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Egitto, la storia passa dal Cairo

Mubarak costretto a cedere, come finirà la rivolta popolare?

di Franco Bomprezzi

La rivolta popolare d’Egitto è notizia mondiale, l’annuncio di Mubarak di essere disposto a non ricandidarsi specie dopo l’ultimatum del presidente Usa Obama conquista l’apertura anche di molti quotidiani italiani (non tutti…), ormai da settimane impigliati nella rete delle convulsioni politiche nazionali.

“Finisce il regno di Mubarak”: apre così il CORRIERE DELLA SERA con una bella foto simbolo, primo piano di una ragazza egiziana che ha scritto sulla fronte “Get out” (Vattene). Davide Frattini racconta la giornata: “Un milione di manifestanti in piazza al Cairo per sancire la fine del regno di Hosni Mubarak, che, dopo la marcia degli oppositori al grido di “Vattene, vattene” e l’ultimatum arrivato dalla Casa Bianca, si piega a una «transizione ordinata», un passaggio di potere che definisce pacifico e sicuro «a chi sarà scelto dal popolo». E annuncia: «Lascio sì, ma soltanto da settembre. Non mi ricandiderò»”. Ma questo annuncio non sembra accontentare gli oppositori guidati da El Baradei. I servizi da pagina 2 a pagina 6. In prima partono tre riflessioni. Bernard-Henri Levy: “La pesante ipoteca dei fondamentalisti”, Olivier Roy: “Ma nessuno invoca la guerra santa”, e Antonio Ferrari: “L’uomo (grigio) del mondo arabo”. Bello il ritratto di Mubarak fatto dallo storico inviato in Medio Oriente, Antonio Ferrari, a pagina 5: “Un uomo grigio, nato nell’«apparato». Storia di un pilota diventato presidente”. “Se siamo onesti – così inizia Ferrari – dobbiamo ammettere che esistono le pulsioni del cuore e i tormenti della mente. Il cuore palpita per i coraggiosi ragazzi del Cairo, la mente non può dimenticare i capelli bianchi che impongono prudenza e assoluta onestà intellettuale. Non è giusto gettare l’ombra dell’infamia politica su Hosni Mubarak: un uomo, magari discutibile, che ha saputo per 30 anni essere la bandiera di un Islam moderato contro i brutali eccessi di un fanatismo insopportabile e pericoloso”. Differenti i pareri ospitati dal CORRIERE  a pagina 6. L’orientalista Olivier Roy, intervistato da Stefano Montefiori, la pensa così: “Sono molto ottimista per la Tunisia, dove c’è maturità politica. L’attuale governo di transizione tunisino indirà delle elezioni e verrà eletto un parlamento democratico. In Egitto la situazione è più complicata, il Paese è più grande e complesso, con una struttura sociale meno moderna, un’economia meno avanzata e un esercito molto più forte. In ogni caso il pericolo di un colpo di stato islamico a mio parere è lontano. Il Cairo di ieri non assomiglia alla Teheran khomeinista del 1978. Semmai ricorda la Teheran della rivoluzione verde di due anni fa”. Invece il filosofo francese Bernard-Henri Lévy mette in guardia: “Ma sull’Egitto pesa l’ipoteca dei Fratelli musulmani”.  Ecco un passo: “La maturità del popolo tunisino, la sua cultura politica, il suo livello di alfabetizzazione non si trovano, per ora, né nelle zone rurali dell’Alto Egitto, né nella megalopoli del Cairo, con quartieri all’abbandono, dove, come a Shoubra, al nord, milioni di abitanti hanno come unico orizzonte i due dollari al giorno che permetteranno loro di sopravvivere fino all’indomani. Infine sull’Egitto pesa un’ipoteca che in Tunisia poteva essere considerata trascurabile, quella dell’Islamismo radicale: che i Fratelli Musulmani del Cairo siano stati, fino a questo momento, di un’estrema prudenza, è cosa certa: ma non meno certo resta il loro peso politico (…) Non è trascurabile, dunque, il rischio di vederli raccogliere i frutti della caduta di Mubarak, con la prospettiva di un Egitto che tenda al fondamentalismo di Stato e diventi per i sunniti quello che per l’Iran sono gli sciiti”.

