Non profit
Elettra, la mia bimba Down, è l’extraterrestre che mi ha portato via
Eugenio Finardi
Tra i cantautori degli anni 70 era il più battagliero, il più rock, il più imprudentemente americano – lui, figlio di un’americana. Eugenio Finardi riuscì a emergere con Musica ribelle ed Extraterrestre. Poi, negli anni 80, i colleghi degli esordi presero a rivolgersi anche alle masse, a raccogliere il successo “quello vero” (De Gregori con La donna cannone, Venditti con Notte prima degli esami, Battiato con Cuccuruccucu paloma, Camerini con Rock’n’roll robot.
A lei invece capitò qualcos’altro…
Nel 1982 è nata la mia primogenita, Elettra, affetta da sindrome di Down. All’epoca non si diceva così, si diceva “mongoloide”. L’ho amata e la amo moltissimo, ma in quel momento fu un trauma: mi sentii diverso io per primo, come se la sua malattia fosse una condanna per qualcosa che io avevo fatto. Sprofondai nella depressione. Credo non ci sia un genitore di bambino disabile che non abbia fatto i conti con una crisi personale. Cerchi un motivo per quello che è successo, e pensi che quel motivo sei tu. Poi però passa, e più che i motivi, diventa importante trovare soluzioni. Capisci che non è tutto dolore. I primi anni di Elettra mi hanno dato grandi gioie: i suoi primi passettini, il comunicare con lei… ogni cosa era eccezionale.
Così si è perso la fase “stellare” della sua carriera e l’epoca dei contratti d’oro…
Ho iniziato a darmi da fare, informarmi, avvicinarmi all’associazionismo. Molti che mi accusavano di non fare più musica “impegnata” non sapevano che la teoria aveva lasciato il posto a un impegno vero: un po’ dei miei fan degli anni 70 li ho persi. Ma ne ho guadagnati altri: c’è chi mi ha conosciuto proprio in quel periodo. Oggi non ho folle che urlano le mie canzoni nei concerti negli stadi, ma molta gente che le ascolta davvero. Le difficoltà di quel periodo erano dovute anche al fatto che le realtà che iniziavo a conoscere erano difficili da cantare.
Non ha mai voluto mettere in piazza questo fatto…
Allora non c’era questo tipo di sensibilità, i giornali che mi avvicinavano per parlare di questo argomento la mettevano tutti sul piano del pietismo. Poteva sembrare che lo facessi per sfruttare la cosa, per avere successo enfatizzando un problema personale; oggi ho 58 anni, la musica mi dà molte soddisfazioni diverse dall’ansia continua della classifica, e ho elaborato tante nuove esperienze. Ho affinato la mia sensibilità in campi che non conoscevo: in breve, ho capito come posso essere utile.
Per esempio?
Suonando in giro per l’Italia mi rendo conto di come, specie al Sud, la situazione sul fronte del volontariato sia tragica. Vedo famiglie che vivono una solitudine incredibile. Così come vedo persone che, dopo qualche anno di associazionismo sincero, sentono la fatica di lottare contro i mulini a vento e si arrendono. La disabilità, il malessere, il disagio mettono in risalto le gravi mancanze, il vuoto disperante e incolmabile che si è creato nel tessuto sociale.
E lo Stato, le istituzioni?
Ah, lo Stato. Ieri ho ricevuto una mail del padre di una figlia down, una ragazza di 38 anni. Ha donato una casa nelle Marche perché diventasse una casa famiglia, dove far vivere lei e altri ragazzi Down. La casa è pronta, grazie anche agli aiuti ricevuti da alcune associazioni, e adesso servono i soldi per il mantenimento. La Regione non li dà perché “li dà solo in casi gravissimi”. Insomma, senza volontariato tante realtà familiari con figli disabili sarebbero completamente perse, affidate a una burocrazia che scoraggia invece che aiutare. Per questo divento matto quando sento parlare di falsi invalidi, di truffe legate alla sanità. Chi truffa sulle pensioni di invalidità è il peggior tipo di criminale, perché toglie risorse a chi ha bisogno davvero. Non è stato facile per me, che vivo comunque in una situazione privilegiata, figuriamoci come un operaio possa “permettersi” un figlio disabile. Il primo assegno di accompagnamento, quello che dovrebbe servire quando il bimbo Down è piccolo, Elettra l’ha ottenuto a 20 anni…
Come si muove Elettra nel “mondo reale”?
Elettra sa mangiare al ristorante, muoversi in un albergo, in un aeroporto. Ma chi nasce in città rischia di essere usato, maltrattato. Un giorno alla Stazione Centrale degli zingari l’hanno usata per chiedere l’elemosina. E poi i Down di provincia una volta vivevano sempre in famiglia, erano come il gatto di casa, ma con una comunità intorno. Io, anche a causa della mia vita di musicista, le ho dato stimoli diversi e ogni tanto ne abbiamo sofferto entrambi. Lei ha compreso più a fondo la sua diversità, e ha provato rabbia. Ad esempio, andava al bar, mangiava, poi diceva: «Io non pago, sono mongoloide». A volte la passava liscia, ma quando lo venivo a sapere la mettevo in castigo.
Ripenso a due canzoni degli anni 80: “Amore diverso” e “Il vento di Elora”. Riascoltate ora, sapendo a cosa si riferivano, acquistano una profondità ancora maggiore.
La prima era per Elettra. La seconda – «Il mondo gira, gira come un pazzo / che vuoi che gliene importi / della vita di un ragazzo» – nasce perché ero andato ad Elora, in Canada, per collaborare a un progetto che coinvolgeva ragazzi di un carcere minorile messi a contatto con ragazzi portatori di grossi deficit psicofisici, Down e autistici. Molti giovani criminali dati per irrecuperabili mostravano un lato sensibile, diventavano responsabili. Ecco perché io credo che i disabili vadano messi nelle classi con gli altri, non ghettizzati. La mia terza figlia, Francesca, studia musica all’Istituto dei Ciechi di Milano: lei non ha problemi di vista, ma frequentando i non vedenti sta vivendo un’esperienza personale enorme.
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