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ELUANA. Melazzini (Aisla): «La vita è sempre degna»

Lettera del presidente dell'Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica

di Gabriella Meroni

Il presidente nazionale dell’Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) Mario Melazzini ha risposto all’articolo apparso nei giorni scorsi sul quotidiano “Il Secolo XIX” e firmato da Luisella Battaglia, docente di Filosofia Morale e Bioetica all’Università di Genova e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. La Battaglia aveva criticato «la promozione a “disabile”» di Eluana a seguito di «un illuminante intervento di Eugenia Roccella». Scriveva inoltre la docente: «Ora tale condizione dolorosamente reale per milioni di persone nel mondo (la disabilità, ndr) viene usata come arma per impedire, da un lato, l’attuazione della sentenza che consente di sospendere le cure a Eluana, dall’altro, per criminalizzare il padre che, anziché prestare la doverosa assistenza a un disabile, perseguirebbe tenacemente un proposito omicida. A quando la rituale evocazione della barbarie nazista e dei campi di sterminio? In attesa della prossima puntata di una storia indegna di un Paese civile, occorre aggiungere che se Eluana è stata ambiguamente “promossa” a disabile, resta prima di tutto una cittadina affidata legalmente a un tutore – il padre – il quale può legalmente decidere in suo nome e per il suo migliore interesse sulla base anche – non si dimentichi – dei desideri da lei precedentemente espressi e che la Convenzione di Oviedo raccomanda di tenere in considerazione».

Ecco cosa scrive Melazzini.

«L’articolo della prof.ssa Battaglia riguardo alcuni aspetti della vicenda di Eluana Englaro e alla definizione di disabilità, è stato per me fonte di stimolo ad alcune riflessioni sul medesimo tema.

Punto di partenza: nella nostra società il concetto di salute viene spesso collegato all’assenza di malattia. Secondo la definizione dell’Onu “la salute è il completo stato di benessere fisico, psichico, attitudinale di un individuo”. Secondo la mia opinione, pertanto, essere sani non significa per forza non avere una malattia. Invece, secondo quel tipo di cultura che io definisco “dei benpensanti” alcune condizioni patologiche, di disabilità e fragilità non sono conciliabili con una vita degna di essere vissuta, dal momento che il concetto di dignità della vita viene correlato sempre unicamente a quello di qualità. E sempre secondo tale corrente di pensiero, alcune condizioni di cui una persona si trova di essere portatrice vengono definite come “inumane”.

E’ questo lo schema  ulturale con cui tendenzialmente ci si approccia, anche alla vicenda di Eluana Englaro. Spesso, però, si dimentica che Eluana Englaro non è solo “il caso” da utilizzare come strumento di una ideologia, ma una persona con la stessa dignità ed i medesimi diritti di tutte le altre. Il problema, secondo me, è che nella nostra società spesso prevale il pietismo, non la vera compassione, la vera condivisione. Bisogna invece ammettere, senza alcun timore di sorta e di disagio, che la malattia,  a disabilità e la fragilità sono condizioni che fanno parte del nostro vivere. Ecco perché mi permetto di replicare alla Prof.ssa Battaglia di non arrivare anche a strumentalizzare la definizione di disabile e personalmente come disabile non mi sento nella mia condizione “abusato” come cita la Battaglia “…all’uso – o abuso – ideologico del termine disabilità?- e contrastare un operazione politica assai ambigua il cui paradossale risultato è di equipararli a persone che non hanno una vita biografica ma solo biologica…”

In questi tempi in cui si parla sempre più, con scarsa chiarezza, di diritto alla morte, del principio di autodeterminazione, di autonomia del paziente, si deve lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano che deve essere il punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza e si impegna affinché la malattia e la disabilità non siano o diventino criteri di discriminazione sociale e di emarginazione. Personalmente ritengo che la vita debba essere sempre considerata come degna. Fatta salva la piena libertà consapevole di scelta degli individui, mi chiedo: la nostra società mette realmente a disposizione tutti gli strumenti e le risorse per non fare sentire abbandonate le fasce deboli e le persone fragili gravemente disabili, come Eluana? Si è realmente tutti liberi di vivere? Quando si hanno infatti a disposizione tutti gli strumenti – in primis assistenza e presa in carico – per poter vivere la propria vita e, con essi, la certezza che nessuno possa dire che quest’ultima non sia degna di essere vissuta, etichette come “diversamente vivo”, quelle sì, non hanno davvero più nessuna ragione di esistere. E mi permetto di chiedere alla Prof.ssa Battaglia: chi è allora Eluana e chi sono tutte le persone come Lei?».

Mario Melazzini, persona disabile, malata di Sclerosi Laterale Amiotrofica


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