REPUBBLICA sceglie di aprire sul processo breve e relega il fatto del giorno di spalla, con una foto della marea oceanica che ha riempito ieri le strade del Cairo. Due gli editoriali. Il primo di Bernardo Valli “Il crepuscolo del raìs”. Interessante il passaggio dedicato ai Fratelli musulmani. «L’opposizione attorno al quale si è raccolta gran parte della società, perlomeno quella urbana è un’ampia galassia di movimenti. Tra i quali domina, per numero e organizzazione, la confraternita dei Fratelli Musulmani. I cui affiliati sono oggi per lo più estranei alla violenza e integrati alla società civile.. Attorno alla confraternita ruotano tuttavia anche correnti non indifferenti ai richiami integralisti. Ed esse, attirate in uno scontro tra la piazza e il regime, possono rappresentare una polveriera. E l’esercito, finora saggio, paziente, accorto, potrebbe reagire diversamente da quanto ha fatto sinora». “Il dizionario dei luoghi comuni” è invece l’editoriale firmato da Barbara Spinelli. Il primo luogo comune è quello secondo cui i moderati  nei paesi arabi diventano affidabili solo per avversare l’Islam radicale. «Non è da escludere invece che le prime mosse dei nuovi regimi, democratici e no, non saranno filo-americani, ma anticoloniali», scrive la Spinelli.  Il secondo luogo comune è quello secondo cui l’Islam sarebbe incompatibile con la democrazia: invece il 75% dell’Islam ha democrazie elettive (dall’Indonesia alla Turchia). «È stato l’interventismo occidentale a congelare più volte l’esperimento». Infine c’è il luogo comune che riguarda Israele: «La democrazia araba è considerata ormai anche da Obama. Ma più essa avanza, più cresceranno le spinte su Israele perché cessi l’occupazione dei territori, perché le colonie siano smantellate. Chiunque guardi la mappa della Palestina vedrà una terra talmente costellata di colonie che nessuno Stato, tantomeno democratico, è concepibile».

IL GIORNALE della famiglia Berlusconi si occupa diffusamente degli scandali del premier e vicende affini. L’Egitto e le rivolte sono relegate in prima pagina in un boxino in taglio basso. Il preocchiello recita “Egitto, due milioni in piazza” il titolo invece “Mubarak: resto ma non mi ricandido”. Due le pagine interne dedicate all’argomento. Nella prima c’è un pezzo di Gian Micalessin che spiega “Ecco perché i Fratelli Musulmani devono farci paura”. «Gli schieramenti sembrerebbero chiari. Da una parte ci sono l’Occidente, il vice presidente Omar Suleiman e l’esercito egiziano uniti dall’idea di garantire una transizione ordinata alle elezioni salvando il Paese da caos, fondamentalismo e violenza. Dall’altra ci sono l’Iran, i suoi alleati e gli integralisti decisi a spezzare i legami tra Cairo e Occidente, cancellare la pace con Israele e imporre uno Stato confessionale governato dalla sharia. Ma tutto ciò non basta a convincere illusi e “anime belle”. Per loro non contano i fatti, ma le parole. Quelle con cui in un’intervista il portavoce Essam Eryan smentisce le aspirazioni della Fratellanza Musulmana ad un “emirato islamico” e dichiara che “i cristiani copti dovrebbero avere gli stessi diritti dei musulmani”. Quelle parole diventano la prova più evidente dell’ambiguità, della doppiezza e della pericolosità della Fratellanza Musulmana. La moderazione mediatica del signor Eryan fa a pugni con le tesi del Dottor Muhammad Badi, nominato un anno fa “Guida” della Fratellanza Musulmana egiziana. Sentite con quale moderazione, il 7 marzo 2010, il Dottor Badi discetta di rapporti internazionali sul sito ufficiale della Fratellanza Musulmana egiziana (www.ikhwanonline.com): “Bisogna metter fine agli assurdi negoziati, sia diretti che indiretti, ed appoggiare tutte le forme di resistenza per liberare ogni pezzo di terra occupata in Palestina, Iraq, Afghanistan e nel resto del mondo musulmano. La fonte della vostra autorità, come concordano gli studiosi di religione – spiega Bani rivolgendosi ai governanti arabi – sono il Corano e la Sunna e non le risoluzioni dell’Onu o i diktat sionisti e americani”».  Paolo Liguori invece firma l’analisi “Altro che alleato inaffidabile: per fortuna che c’è rimasto Gheddafi”. Secondo il giornalista il leader libico, alla luce dei fatti egiziani e tunisini, «a occhio, è rimasto l’unico nostro alleato certo ed affidabile sulle coste nordafricane, a poche ore di barca e a tiro di missile dalle nostre spiagge. E, se si considera anche soltanto l’influenza di queste crisi sui mercati del petrolio e del gas, è una bella fortuna che il nostro Presidente del Consiglio abbia un forte rapporto personale, oltre che politico, con il leader libico. Per fortuna, che c’è Gheddafi. Altro che leader autoritario, poco rispettoso delle donne. Sono barzellette buone per una sinistra italiana rincitrullita ed incanaglita. I leader autoritari li abbiamo visti più da vicino in Tunisia ed Egitto ed oggi, dietro la sbornia degli inni alla santa rivolta popolare, in Occidente pregano di non doverli addirittura rimpiangere. La grande paura è, che in altre parti del mondo islamico, si segua l’esempio di Teheran. Anche in Iran, nel 1979, la rivolta fu eroica e popolare. La lotta di Liberazione contro i soprusi dello Scià divenne la bandiera della nostra sinistra e perfino gli Usa, guidati dal democratico imbelle Carter, favorirono la naturale fuga del loro alleato più importante. Poi, vennero Khomeini e gli ayatollah e sappiamo come è finita con i loro successori: siamo appesi ad un filo dal riarmo atomico, col terrorismo rilanciato e finanziato in mezzo mondo. Può succedere anche in Tunisia e in Egitto? Gli esperti si dividono. In Tunisia, dicono, è tornato dall’esilio il principale leader integralista islamico ed il potere ufficiale, dopo Ben Alì, è debole e diviso. In Egitto, invece, è molto forte l’esercito e l’apparato militare, che potrebbe opporsi alla leadership politica dei Fratelli Musulmani che, per chi non lo sapesse, sono tra gli antenati dell’integralismo di Bin Laden e Al Qaeda. Insomma, il peggio può succedere ed Israele già avverte il mondo distratto, come in altre precedenti terribili occasioni».

