Cultura
Egocentrismo: la lezione di David Foster Wallace
Basta andare ad un evento o aprire un social network per rendersene conto. A concerti, mostre o cene il soggetto delle foto siamo sempre noi mai ciò che ci sta attorno. Sono i famosi selfie. Un egocentrismo che è un tratto emergente del nostro tempo. Ma è solo diventato più visibile e chiassoso o è un vero cambiamento? Come e perché siamo tutti intrappolati nella nostra soggettività? Un aiuto ci viene dal discorso ai neolaureati del Kenyon College del grande scrittore americano
L’egocentrismo è un tratto emergente del nostro tempo, o è solo diventato più visibile e chiassoso? Come e perché siamo tutti intrappolati nella nostra soggettività?
Per trovare qualche risposta non ovvia ho riletto un bellissimo discorso tenuto da David Foster Wallace ai neolaureati del Kenyon College. Vi invito a fare altrettanto (qui l’originale inglese. Qui la traduzione in italiano).
Il discorso si intitola Questa è l’acqua. È notissimo anche per via dell’incipit folgorante: ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?
Foster Wallace parla nel maggio del 2005: Facebook è ancora un sito riservato agli studenti universitari (verrà aperto al pubblico nel 2006). YouTube è nato da qualche mese. Twitter non esiste ancora.
Soggettivismo acritico
Eppure, in quel discorso, Foster Wallace descrive con impressionante lucidità le dinamiche di formazione del soggettivismo acritico di cui, un decennio dopo, i social media sembrano traboccare.
Forse questo vuol dire che il problema non è solo come funzionano i social media, ma anche come funzioniamo noi.
In estrema sintesi: Foster Wallace ricorda agli studenti che la vera educazione al pensiero non riguarda la capacità di pensare, ma la scelta di che cosa pensare. E li esorta ad essere sempre consapevoli.
Egocentrismo inevitabile
Il modo in cui tutti noi costruiamo il significato di quanto ci circonda – ricorda Foster Wallace – è soggettivo, ed è frutto di scelte involontariamente arroganti e dogmatiche. Per questo imparare a pensare significa imparare a mettere in discussione le nostre certezze e convinzioni, che sono fatalmente egocentriche.
Ogni egocentrismo è socialmente odioso: per questo tendiamo a ignorarlo. Tuttavia è inevitabile, perché ciascuno di noi non può che trovarsi al centro assoluto di ognuna delle proprie esperienze che, in quanto vissute in prima persona, appaiono sempre più immediate, urgenti e reali di ogni altra.
Imparare a pensare
Dunque, ciascuno di noi tende a interpretare ogni cosa attraverso la lente del sé. Noi osserviamo con maggior attenzione quanto accade nella nostra testa che quanto accade davanti al nostro naso. Ci scordiamo che la mente è un ottimo servitore ma un pessimo padrone.
La vita adulta – dice ancora Foster Wallace – include la noia, la routine e la frustrazione, ma ciascuno di noi sopravvaluta le proprie.
Ciascuno, sentendosi al centro del mondo, alla luce del proprio egocentrismo interpreta ogni ostacolo (e perfino la grassa signora assai truccata e con lo sguardo spento che lo precede nella coda al supermercato) come un’offesa personale.
Imparare a pensare significa diventare meno arroganti, egocentrici e imperiosamente soli. Nel grande mondo del volere, dell’ottenere e del mostrarsi – conclude Foster Wallace – la vera libertà è la consapevolezza, e l’attenzione agli altri.
La periferia degli eventi
Dentro questo discorso ci sono un paio di suggerimenti meritevoli, credo, di attenzione. Il primo riguarda il non prendere tutto quello che ci capita intorno sul piano personale. Dopotutto, quanto succede difficilmente accade con il preciso obiettivo di danneggiare e offendere, o di favorire e compiacere proprio noi.
Gli eventi piovono, o scintillano, per conto loro, e il nostro coinvolgimento, positivo o negativo che sia, è in larga misura accidentale. In altre parole: anche se facciamo fatica a rendercene conto, come individui siamo molto più spesso alla periferia che al centro degli eventi.
Perfino gli eventi che ci vedono protagonisti sono quasi sempre alla periferia di altri eventi. Tra l’altro: nel gioco di specchi dei social media il protagonismo è più effimero, fragile e e illusorio che mai.
Discutere gli schemi
Il secondo suggerimento riguarda il dubitare delle nostre impressioni e dei nostri schemi. Forse la grassa signora assai truccata in fila al supermercato ha avuto una giornata orribile e merita tutta la nostra simpatia. E forse è una persona meravigliosa.
Se per caso non fosse così, pensare che potrebbe esserlo ci aiuta comunque a sentirci meno insofferenti e frustrati per la fila, e renderà noi persone un po’ migliori e meno isteriche.
Penso che questa strategia possa valere sia nel mondo reale, sia nel mondo virtuale. E penso che trasferirla dal mondo reale, dove già non è facilissimo applicarla, al mondo virtuale, dove applicarla oggi sembra quasi impossibile, potrebbe essere una sfida che val la pena di raccogliere.
da nuovoeutile.it di Annamaria Testa
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