Joseph Kabila ha dunque giurato ieri per un secondo mandato come presidente della Repubblica Democratica del Congo, dopo la vittoria nelle contestate elezioni del 28 novembre scorso. Ma i dubbi sulla legittimità dell’intero processo elettorale rimangono. Basti pensare che alla cerimonia ha preso parte un solo capo di stato straniero, il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, oltre agli ambasciatori di Stati Uniti, Francia e Regno Unito. La cerimonia, offuscata dal mancato riconoscimento da parte dell’opposizione della vittoria di Kabila, si è tenuta in un complesso sulle sponde del fiume Congo nella capitale Kinshasa, sotto lo stretto controllo delle forze di sicurezza (militari locali e mercenari stranieri). Come già scritto su questo Blog, va ricordato che il capo dell’opposizione, Etienne Tshisekedi, non ha riconosciuto il risultato elettorale e si è autoproclamato presidente, alimentando così le preoccupazioni su possibili nuovi episodi di violenza in tutto il Paese. Intanto Unione Europea e Stati Uniti sono tornati a prendere le distanze dal controverso esito delle presidenziali. Basti pensare che il Dipartimento di Stato americano si è detto “profondamente deluso” dalla decisione della Corte Suprema di Kinshasa di omologare i dati ufficiali, e dunque l’affermazione di Kabila, senza aver prima “valutato pienamente le diffuse denunce di irregolarità”. A questo punto le uniche ipotesi viabili, per evitare inutili spargimenti di sangue, potrebbero essere due: l’istituzione di una commissione indipendente in grado di valutare l’attendibilità delle elezioni. Qualora l’esito dell’inchiesta fosse negativo, confermando le denunce dell’opposizione, non rimarrebbe che procedere a una nuova consultazione sotto l’egida di un governo di unità nazionale. Sarebbe pertanto auspicabile che le cancellerie straniere (africane in primis) uscissero dal letargo!
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