«Piramide rovesciata» è questo il titolo di apertura del MANIFESTO che sceglie di aprire con una fotografia che occupa tutta la metà alta della prima pagina (fin sopra la testata) sui due milioni di persone in piazza Tahrir. Il commento è affidato a Giampaolo Calchi Novati: «Se il sud si muove». Scrive Calchi Novati: «(…) Quando si muovono i popoli del Sud, il Nord non sa mai se compiacersi o avere paura. Il protagonismo è una facoltà che l’Occidente non è disposto a lasciare ad altri. L’Egitto è troppo importante per non prendere in seria considerazione gli accadimenti che lo riguardano ma è pur sempre un paese destinato a un ruolo subalterno. L’atteggiamento che prevale nei governi e nelle opinioni politiche d’America e d’Europa mostra chiaramente questo status di inferiorità: si ammette a malincuore dopo tanti anni di complicità che Mubarak oggi, come Ben Ali ieri, non è difendibile sul piano della morale e della democrazia ma è comunque utile finché è in grado di controllare, più ancora che governare, un limes che la crescente interdipendenza rende meno definito rispetto ai tempi del colonialismo e della stessa guerra fredda (…)» e ancora: «(…) In molti si preoccupano dell’orientamento che prenderà alla fine un movimento di massa senza leaders riconoscibili e verosimilmente composito per preferenze politiche e funzioni sociali. Per far fronte alle crisi le nazioni rievocano la storia e la propria identità. In tutto il mondo arabo e musulmano si è fatto spesso ricorso all’islamismo fondamentalista per il cambiamento dopo il fallimento del liberalismo e del socialismo importati dall’Europa. (…)». E conclude: « (…) Forse, invece di chiedersi “cosa fare per l’Egitto”, a costo di interferenze indebite e controproducenti, l’Occidente, e Obama in primis, potrebbe anticipare eventuali soprassalti tirando fuori dal cestino dei rifiuti il cosiddetto negoziato israelo-palestinese». Tre le pagine interne (dalle 2 alla 4) in cui si parla della manifestazione del Cairo ma anche che «Per l’Onu il primo bilancio delle vittime è di 300 morti. Effetto domino: in Giordania si dimette il premier. Manifestazioni in Algeria». Sempre in prima pagina inizia l’articolo di Tariq Ali (che termina a pagina 10) dal titolo «Crisi e caduta dei despoti» con l’occhiello che sottolinea un parallelo storico «Un 1848 arabo». Si legge: «(…) Washington vuole una “transizione ordinata” ma le mani di Suleiman lo Spettro (o Sceicco Al-Torture, come lo chiamano alcune delle sue vittime), il vicepresidente che Mubarak è stato forzato ad accettare, anch’esse sono macchiate di sangue. (…) Il virus tunisino si è diffuso molto più rapidamente di quanto chiunque immaginava. Dopo un lungo sonno indotto dalle sconfitte – militari, politiche, morali – la nazione araba si sta risvegliando. La Tunisia ha impattato immediatamente sulla vicina Algeria, quel sentimento ha valicato i confini della Giordania e ha raggiunto il Cairo in una settimana. Ciò di cui siamo testimoni è un’ondata di rivolta nazional-democratica, che ricorda più le ribellioni che nel 1848 investirono l’Europa – contro lo Zar, l’Imperatore e chiunque collaborasse con loro – e annunciarono le turbolenze successive. Questo è il 1848 arabo. Oggi lo zar-imperatore è il presidente della Casa Bianca. Questo è ciò che differenzia queste proto-rivoluzioni dall’affare del 1989: questo e il fatto che, con poche eccezioni, le masse non si sono mobilitate allo stesso modo. Gli europei dell’est si sdraiarono davanti all’Occidente, immaginando in questo un futuro felice e cantando “prendeteci, prendeteci, adesso siamo vostri”».
 
