «I ballottaggi sono finiti in pari, ma nei comuni minori avanza l’onda del Pdl. In Calabria espugnate anche Vibo Valentia e la “Stalingrado”, San Giovanni in Fiore. Al Pd per un soffio Matera e Macerata». IL GIORNALE intervista il neosindaco di Mantova Nicola Sodano, che dice: «Non ho mai fatto campagna nel centro storico, dove prendo un sacco di voti, ma esclusivamente fra la gente di sinistra: le Rsu delle fabbriche, i locali dell’Arci. Ho consumato le scarpe casa per casa nelle periferie popolari».
IL SOLE 24 ORE – La politica scivola a pagina 23 dove Giorgio Santilli intervista il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che reclama la nascita di un Pd federale. Il neo governatore del Veneto, Luca Zaia, vara la sua squadra e piazza la Lega in pole position. Pierluigi Bersani, segretario del Pd commenta le parole di Romano Prodi: «un contributo utile». E infine Mantova, il feudo rosso in territorio lombardo, che cede il passo e, al secondo turno, premia lo sfidante della Pdl, Nicola Sodano, battendo il sindaco uscente, Fiorenza Brioni.
IL MANIFESTO – Sui ballottaggi un richiamo in prima che recita: «Batosta Pd, Mantova alla Lega. A Lamezia però c’è Speranza» Nella pagina l’articolo sul secondo turno delle elezioni amministrative «Il vento non cambia persa anche Mantova» è di spalla a un articolo dedicato invece al Pd «Il federalismo di Prodi urtica. Ma piace a Chiamparino» con il titolo «Leghisti in salsa dem, Bersani è già al lavoro». L’articolo si conclude osservando che «Nel 2011 scadrà il mandato del sindaco di Torino e il tema della sua prossima occupazione lo ha sollevato lui stesso, senza nascondere le proprie ambizioni politiche nazionali. Chi meglio di lui potrebbe “seguire” la costruzione del partito federale?».
PRETI PEDOFILI
AVVENIRE – Apertura di AVVENIRE dedicata alle “linee guida” interne alla Chiesa per gestire i casi di abuso sessuale, rese note dal Vaticano. Si tratta di un motu proprio che risale a nove anni fa, «non allestita a uso dei media, precisa l’editoriale di Francesco Ognibene. Il titolo dell’apertura: “Chiesa ancor più trasparente, l’Italia si stringe al Papa”. La guida dice chiaramente che la legge civile va sempre seguita, anche là dove c’è obbligo di denuncia. Dove questo obbligo non c’è, i vescovi sono incoraggiati a «rivolgersi alle vittime, per invitarle a denunciare i sacerdoti». Per i casi particolarmente gravi il papa può decidere la riduzione in stato laicale anche prima o senza un processo. Di spalla intervista al vescovo Karl Golser, di Bolzano, che sul sito della diocesi ha aperto una finestra per denunciare casi di molestie e abuso, dal titolo «ogni abuso è uno di troppo».
PULITZER
IL SOLE 24 ORE – Per la prima volte vince un giornalista online di una testata non profit. Si chiama Sheri Fink e ha vinto con il pezzo “The Deadly Choices at Memorial” sulle morti sospette in un ospedale di New Orleans, dopo Katrina. Il sito per cui la Fink lavora è invece ProPublica: fondato nel 2007 grazie a una donazione pluriennale della Sandler Foundation è guidato dall’ex direttore del Wall Street Journal.
VENEZUELA
AVVENIRE – Focus sul caso di altri due cooperanti italiani spariti: Massimo Barbiero, missionario laico della Papa Giovanni XXII e Simone Montesso, volontario della stessa realtà, sono scomparsi martedì scorso in Venezuela. Il mistero è fitto, per la Farnesina è prematuro parlare di sequestro, ma intanto le famiglie hanno fatto formale denuncia di scomparsa. «La sensazione – scrive AVVENIRE – è che non tutto il possibile sia stato fatto».
ANTIRAZZISMO
IL MANIFESTO – Inizia in prima pagina la lettera scritta da un anonimo imprenditore di Adro (Brescia) che ha pagato il debito arretrato dei genitori dei bambini che il sindaco dello stesso comune aveva escluso dalla mensa scolastica. «Antirazzismo. Pago io la mensa, oggi tutti a scuola». L’uomo che ha versato 10mila euro, vuole restare anonimo e ricorda di essere «figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità» e «a scanso di equivoci» premette di non essere «comunista» anzi alle ultime elezioni ha votato Formigoni. «(…) Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro». IL MANIFESTO pubblica un ampio stralcio della lettera dell’uomo che al di là della tentazione di urlare il suo non starci a un certo clima ha deciso «di fare un gesto che vorrà vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani». La lettera dell’anonimo cittadino di Adro sarà pubblicata integralmente sul sito de IL MANIFESTO (www.ilmanifesto.it).
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