Formazione

Eletti: maschi 945; donne 87. Un parlamento grigio

Mai così male le donne in politica. Poche nelle liste di candidati, ancor meno le elette. Siamo ultimi in Europa superati solo dalla Grecia. Perché?

di Barbara Fabiani

Chi ha davvero perso le ultime elezioni sono state le donne. Appena il 9,2% le parlamentari elette, un gruppetto di 87 donne contro 945 uomini. Una situazione del genere su un isola deserta avrebbe suscitato il caos, nelle istituzioni italiane, invece, pare una condizione vivibilissima. Infatti, non sembra che la scarsa presenza delle donne nei luoghi della decisione politica sia letta come la prova di una difficoltà di accesso, e quindi di una carenza di democrazia, visto che nelle ultime tre tornate elettorali si è assistito ad una progressiva riduzione di parlamentari donne nel Palazzo senza che ciò abbia suscitato reazioni concrete. Con le elezioni del 1992 le donne nella Camera dei deputati erano 13,8%, slittate all?11% nel 1994 (al Senato restavano fisse all?8%), mentre il risultato indecoroso delle ultime elezioni ci colloca al penultimo posto tra i parlamenti europei per presenza di donne. Ci consoliamo con il 6% della Grecia e con la vicinanza della Francia a solo un punto percentuale sopra di noi, sorpassata dal Belgio con l?11%. La Spagna ? a dispetto del suo stereotipo machista ? ha il 28% di donne in parlamento, l?Austria ha un quarto dei seggi al femminile (25,6%), la Germania il 26,3%, la Danimarca il 26,9%, la Finlandia il 39% e in cima alla classifica c?è l?inarrivabile Svezia con oltre il 40% di eletti donne. Per quanto riguarda il Parlamento europeo alle lezioni del 1999 la presenza delle donne è salita dal 26,5% al 30%, ma non per merito dell?Italia che nella legislatura 1994/99 aveva avuto 12 rappresentati donne e che dal ?99 ne ha solo 8 su gli 87 seggi destinati al nostro paese. Dai parlamenti ai municipi le cose non migliorano. Un censimento del Cnel dello scorso anno fatto sulle amministrazioni locali parla di una presenza femminile raddoppiata dal 1992 al 1999, che però si traduce in un incremento dal 2,5% al 5,1%. Negli 8mila comuni italiani le donne sindaco sono solo il 6,2% (82% delle quali in piccoli comuni), le vice-sindaco il 13%, mentre tra gli assessori e i consiglieri comunali le donne sono rispettivamente il 17% e il 18%. Come si nota la percentuale scende tanto più la funzione sale d?importanza. Colpa delle donne che non si impegnano in politica? Le recenti elezioni amministrative in Francia sono l?esempio che aiuta a porre la questione nei giusti termini. Nei comuni francesi con meno di 3500 abitanti le donne elette sono state il 47,5% (prima erano il 22%), ben 44 città con più di 15mila abitanti ora hanno una sindaco donna , da 33 che erano, e la municipalità di Parigi oggi conta 15 assessori donne su 33. Sono i primi frutti di una legge voluta dal Primo Ministro Jospin che impone ai partiti francesi la composizione delle liste con una pari presenza di candidati uomini e donne, dopodiché gli elettori hanno scelto. In Italia un tentativo simile venne cassato nel 1995 dalla Corte costituzionale sulla base dell?articolo 51 della Carta in cui si afferma l?eguaglianza tra i cittadini di entrambi i sessi per l?accesso alle cariche pubbliche. Insomma, siccome la Costituzione dice che siamo uguali non ci si possono predisporre “quote” per l?uno o l?altro sesso. Che fare allora? La lezione è servita per avviare nella legislatura passata una modifica dell?art. 51, accolta dalla Camera senza però completare l?iter al Senato. La battaglia ora viene rilanciata dalla Commissione pari opportunità che propone alle parlamentari donne un “Patto per il riequilibrio della rappresentanza tra i sessi” in quattro punti: la modifica dell?art 51 della Costituzione per una sostanziale e non solo formale parità di accesso alle cariche pubbliche; la riforma della legge elettorale che obblighi i partiti a comporre liste in cui nessun sesso abbia una presenza inferiore al 50%; la modifica della legge 157/99 sul finanziamento pubblico ai partiti per sanzionare quelli che non destinano il 5% dei finanziamenti al riequilibro della rappresentanza; che sia data attuazione all?art.49 della Costituzione che vuole l?accesso democratico di uomini e donne ai partiti. In definitiva non si sta chiedendo di concedere alle donne dei privilegi quanto di revocare quelli degli uomini.


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