«Mubarak al passo d’addio» è il titolo di apertura de IL SOLE 24 ORE che in occhiello e catenaccio riassume i fatti importanti : «In un discorso alla nazione il presidente egiziano ha annunciato la decisione di non ricandidarsi – Le pressioni di Obama: “Transizione rapida” Tensione in Giordania». Quattro le pagine che il quotidiano di Confindustria dedica all’Egitto tra articoli e commenti. A pagina due in evidenza (e con richiamo in prima pagina) si trova l’intervista di Ugo Tramballi a Naguib Sawiris, presidente di Orascom e di Wind, nel titolo «Sawiris: “Non è l’Iran, nasce la vera democrazia” Tutti i figli dei miei amici ricchi sono scesi in piazza» La premessa di Sawiris è quella di non avere nessuna mira politica «Ho due difetti per governare al Cairo: sono benestante e cristiano» e su El Baradei dice: «È un buon candidato, con lui il business troverebbe un interlocutore». 

AVVENIRE apre con il titolo “La resa di Mubarak” e dedica alla rivolta egiziana le pagine 3, 4 e 5. Secondo l’inviato Luigi Geninazzi il raìs intende uscire di scena a testa alta: «Lascerà il potere, ma non subito. Stretto nell’angolo da una protesta popolare che ieri ha toccato il suo culmine con centinaia di migliaia di persone scese in piazza per chiedere le sue dimissioni, Mubarak getta la spugna. Ma non pensa di fuggire come un qualsiasi dittatore. Lo ha annunciato ieri sera in televisione in un discorso alla nazione, al termine di una giornata che passerà alla storia. “Stiamo vivendo giorni molto difficili, la mia prima responsabilità è ristabilire la calma nel Paese. E a questo mi dedicherò nei mesi di mandato che mi restano. Non mi ricandiderò alle elezioni del prossimo settembre” ha dichiarato il raìs, anziano e sofferente, apparso molto provato e più malconcio del solito». Mubarak è apparso in tv dopo l’invito di Obama a farsi da parte e ha confermato anche l’intenzione di cambiare la Costituzione. «Una mezza vittoria per l’opposizione che ha ribadito la sua richiesta di immediate dimissioni del presidente», scrive Geninazzi. La protesta andrà avanti e il premio Nobel El Baradei, divenuto il simbolo dell’opposizione egiziana ha chiesto a Mubarak di lasciare il Paese entro venerdì “per evitare un bagno di sangue”.  AVVENIRE pubblica anche un’intervista all’islamologo egiziano Samir Khalil secondo cui ora prevale la voglia di voltare pagina, ma non c’è una vera leadership. I Fratelli musulmani possono approfittare del vuoto di potere facendo tesoro del consenso che godono. «È un movimento di popolo. Speriamo che non si inquini», dice Khalil che indica nel vicepresidente Suleiman l’uomo-chiave che ha le carte in regola per traghettare verso il futuro. All’analisi di un Egitto che “fa i conti con la modernità” è poi dedicata l’analisi di Riccardo Redaelli pubblicata a pagina 3 che ricostruisce 65 anni di storia di un Paese “condannato” a fare da guida: «Dal sogno di Nasser, allo “scandalo” di Sadat fino alla grande stagnazione di Mubarak. Negli ultimi trent’anni sono stati abbandonati gli ideale di panarabismo e modernità abbracciati nel passato. Dopo Mubarak, l’Egitto avrà l’occasione di tornare a essere un punto di riferimento in chiave democratica, liberale e pacifica».

