Eluana, oggi al via la procedura. Titolano così, prendendo a prestito i termini della burocrazia e del sistema giuridico-carcerario, i siti e le agenzie stamattina. Forse è la giusta consguenza di un percorso che ha censurato il corpo, la carne, la sofferenza, gli sguardi di Eluana. Ieri sera, ho mandato una email a Amato De Monte, il primario di anestesia, che oggi attuerà il protocollo previsto dalla sentenza, ovvero la graduale riduzione della nutrizione e idratazione.Nella mail ho scritto una frase presa a prestito da Antonin Artuad: «Domani mattina, all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate almeno ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza» (Antonin Artaud lettera del movimento surrealista agli psichiatri, 1925). A De Monte chiedo solo e almeno questo sussulto, questa presa d’atto di un dato, semplice, di realtà. Eluana non è morta 17 anni fa, è un corpo vivo.
Ieri, grazie a Facebook, un collega de Il Manifesto, Marco Dotti, mi ha segnalato un suo articolo pubblicato ieri a pagina 14 e intitolato “Indurre all’eutanasia, questo è l’obiettivo”. Si tratta di una recensione di un libro-pamphlet di Carl-Henning Wijkmark, scrittore svedese che ci manda un messaggio dal cuore del paradiso del welfare. Il libro è intitolato La morte moderna, è del 1978 ma è stato da poco tradotto in italiano grazie a Iperborea. Vi prongono alcuni passaggi della sintesi che ne fa Dotti che alla fine chiosa: «un libro di straordinaria e, per troppi versi, perturbante attualità».
“A metà strada fra l’operetta morale e il pamphlet, La morte moderna, dello scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark descrive una giornata «qualunque», in un centro congressi «qualunque», nei pressi dello stretto dell’Oresund, durante un simposio organizzato dal Fater, inquietante «comitato interno» del Ministero degli Affari esteri. Il tema è «La fase terminale della vita umana». (…)
A dettare l’agenda del simposio e a occupare la scena sono le controverse «opzioni» di politica sociale di un certo Caspar Storm, «esperto di bioetica» che nemmeno troppo velatamente si dichiara figlio di un positivismo giuridico e di un realismo politico estremi. Preoccupato dall’allungarsi dei tempi della vita media, dalla crescente disoccupazione e da un possibile conflitto fra generazioni, Storm è uno spin doctor che propone le proprie «ricette» lanciando le sue parole d’ordine all’interno delle istituzioni, mascherandole dietro altre parole all’apparenza più rassicuranti come «riformismo», «progresso» e «assunzione di responsabilità» e, soprattutto, lasciando che, con il mutare dei tempi, maturino e diano i loro frutti. (…)
Come evitare, si chiede Storm, che le nuove generazioni non garantite né sul piano economico né, tantomeno, su quello sociale e soprattutto assillate da problemi di precarietà e disoccupazione, si scontrino con schiere informi di anziani ex-lavoratori che non la vogliono smettere di consumare senza produrre e di attivissimi pensionati i quali, oltre ad essere garantiti da iperprotezioni sanitarie e pensionistiche, continuano a rivendicare un ruolo attivo all’interno della società? Uno svedese su quattro, osserva il «moderatore» che prepara il campo alle proposte di Storm, è in pensione di anzianità, mentre uno su otto pur trovandosi in età produttiva è in pensionamento anticipato, infine ben il settantacinque per cento delle risorse sanitarie viene letteralmente «sprecato» per la cura di malati cronici o senza speranza. È compatibile tutto questo, ci si chiede, con una moderna politica di assistenza sociale? (…)
La riforma proposta da Storm riguarda, soprattutto, l’ambito della «mentalità» e del comportamento dell’uomo comune e si propone di «aumentare la domanda di eutanasia all’interno della società» preparando così il terreno a quelle riforme che, altrimenti, verrebbero percepite come radicali e contrarie alla dignità umana. Il problema, per i membri del Fater, è individuare e far condividere dalla coscienza dell’uomo medio la logica che presiede al cosiddetto «human value che non è equivalente a valore umano, anzi il contrario, l’utilità che un certo individuo continui a vivere valutata in denaro». Mascherandosi dietro il paravento della laicità, della scienza e delle sue sorti (sempre magnifiche e progressive), il Fater propone due precisi strumenti di riforma: il marketing dell’idea di eutanasia come «obbligo volontario» e il «lobbing» sulla sua opportunità pubblica e sulla sua praticabilità sociale”.
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