“Finite le illusioni di Israele” titola l’editoriale in prima pagina sulla rivoluzione egiziana affidato da LA STAMPA ad Arrigo Levi. «L’Occidente non può fare altro che aspettare gli sviluppi di quelle che sono ancora le fasi iniziali di una vera e propria rivoluzione» scrive Levi, «e auspicare che essa conduca alla nascita di una democrazia egiziana e non alla fondazione di un “Medio oriente islamico che faccia finalmente i conti con Israele”, come si augura il governo iraniano». A pagina 2 e 3 LA STAMPA dà spazio a un bel reportage in presa diretta dalle strade de IL CAIRO, e a pagina 4 intervista Tariq Ramadan, “intellettuale controverso” recita la didascalia sotto la sua foto, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani. Alla domanda su chi guiderà l’opposizione risponde: «Al momento non c’è una leadership. Ci sono tre grandi forze, i Fratelli musulmani, le sinistre laiche e l’associazione Kefaya, ma tutta questa gente è accomunata solo dalla volontà di scacciare Mubarak». Secondo lo scrittore, «è possibile che sia qualcuno dell’esercito a guidare la transizione». Sui fratelli musulmani dice che sono «in evoluzione da anni», c’è «un gap fra le nuove generazioni che guardano alla Turchia e quelle più tradizionaliste legate all’Arabia saudita». Alla domanda se salterà la pace con Israele risponde: «La pace dipenderà da chi guiderà il nuovo Egitto. Comunque il supporto unilaterale alla pace con Israele non può essere dato per garantito».

E inoltre sui giornali di oggi:

TELEVISIONE
REPUBBLICA – Repubblica dedica un pagina al boom di ascolti della 7, la rete considerata ilo terzo polo della tv. Effetto Mentana e clima politico rilanciano la rete che erode ascolti al duopolio. In particolare ha fatto breccia il Tg di Mentana arrivato all’8,05% di ascolti, portando via 4 punti al TG5 e ben 5 al Tg1.

AVVENIRE – A Pagina 27 il caso sollevato dall’Osservatorio media del Moige (Movimento italiano genitori) contro il Grande Fratello. «È il peggio, va fermato subito», chiede la responsabile Elisabetta Scala, in un appello «in difesa almeno della decenza, della buona educazione e del rispetto per il pubblico». Gli inserzionisti sono stati invitati a seguire l’esempio del Gruppo Barilla che si rifiuta di mandare in onda i suoi spot pubblicitari nel corso della trasmissione.

ANNA MARIA GRECO
IL GIORNALE – “Spogliata la nostra cronista” è il titolo d’apertura del quotidiano milanese. «Anna Maria Greco  denudata e perquisita: il blitz nella sua casa e in redazione per aver scritto un articolo sulla Boccassini». L’editoriale del direttore Alessandro Sallusti spiega «il braccio violento della magistratura ieri ha col­pito noi del Giornale. Una bravissima colle­ga, Anna Maria Greco, è sta­ta svegliata da poliziotti in­viati da una pm di Roma. Gli uomini della Procura so­no entrati nella sua camera da letto, l’hanno fatta spo­gliare e hanno eseguito una perquisizione corporale. Sotto la sua biancheria cer­cavano le fonti di una noti­zia, quella che la cronista ha portato e pubblicato sul Giornale nei giorni scorsi. Come mai tanta ferocia? Semplice, la notizia non ri­guardava Berlusconi, non svelava segreti personali di qualche politico di centro­destra, ma interessava Ilda Boccassini, la pm di Milano impegnata nella caccia al premier sul caso Ruby». E aggiunge: «Quello di ieri non è stato soltanto un attentato alla li­bertà di stampa. È stato un atto di violenza privata ordi­nato da una donna, la pm di Roma, contro un’altra don­na in nome di un’altra don­na (la Boccassini). Cioè la giustizia trasformata in un fatto personale, una squalli­da e vigliacca vendetta, per­petrata con l’uso della for­za dello Stato. Questa pm non è un magistrato, si com­porta da mascalzona che abusa del suo potere: fa toc­care una donna giornalista, fa sequestrare i computer di suo figlio, curiosa nella vi­ta degli altri senza motivo. Che cosa pensava di trova­re la maestrina del diritto? Un indizio sulle fonti delle nostre notizie? Povera illu­sa, lei e quegli arroganti di Repubblica che due giorni fa hanno aizzato, per nome e per conto della Procura di Milano, i magistrati a darci la caccia indicando la possi­bile talpa all’interno del Csm. Roba da radiazione dall’Ordine dei giornalisti, che ovviamente non ci sarà perché fra prepotenti ci si protegge. Ormai siamo alla dittatu­ra delle Procure». Sotto una grande foto, sempre in prima, del suo volto, Anna Maria Greco firma “Sono stata umiliata per il mio lavoro” in cui racconta l’irruzione dei Carabineri. Annamaria Bernardini de Pace invece firma “E ora chi difende il corpo della donna?”. «C’è qualcosa di molto violento in ciò che è successo alla giornali­sta Anna Maria Greco. Scrive un articolo che riguarda un magistrato. Con la velocità della luce, una sua presunta fonte viene indagata per abuso d’ufficio ai sensi dell’art.323 del codice penale. Quasi contestualmente, viene disposta la perquisizione del Giornale, nonché la perquisizione domiciliare e personale (ribadisco: personale) della giornalista», spiega la giornalista. Che poi sottolinea «il codice di procedura penale all’art. 352 dice “nella flagranza del reato o nel caso di evasione, gli ufficiali di polizia giudiziaria procedono a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse, ovvero che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l’evaso”. La giornalista non è l’indagata. Certamente non stava commettendo alcun reato al momento della perquisizione, né stava “evadendo” dal Paese, dal carcere o da chissà dove. Era a casa sua con suo figlio, quando, di primo mattino, sono comparsi i carabinieri i quali, dopo avere rovistato, investigato, frugato per tutta la casa, sequestrato persino il computer del figlio, l’hanno fatta spogliare e sottoposta a perquisizione corporale. Al fine, secondo il codice, di trovare su e dentro di lei “tracce o cose occultate pertinenti al reato”. Cosa, per esempio? Un dossier? Una chiavetta usb o un cd? Non essendo l’indagata e non trovandosi in flagranza di reati, all’evidenza la giornalista è stata considerata un luogo, un nascondiglio e testimonianza del reato».  

FISCO
IL SOLE 24 ORE – Temi politico-economici per il taglio centrale del SOLE che si occupa degli annunci di Berlusconi «Fisco più leggero per il Sud», ma in catenaccio osserva «Disoccupazione ferma all’8,6% ma è record per i giovani». «Libertà di impresa, Sud, piano casa, servizi pubblici locali. Questi i temi per l’economia al centro del consiglio dei ministri di venerdì secondo quanto concordato ieri dal premier Silvio Berlusconi con il ministro Giulio Tremonti (…)» Due le pagine dedicate a questi temi: pagina  7 analizza «il pacchetto per la crescita» che dovrebbe essere affrontato dal prossimo consiglio dei ministri, in taglio basso il parere degli economisti chiamati a rispondere a due domande: «condivide il piano per il rilancio della crescita economica lanciato da Berlusconi?» e «Ha una sua ricetta aggiuntiva o alternativa rispetto a quella formulata dal premier?» Quattro economisti che si dividono sui due fronti. Sulla disoccupazione giovanile, cui è dedicata pagina 8, si presentano due casi: Bolzano «isola felice» in cui su modello tedesco funziona la collaborazione tra scuola e impresa e Nuoro «senza industria e tradita dall’agricoltura», in Sardegna del resto il tasso di senza lavoro under 24 anni è quasi del 45,5%

FEDERALISMO
ITALIA OGGI – «Se non passa è una sconfitta, se passa aumentano le tasse». In ogni caso è una «trappola per la Lega». Per questo c’è «preoccupazione nel Carroccio per gli esiti del voto di venerdì: la riforma deluderà gli elettori». Così il quotidiano analizza la situazione del partito di Umberto Bossi alla vigilia della decisione della Bicameralina sul decreto legge sul federalismo. Scrive Marco Cobianchi: «sembra l’unico partito che, comunque vadano le cose, rischia di perdere». Questo federalismo «non abbassa le tasse, come è sempre stato assicurato, ma le aumenta. E le aumenta con meccanismi che negano l’essenza stessa del federalismo il quale consiste nella possibilità da parte dei cittadini-contribuenti-elettori di controllare, verificare e giudicare come le loro tasse vengono usate dagli amministratori».

CRISI
IL MANIFESTO – Nelle due pagine dedicate al tema “Capitale e lavoro”, in cui si parla di crisi del mercato dell’auto («-20,71% gennaio gelato per il mercato dell’auto») e dei dati Istat sulla disoccupazione giovanile («Giovani e disoccupati, un destino comune»), temi trattati rispettivamente a pagina 8 e 9, trova spazio a pagina 8 un commento di Joseph Halevi «Francia e Germania il nuovo futuro dell’Europa». Scrive Halevi: «A Davos la ministra delle finanze francese, Christine Lagarde ha affermato che la decisione presa nel 2005 – da Berlino e Parigi – di allentare i vincoli del patto di stabilità varati a Dublino nel 1996 era errata ed ha contribuito al marasma del debito pubblico nei paesi della zona dell’euro. (…) Di fronte all’indurimento tedesco, specie nella crisi imposta alla Grecia, Parigi reagì con stizza. Un anno fa Lagarde ricordò alla Germania che essa godeva di surplus esteri mai corretti, realizzati prevalentemente nel suo commercio intraeuropeo. Causando il furore dei ministri di Berlino che risposero grosso modo “noi siamo i migliori e i più competitivi produttori d’Europa, diventateci anche voi”. Una conferma del fatto che Berlino non considera gli squilibri strutturali come un problema macroeconomico europeo (…) già con la formazione del fondo di salvataggio per Grecia e affini voluto da Parigi contro Berlino – ma ottenuto solo grazie all’intervento diretto di Washington – si capì che la contropartita richiesta da Merkel era l’accettazione (da parte francese) della posizione tedesca sul rigore fiscale europeo. La promessa fatta da Lagarde a Davos di non ripetere “l’errore” del 2005, dunque, conferma la capitolazione totale della Francia nei confronti della Germania. Ciò implica che la nuova forma di cogestione franco-tedesca della zona dell’euro si basa solo sulla difesa degli interessi bancari francesi e tedeschi; ed anche svizzeri». E la conclusione è: «(…) Per paesi come l’Italia e il Belgio non resta che una corsa al ribasso: ridurre il deficit per impedire l’aumento dello spread sui titoli e svendere il patrimonio nazionale per abbattere il debito. Mentre, Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna affondano, con una disoccupazione effettiva di oltre un quarto della popolazione. Senza una nuova impostazione giuridico-economica della finanza pubblica europea, da qui non si scappa. E la sinistra ha zero idee in proposito, sia essa Sel o Pd».

DISOCCUPAZIONE
AVVENIRE – “Un giovane su tre non trova lavoro. È allarme” è il titolo dell’inchiesta di pagina 7 sui dati occupazionali di dicembre: il 24% di chi cerca impiego resta a spasso. Il dato più alto dal 2004. Per il presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini, è preoccupante soprattutto il paradosso italiano dell’aumento della disoccupazione mentre 150mila posti “manuali” restano vacanti. Per avvicinare i giovani al lavoro propone una scossa culturale che li educhi alla fatica e l’apprendistato nelle scuole. 

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